– di Riccardo De Stefano –
In Italia, oggi, forse nessuno come Iosonouncane – nato Jacopo Incani – riesce a far drizzare subito le orecchie. Con tre album in dieci anni, celebrati dalla critica e considerati tra i massimi prodotti della musica italiana degli ultimi anni, Iosonouncane ha saputo gettare una luce nuova in un panorama musicale a tratti stantio, fossilizzato tra itpop e trap, mostrando una terza via verso il futuro, quella capace di unire sperimentalismo, elettronica, progressive, art rock superando i confini linguistici e musicali del Bel Paese.
Il suo ultimo lavoro, “Ira”, uscito in primavera, è stato fin da subito osannato, confermando tanto qui da noi in Italia che all’estero il nome di Iosonouncane, dopo il successo del precedente “DIE”.
Tra ritardi nella pubblicazione – causa Covid – e infine il lancio del nuovo lavoro, Iosonouncane affronta la torrida estate musicale, quella del ritorno sui palchi, come uno dei protagonisti della scena musicale, nome da headline per il Siren Festival di Vasto, uno degli highlight della stagione musicale estiva, che oltre l’artista sardo vede anche nomi di primo piano come Margherita Vicario o nuove promesse come cmqmartina, Piove., Gold Mass.
Jacopo, come stai intanto?
Bene dai, benone. Accaldato.
Almeno d’estate quello ha senso. Come vive un sardo fuorisede l’estate?
Io in realtà l’estate la schifo proprio, vivrei perennemente in autunno. È una stagione che non aspetto altro che finisca.
È anche la stagione dei grandi concerti dal vivo! Tu sarai ospite al Siren, un festival ormai storico, in un momento abbastanza travagliato. Com’è tornare a suonare dal vivo in questi eventi che una volta erano la norma e oggi sembrano quasi l’eccezione?
È una roba da baciarsi i gomiti, nel senso che visto l’anno passato è già miracoloso riuscire a fare una tournée estiva, a fare tanti concerti. È bello che i concerti stiano andando bene, per fortuna sono sempre molto frequentati. Ci sono degli elementi di stranezza e di peculiarità, anche dovuti al fatto che il pubblico è sempre necessariamente seduto. Ma dato l’anno passato è già bellissimo poter fare il proprio mestiere, anche se in una maniera particolare.
Secondo te ”Ira” è un disco da sentire seduti o in piedi? Non è un disco da pogo, sicuramente.
No, non è un disco da pogo, ma è un disco che quando viene eseguito dal vivo genera nelle persone un istinto ad alzarsi e muoversi. In alcune città questa cosa è accaduta, in altre, dove le misure adottate sono più rigide, vedi che le persone vorrebbero alzarsi ma non possono. Secondo me è un disco estremamente fisico e allo stesso tempo capace di scavare introspettivamente. Lo si può ascoltare da seduti, da sdraiati, in piedi, da soli, in gruppo, si presta a vari tipi di ascolto.
“Ira” doveva essere presentato due anni fa dal vivo. Era prevista prima l’esecuzione dal vivo, poi la pubblicazione del disco. Per forza di cose la storia è andata diversamente. Ha cambiato il Covid il modo in cui “Ira” è arrivato al pubblico e l’idea artistica dietro al progetto?
No, l’idea artistica non è cambiata minimamente. Era solida e compiuta prima dell’arrivo del Covid e quella è rimasta. Credo che non abbia neanche inciso sulla percezione da parte del pubblico, nel senso che se di mutamento si è trattato, è comunque qualcosa di misurabile su un arco temporale breve.
Il disco lo proponi live nella sua interezza, che è una costante nei tuoi ultimi progetti. Quanto è importante per te oggi proporre un’idea artistica nella sua interezza, in un momento in cui la musica è forse più di consumo che di proposta?
La fruizione spezzettata della musica è un discorso di natura economica. L’arte ci insegna che la forma delle opere muta ed è mutata conseguentemente al mutare del mercato in cui le opere finiscono. Questo è un discorso che dovrebbe riguardare molto poco l’autore, che ha un’idea e la sviluppa. C’è una bella differenza tra coloro che sono “musicisti” e “coloro che fanno musica”, o tra gli “artisti” e i “musicisti”. C’è un sacco di gente che fa canzoni e le pubblica, magari hanno anche molto successo, ma quelle non sono nulla. È sempre stato così, anche negli anni Sessanta, che vediamo come un’epoca d’oro, tra i Velvet Underground e il 95% di ciò che veniva pubblicato all’epoca c’era una bella differenza. Penso che non ci si debba preoccupare, vivo in un contesto artistico e lavorativo in cui c’è una grande corsa all’oro, corsa al singolo, al successo immediato. Vedo un sacco di musicisti che si sfiancano per ottenere questo risultato e alla fine vendono meno di quanto venda io e ai concerti ci sono meno persone di quante vengano ai miei. Io l’idea l’ho sviluppata come la immaginavo e così andrò avanti, non mi frega di null’altro. Credo che gli esseri umani abbiano sempre bisogno di lavori completi, compiuti e ampi che gli dicano qualcosa.
SIREN FESTIVAL 2021 | LINE-UP
Giovedì 19 agosto @ Cortile d’Avalos
– Caterina Palazzi “Zaleska” sonorizza “Nosferatu il vampiro” (Murnau, 1922)
– Emma Nolde
Venerdì 20 agosto @ Piazza del Popolo
– Margherita Vicario
– cmqmartina
– New Candys
Sabato 21 agosto @ Piazza del Popolo
– IOSONOUNCANE
– Gold Mass
– Vieri Cervelli Montel