– di Riccardo Magni –
“In Italia non si fanno mai festival di qualità”. Oppure, “I festival in Italia sono tutti uguali”. Ecco, non è vero. O meglio, è facile vista l’offerta estiva, cadere in questo errore ma sostanzialmente come troppo spesso accade, si sta generalizzando.
Un esempio è La Mia Generazione Festival, che dal 5 all’8 settembre, in quella che sarà la sua seconda edizione, porterà ad Ancona un tripudio di spettacolo e cultura che pur offrendo la presenza di artisti di grande richiamo – ci sono i Subsonica, voglio dire… – si discosta chiaramente dai tanti festival estivi sparsi per la Penisola, si belli e ci auguriamo in costante aumento, ma spesso inevitabilmente simili tra loro.
La Mia Generazione è invece un festival ragionato, costruito secondo un certo criterio ed un certo gusto. Un festival d’autore. E la firma è quella del suo direttore artistico Mauro Ermanno Giovanardi.
Anche in questo caso, non uno qualsiasi, ma un artista che negli anni ’90 con i La Crus in particolare, ha contribuito a portare fuori dall’underground quella che all’epoca era “la musica alternativa” italiana, gettando le basi per gli sviluppi dell’industria musicale indipendente che poi negli anni abbiamo conosciuto.
Nel farci raccontare dalla sua voce cosa c’è dietro a La Mia Generazione Festival, quindi, non possiamo che partire da un doveroso complimento, con cui in parte si intende spiegare anche perché i festival (pur belli) di cui sopra siano spesso inevitabilmente simili tra loro.
QUI LA PRESENTAZIONE ED IL PROGRAMMA COMPLETO DEL FESTIVAL
Mettiamo caso che io non sappia nulla della prima edizione, non conosca Mauro Ermanno Giovanardi e non conosca il concept alla base del festival. Noterei comunque che La Mia Generazione non è un festival costruito componendo il tabellone assicurandosi le date degli artisti in tour al momento.
Grazie davvero. Ci sto lavorando da ottobre praticamente…
L’idea è proprio quella che ci sia un filo rosso concettuale che lega tutto, e mi piace pensare che sia più vicino come approccio al Festival della Letteratura di Mantova che non all’Heineken per dire. Nel senso che è pensato con spettacoli, djset, incontri, in un contesto in cui la gente possa incontrare gli artisti in un altro modo che secondo me è sempre la cosa più bella che posso capitarti in questo tipo di situazioni. E soprattutto che ci sia appunto quel filo rosso concettuale che lega il tutto in maniera forte.
Ed il concetto è chiaro, La mia Generazione, quella di M.E. Giovanardi, sono gli anni ’90. Una stagione fondamentale che stende la sua scia fino ad oggi.
Faccio l’esempio dei Subsonica, li inseguo per Microcip Emozionale da novembre: quando ne parlai la prima volta con con Max (Casacci, ndr), mi diceva che stavano pensando di fare qualcosa per il ventennale, ma non sapevano ancora bene cosa, ed io insistevo dicendo guarda, il disco è uscito nell’agosto ’99, il festival è ai primi di settembre, sarebbero venti anni esatti… Non dico certo di avergli dato io l’idea, però li ho spinti tanto. Proprio perché alla base di tutto c’è un’idea forte di ciò che quella stagione ha seminato, ha fatto un po’ da traghettatrice…
Ed appunto, spiccano i concerti dei Subsonica, dei dEUS, la presenza di grandi ospiti internazionali come Dave Rowntree dei Blur e Rick Witter dei Shed Seven, lo spettacolo dei La Crus, il concerto triplo di Zamboni, Edda e Sinigallia… ma molto interessante è anche il momento di confronto con artisti ed addetti ai lavori di oggi, che di quella stagione erano spettatori (in programma un incontro con Max Collini, Maria Antonietta, Lucio Corsi, Colapesce, Emiliano Colasanti, Carlo Pastore).
Mi piace anche l’idea che in qualche modo quella stagione sia stata importante, che abbia “figliato”. E infatti quel momento si chiama “La mia Generazione si racconta – I figli legittimi”. So bene ad esempio che Colapesce è stato un grande fan dei La Crus… Lucio Corsi si è appena fatto produrre il disco da Bianconi e se c’è un gruppo più figlio di quella generazione lì, sono proprio i Baustelle… Mi piace l’idea che quella stagione sia stata seminale e di invitare qualcuno a parlarne, che abbia vicinanza musicale o comunque culturale, evidenziando il fatto che quella stagione sia stata un momento di rottura: prima c’era una netta distinzione tra il mainstream della canzone italiana classica, quella dei Ramazzotti, e le etichette indipendenti che facevano cinquecento copie a disco. Poi arriva quella generazione lì, che ha portato i CSI al primo posto in classifica! Vogliamo raccontare quelle esperienze, siamo stati un po’ i traghettatori, prima c’erano categorie molto distinte. La nostra generazione ha mischiato un po’ le carte.
E non è affatto semplice compiere un’operazione del genere, senza rischiare di cadere nell’amarcord o risultare “vecchi”. La Mia Generazione non è un festival della musica anni ’90, ma un punto di osservazione sul ponte di collegamento che la porta dritta a noi.
Per me l’importante è raccontarlo bene. E puoi farlo facendo vedere quella stagione con le sue tante sfaccettature diverse, ma occorre comporre il programma facendo tanti ragionamenti. Appunto, non mi interessava prendere semplicemente gli artisti in tour anche fossero stati in migliori, come non mi interessa dire “quanto eravamo fighi negli anni ‘90”, ma raccontare quanto quella stagione sia stata importante.
E uno dei tanti momenti importanti del festival sarà proprio lo spettacolo dei La Crus “Mentre le ombre si allungano – 1999 > 2019”, riedizione di una performance che venti anni fa si imponeva come avanguardia pura. Legata a filo doppio con La mia Generazione Festival, dato che l’idea di riproporla nasce proprio dalla volontà di portarla in scena lì.
Si perché uno degli appuntamenti che c’era l’anno scorso si chiamava “Quasi mezzanotte un film”, in cui avevo invitato i Marlene Kuntz e i Massimo Volume a fare delle sonorizzazioni di vecchi film. I Massimo Volume non hanno potuto, ed i Marlene avevano due sonorizzazioni molto diverse tra loro, uno era un film tedesco degli anni ’30 (La signorina Else, del 1929), che prevedeva suoni molto violenti, l’altro al contrario, era uno dei primi esperimenti del cinema subacqueo (La poesia della scienza – filmati di Painlevè), che prevedeva un set molto morbido.
Pensando quest’anno a cosa mettere nel festival, chi invitare per uno spettacolo che facesse incontrare la musica e le immagini, mi sono detto cavolo, noi come La Crus siamo stati i primi a cercare di fare una commistione di linguaggi tra musica, cinema, teatro, poesia, creando qualcosa che all’epoca era veramente avanguardista. Per cui se adesso siamo in giro con questo spettacolo in tutta Italia è proprio merito del festival. Prima ho sentito il regista, Francesco Frongia, per sapere se aveva ancora tutti i video, quando mi ha detto di si, ho sentito Cesare (Malfatti, con cui formava i La Crus, ndr) a cui l’idea è piaciuta molto.
“Mentre le ombre si allungano – Appunti scenici per voci, suoni e immagini” era il titolo originario dell’opera che fu di fatto un manifesto dei La Crus e capostipite delle performance multidisciplinari di quella stagione rivoluzionaria. Ma riprenderlo in mano è stato tutt’altro che semplice…
È stata una vera mazzata – ride – perché mi sono dovuto mettere a ristudiare come un attore tutto da zero per oltre un mese, dato che oltre a non ricordarlo completamente, è uno spettacolo difficile. È identico a quello di vent’anni fa, in cui avevamo stampato due vinili che vanno su due giradischi diversi, in uno ci sono le basi, nell’altro gli archi, e Cesare ha la difficoltà di dover mandare così a tempo basi ed archi, in più suonandoci la chitarra sopra. Per me le difficoltà si sommano: oltre a cantare da seduto, in poltrona, ho un lavoro proprio attoriale, il che mi porta a dover ripassare di continuo la parte, cosa che sto facendo da diversi giorni e che continuerò a fare fino a domenica.
Un po’ di tensione, la responsabilità di riproporre qualcosa di importante e di tuo a distanza di vent’anni che va oltre il semplice “fare bene”. Insomma… ansia?
Quando ho ripreso in mano lo spettacolo si, mi sono un po’ terrorizzato. Poi come un vero attore mi sono messo tutti i giorni a studiare. Per me appunto, non è un concerto, è qualcosa di molto più complesso. Devo cantare, come in un concerto, ma a seconda dei momenti devo farlo in una posizione precisa, dopo ogni pezzo devo ricordare esattamente cosa succede e cosa fare… è tutto sincronizzato, non posso improvvisare nulla né dare un occhio alla scaletta per vedere cosa c’è dopo.
È una vera e propria performance teatrale…
Si, tanto è vero che prima di andare in scena ultimamente abbiamo fatto tre giorni di prove, con il regista che mi diceva “non devi metterti così ma in quest’altro modo, quel foglio devi buttarlo esattamente lì, non chiudere gli occhi in questo pezzo perché devi guardare il pubblico…”, ho dovuto memorizzare tutto e non posso deconcentrarmi mezzo secondo, per cui è molto più complicato di un concerto. Però devo dire che ripaga, gli spettacoli fatti a Milano sono stati di una potenza pazzesca, nella prima data soprattutto avevo un tale magone strozzato in gola… mi sono reso conto dell’amore, dell’affetto, della voglia anche che c’era di sentire un altro nostro concerto, ed in alcuni momenti non so come ho fatto a trattenere il pianto, era potentissimo. Essendo tutto sincronizzato, in alcuni momenti Cesare ha dovuto fermare i vinili perché gli applausi erano così più forti della musica che io non sapevo come entrare.
È stata un’emozione davvero fortissima e fa piacere, vuol dire che comunque hai seminato bene. E c’erano amici, colleghi e discografici che non avevano visto lo spettacolo, che mi dicevano ma veramente voi facevate questa cosa vent’anni fa? Si, non è cambiato niente. E questo complimento in particolare da un paio di amici discografici mi ha fatto molto piacere.
L’unica cosa che è cambiata è che c’erano alcune poesie che avevo registrato in studio, che prima sentivo e facevo sentire da un walkman, avvicinando il microfono all’amplificatorino. Quel walkman ora non funziona più, e la differenza è che adesso quelle poesie le recito.
Quindi ancora più complicato…
Esatto – ride – come andarsi a cercare delle rogne proprio!
Al di là del valore dello spettacolo e delle sue difficoltà però, è evidente che far rivivere quel momento del vostro percorso sia stato per voi qualcosa ad alto impatto emotivo.
Per me è stata una cosa fortissima, giuro. Non ricordo davvero da quanto tempo non provavo sul palco emozioni così. Anche il concerto dell’anno scorso sempre ad Ancona, con sette ospiti con me sul palco a cantare i pezzi del disco La mia Generazione, è stato fighissimo. Ma devo dire che qui è qualcosa che va oltre. Sarà anche lo sbattimento di studiare e prepararti a fondo, da quando ti alzi la mattina… sotto la doccia ricantavo “Notti bianche” che è un pezzo super veloce con tantissime parole, e l’obiettivo era “oggi me lo devo fare cinque volte di fila senza sbagliare”. Ma per quei momenti, ti dico che ne è valsa la pena.
Uno spettacolo di quelli che lasciano il segno e senza dubbio da vedere, che sarà ancora in giro per l’Italia almeno fino a fine anno, ma che assume se possibile un valore ancora maggiore inserito nel contesto di La Mia Generazione Festival, che per qualsiasi appassionato di musica, con la sua offerta d’insieme, vale sicuramente il viaggio ad Ancona tra il 5 e l’8 settembre.