IsKra, pseudonimo di Daniele Mangano, è un cantautore palermitano, classe 1981. Lo scorso aprile ha pubblicato l’album #ControCorrente, il cui titolo si ispira a un celebre verso di De André tratto da Smisurata preghiera, ultimo brano registrato in studio dal cantautore genovese. Il disco, uscito in piena pandemia, è stato registrato al Pacific Studio Record di Sofia – IsKra è infatti residente in Bulgaria.
#ControCorrente è uscito, di fatto, in pieno lockdown, diventando quasi un involontario commento alla situazione attuale. Che effetto fa lanciare il proprio lavoro in un momento storico così particolare?
Sicuramente in termini cronologici e logistici si tratta di una coincidenza, nulla di voluto: il disco era già pronto da molto tempo solo che, per questioni tecniche e necessità di perfezionamento da parte degli ingegneri del suono, l’uscita si è protratta a lungo, per essere poi rilasciato in piena pandemia. Che effetto mi fa rilasciare l’album in questo particolare momento storico? Certamente non avrei voluto mai vivere una situazione del genere, ma penso che questo valga per tutti. Mi immaginavo un’uscita diversa, più spensierata. Diciamo che la soddisfazione per aver realizzato questo obiettivo importante è stata offuscata dalla preoccupazione, dall’angoscia e dal dolore per tutte le persone che hanno perso la vita in questa drammatica circostanza. Nonostante tutto, però, non è mancata la curiosità nei confronti della reazione del pubblico magari forse più attento, visto che nella fase di lockdown siamo stati tutti meno presi dalla routine quotidiana. Un po’ di rammarico c’è, perché avrei dovuto partecipare a molti concorsi (Premio Tenco, Targa De Andrè, Tour Music Fest ed altri) che sono stati giustamente rinviati a causa dell’emergenza. Spero vivamente si tratti di un arrivederci perché non sto nella pelle. A settembre, ad esempio, dovrei partecipare alle semifinali del Sanremo Talent Show. Sono stato scelto direttamente da Devis Paganelli per accedere in semifinale. Speriamo che, per quella data, si possa tornare alla normalità.
Il disco ha una forte vena cantautorale, di quelle dove non ci si vergogna di dire le cose in faccia. C’è una forte rabbia, una voglia di urlare contro quello che non funziona. Da dove nasce il desiderio di andare “controcorrente”?
Nasce dal fortissimo spirito di osservazione – che mi ha sempre contraddistinto – nei confronti di tutte le storture e le contraddizioni sociali che continuano a circondarci da ormai troppo tempo. Del resto, sono cresciuto con determinati riferimenti culturali. È ovvio che le nuove generazioni o “leve” non debbano per forza avere i miei stessi miti. De André, uno dei miei più grandi maître à penser, in una intervista diceva: “Io penso che non è che i giovani d’oggi non abbiano valori, hanno sicuramente dei valori che noi non siamo ancora riusciti a capir bene, perché siamo troppo affezionati ai nostri”. Tuttavia, resta molto ferma e determinata in me, come cantautore, la voglia di non assoggettarmi ai cliché, alle regole, alle etichette imposte da una società sempre più omologata alla logica spietata del consumo sfrenato, del “voler apparire” a tutti i costi senza lasciare alcuno spazio alla dignità dell’essere umano. Ecco, in questo senso la direzione da prendere è quella “ostinata e contraria” o #ControCorrente, come recita il titolo dell’album e della canzone che gli dà voce.
L’altro grande tema è quello dell’amore, ricercato, a volte perso, a volte trovato. È forse questa la risposta all’insoddisfazione verso la società di oggi?
Possono esistere differenti forme di Amore, non necessariamente quello che lega due persone di sesso differente o uguale. L’Amore è un argomento serio e difficile da interpretare e codificare. Se non è una risposta, certamente rappresenta una strada da percorrere in un periodo fortemente buio come quello che stiamo vivendo (e non mi riferisco solo alla pandemia). L’Amore personifica il concetto stesso di Bellezza. Nel disco cerco di rappresentarlo con quattro canzoni: D’estate, Amata immortale, Amore inespresso e Nelle mie notti. La prima è sicuramente quella più astratta ed evocativa: una sorta di ritratto intimo, caratterizzato da un paesaggio marittimo che trasmette un forte desiderio di tirar fuori dalla propria anima tutta la voglia innata che ciascuno di noi ha di lasciarsi andare al Sentimento. Amata immortale, invece, è un inno all’Amore che ho sempre nutrito nei confronti della Musica e ad essa è dedicata; Amore inespresso riflette l’impossibilità del-l’uomo contemporaneo di esprimere il proprio sentimento nei confronti di un altro individuo, perché distratto da troppe cose: ad esempio, da una società sempre più imbrigliata nel mondo dei social, dove ogni cosa diventa più volgare ed immediata, persino la fase più bella, quella del corteggiamento. Infine, Nelle mie notti rappresenta la conclusione idealistica o illusoriamente ideale, quella in cui si arriva ad invocare, nel dolce tedio del sonno, l’amore di una vita, la persona che ha sempre acceso in noi la nostra atavica voglia di amare ma che, per qualche arcano motivo, è inesistente.
In Anni ‘60 rimpiangi un’epoca passata e che oggi ci sembra leggendaria. Come vivi la contemporaneità, soprattutto quella musicale di oggi, così tanto pop? Non si salva nulla di quel che passa in ra-dio?
Anni ’60 è uno dei miei primi brani, scritti con il cuore in mano e forse con l’ingenuità tipica del sognatore e, per l’appunto, del nostalgico. Sono innamoratissimo di quel decennio. Più che un rimpianto è un auspicio al ritorno di sani valori, quelli che si respiravano a quel tempo. Sicuramente non era una società “vergine” ma c’erano anche molta speranza e voglia di ribellarsi. Quando dico “Lennon protestava a letto contro uno stronzo in doppiopetto” è chiaro che mi riferisco al suo Bed Ins for Peace contro la guerra in Vietnam ed a un signorotto Presidente degli Stati Uniti che si chiamava Nixon. Sulla contemporaneità musicale, che dire? La realtà è questa: esistono Radio più “grandi” che mandano in onda quanto viene loro “dettato” da alcune realtà discografiche ed altre minori che, avendo maggiore libertà di scelta, riescono a passare bellissimi brani non necessariamente legati alle logiche di mercato ma che restano comunque bei pezzi, sia dal punto di vista musicale che contenutistico.
Non a caso, forse, il disco è molto rock (con accenni blues e a tratti quasi punk) con tante chitarre. Ci sono state influenze particolari, qualcuno a cui ti sei ispirato? Che lavoro di produzione c’è stato?
Sono cresciuto a pane e Rock nazionale ed internazionale, ma anche con il cantautorato italiano nel cuore. Oggi sento troppo rumore e pochi contenuti. Voglio dire che non si lascia più spazio ai testi quanto piuttosto a slogan che si rivelano falsamente efficaci. La gente non vuole più riflettere attraverso le canzoni e ritrovarsi nei testi, come invece accadeva negli anni ‘60, ‘70, ‘80 e fino alla prima parte dei ‘90 e del 2000. Non giudico il trap e le nuove forme di comunicazione musicale, ma non mi ci ritrovo per niente. Forse perché i miei rife-rimenti sono stati De André, Guccini, De Gregori, Jannacci, Bertoli, Gaetano, Graziani, Tenco e tantissimi altri. Tutti cantautori e poeti senza peli sulla lingua. Posso sintetizzare questo mio pensiero con una frase tratta dalla bellissima canzone di Pierangelo Bertoli, A muso duro: “Adesso dovrei fare le canzoni con i dosaggi esatti degli esperti, magari poi vestirmi come un fesso e fare il deficiente nei concerti”.
Nel disco si passa dalla malinconia alla voglia di reagire, con quella “rabbia” che dicevamo prima. Cosa pensi, o ti auguri, possa lasciare all’ascoltatore #ControCorrente, una volta finito?
Quando la rabbia è un sentimento sano, può e deve facilmente trasformarsi in un input per reagire ad un de-terminato e stagnante “stato di cose”. In fondo, si scrive proprio per spronare chi ti ascolta a svegliarsi, a ribellarsi ma, sopratutto, a pensare sempre con la propria testa. Ecco io, senza troppi giri di Valzer, quello che mi auguro dall’ascolto del mio primo disco, #ControCorrente, è che il mio messaggio possa non dico scuotere le coscienze, ma quanto meno indurre una timida riflessione capillare su questa meravigliosa cosa che si chiama Vita. Questo, per me, sarebbe già un grandissimo risultato.