Parliamo di Antonio Caputo, classe ’94, spirito internazionale che oggi, tornando a sposare l’italiano come lingua cantata, si celebra alla pubblica piazza con linee metropolitane, di sobborghi e di notturne melodie industriali di “rap”. E le virgolette sono doverose, andando ad inserirci tra le righe tutte quelle contaminazioni melodiche e di stile che provengono dall’urbanizzazione americana, da storie consumate di vita, da vita che resta spesso tra le cronache di periferia. Si fa chiamare Kaput Blue e pubblica di nuovo un singolo che troviamo in rete e vi riproponiamo a seguire: “Colori”, una canzone che si fa a suo modo preghiera laica di se stessi e per se stessi, dei propri limiti, della propria consapevolezza. Andare oltre per cercare l’incontro. Un testo “pop” nel senso che non cerca forme di dialogo lontane dal popolo, liriche dunque che puntano dritte al centro del messaggio in questo melting pot che, l’era pop del commercio distribuisce al popolo anche attraverso la voce della più conosciuta trap. Da artisti come Kaput Blue ripeschiamo le origini di certi modi di stare al mondo.
Una nuova release dopo “Fingo”. Rotta decisa vero l’italiano… posso chiederti da cosa è spinta? E un poco ce lo dici anche tu nel brano, non è che ti fai tante domande in merito…
La risposta è la più naturale del mondo. Perché sì, perché mi andava di rendere i miei contenuti accessibili anche a chi non conosce la lingua inglese e perché ho avuto modo di avvicinarmi al mondo dell’autorato italiano ed a diverse case editrici. È una semplice necessità ed evoluzione personale.
Il taglio americano però non lo abbandoni. Perché rifugiarsi in questa direzione stilistica?
Il taglio “americano” non lo abbandono perché fa parte delle mie influenze più intime e primitive e pur volendo, non riesco a tradirle. Amo sperimentare con i generi musicali d’oltreoceano e credo che noi italiani dovremmo attingere un po’ della freschezza di produzioni che gli americani quotidianamente ci propinano. In Italia, su questo aspetto, si sta sempre un passo indietro.
Ci incuriosisce questa forma di pubblicazione. Non che sia nuova o solitaria ma insomma, soprattutto in Italia e per le nostre abitudini non è una consuetudine pensare a brani singoli e senza videoclip… come mai? Che progetti hai in mente?
Mi fa piacere crei curiosità. La risposta è in un piccolo mix di cose: nel mondo urban di cui mi sento di far parte, non si sente perennemente la necessità di esplicare in immagini ciò che la nostra musica vuole dire perché appunto il testo deve essere diretto e senza fronzoli. In aggiunta a questa motivazione, gli Uponcue, io ed Angapp Music stiamo preparando qualcosa di molto grande e stiamo indirizzando le strategie in un prodotto nuovo di cui sentirete parlare.
Ti voglio lanciare un’osservazione, certo assai ostica visto che ci spostiamo di netto nella filosofia di Adorno. Inizi mettendo in chiaro le tue posizioni: non ti interessano le convenzioni o chi somiglia a schemi già famosi. Non trovi che ci sia una sottile linea di incoerenza? Nel senso che, lo stesso fare musica (e in particolare la tua) rispecchia delle convenzioni… certo il tema è assai delicato ma se potessimo comunque farne un riassunto, tu che ne pensi? Ci hai mai pensato? E questo riguarda tutti ovviamente…
Non so se arriverò dritto al punto con questa risposta ma ci provo. Il genere musicale con cui mi sto pian piano introducendo, risponde a dinamiche che in Italia sono poco conosciute. Non rispetta affatto le “convenzioni” standard della musica Pop, se non quelle del mondo urban che prima di questo anno (effettivamente) erano solamente proprietarie di rappers e trappers. Ci basti pensare alla musica di Mahmood, Venerus, Ghemon, Gemitaiz. Inoltre, si può essere senza peli sulla lingua e non convenzionali sul testo di un brano ma ritengo che, se si ha intenzione di arrivare più facilmente al gran pubblico, un minimo di “griglia” sulla struttura di un brano la si deve avere; senza “se” e senza “ma”, tendo ad ignorare le persone che ancora credono nell’innovazione assoluta di un genere musicale per ogni artista. Si può smussare il lato creativo di un artista grazie alla sua scrittura ma il genere deve essere almeno a fuoco.
“Se aiuto qualcuno poi mi guardo le spalle”… siamo diventati tutti così privi di semplicità? C’è sempre un rendiconto a cui riferirsi per ogni cosa che accade?
Nel testo io canto “se qualcuno mi aiuta, io mi guardo le spalle”. E’ un modo per dire che tendo ad essere solitamente diffidente quando qualcuno mi aiuta senza una effettiva motivazione. È un modo alternativo per dire “mi faccio aiutare ma sto attento”.
Scena indie: povertà, convenzioni, “amore dei campioni” o si tratta semplicemente del linguaggio di questo nuovo millennio a cui non riusciamo ad abituarci?
La scena indie mi affascina particolarmente e mi sono abituato dopo un po’. Ovvio, c’è chi imita solamente il Calcutta (ed è profondamente un fake) e chi lo fa con una spontaneità e semplicità assurda. Mi piace, credo che la scrittura sia diretta e semplice. Forse è la risposta allo schifo che abbiamo ascoltato – non me ne vogliate (ride, ndr)! – dai primi anni 2000 al 2010.