– di Assunta Urbano –
“Quando passo in via degli uomini mi sento sempre la protagonista
Alle prossime elezioni sarò io La Rappresentante di Lista”
Ricordate l’emozione del trovarsi fisicamente ad un live, interfacciarsi per la prima volta con un progetto e rimanere ipnotizzati da quella magia? Questo è ciò che è successo a me – e a molti altri – con le esibizioni esplosive de La Rappresentante di Lista (citata spesso con l’acronimo LRDL). La band, portatrice di messaggi dall’ampio respiro in ambito sociale, nasce dalle due menti genuine di Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina e quest’anno spegne dieci candeline. I due danno il via “ufficialmente” al loro percorso musicale pubblicando nel 2014 il primo disco “per la (Via di casa)”. Un album quasi sussurrato, al cui interno vi è una sorta di manifesto personale con la canzone La Rappresentante di Lista (da cui sono tratte le due righe in apertura).
Con il trascorrere degli anni, il passo della coppia si fa sempre più deciso, accogliendo in casa nuovi componenti, come Enrico Lupi, Marta Cannuscio ed Erika Lucchesi e Roberto Calabrese (dal 2018).
Nel 2015 esce con la formazione al completo Bu Bu Sad, ma con Go Go Diva del 2018 l’entrata nel panorama musicale non è in punta di piedi, ma alquanto rumorosa. L’autodefinitasi queer pop band, una realtà tra le più trasversali della Penisola, si trova a calcare così prestigiosi palchi in tutta Italia.
Il 2020 ha spento i riflettori, tra i tanti, anche su La Rappresentante di Lista, che si è sempre nutrita della presenza del pubblico come pane quotidiano. Nonostante questo stop, il gruppo si rimette a lavoro, partecipa all’edizione del Festival di Sanremo 2021 con il brano “Amare” e si getta, con stile inconfondibile, tra i leoni della TV generalista, sapendo come domarli.
Il 5 marzo scorso diventa disponibile all’ascolto My Mamma, uscito in collaborazione tra Woodworm e Dischi Numero Uno. Un lavoro che segna un’ulteriore rottura degli schemi, una rivoluzione e una evidente rinascita.
Per parlare del loro progetto e delle nuove canzoni abbiamo chiacchierato con le due anime principali de La Rappresentante di Lista.
La vostra è una band che vive di emozioni da parte del pubblico sotto palco. In un periodo del genere, come sopravvive al di fuori del suo habitat naturale?
Dario Mangiaracina (DM): Stiamo sviluppando le branchie, come i pesci! [ride ndr.]
Veronica Lucchesi (VL): Non è semplice. Al momento stiamo vivendo un po’ di strascichi da Sanremo, come è normale che sia. Ci sono determinate cose che vanno ancora ad un ritmo sostenuto ed è una fortuna poter girare, fare interviste, promuovere quello che fai. Quello che davvero è difficile è programmare, immaginare effettivamente i live che verranno. Sembra faticoso mettersi a progettare cosa ci sarà dopo; è indubbiamente tutto molto traballante.
Proprio per quello che è stato il vostro percorso in questi anni, che tipo di traguardo è stato il palco dell’Ariston?
DM: Sicuramente, non si tratta di un traguardo, perché quando finisce, di solito, il corridore smette di correre. Invece, per noi è un giro di boa e si continua con l’altro pezzo di navigazione. È stata una tappa importante; è fuori dubbio che ci abbia permesso di raggiungere un pubblico più ampio. Con Sanremo, ti apri ad un contenitore generalista. Anche riguardo i nostri contenuti portati in una realtà mainstream, bisogna capire come mantenere la tua direzione. Ci è sempre piaciuto essere cangianti, se non si cambia idea, non c’è evoluzione.
“Amare” è il pezzo che avete portato al Festival di Sanremo 2021. Una sola parola, che racchiude il tema principale in un unico vocabolo, ma con un senso anche più esteso. Cosa significa per voi questo brano?
DM: L’aspetto interessante di “Amare” è non si tratta di una canzone d’amore propriamente detta. L’amare è più un’attitudine.
VL: Non c’è una relazione, non ci sono un “io” e un “tu”. È un moto dell’anima e del corpo. Parte da uno sviluppo interno, da una situazione che ti porta giù, da quei buchi neri in cui si cade o quei vortici pericolosi in cui ci si annienta con le proprie mani. Riesce ad avere questa energia risolutiva, che ti porta alla fine in questa corsa in cui piangi, ma, in qualche modo…
DM: … ti salvi.
Con un piccolissimo salto nel passato, il pezzo mi ha riportato a “Ti Amo (Nanana)” di Go Go Diva del 2018. Proviamo a mettere la canzone in parallelo con “Amare”. Due storie d’amore, che presentano la parola magica nel titolo, eppure così diverse.
DM: Mi è venuto subito in mente di quando abbiamo pubblicato Bu Bu Sad. In quella fase di scrittura, ci eravamo dati una sola regola: non avremmo mai usato la parola “amore” e neppure le sue declinazioni. C’è un punto in cui non ce l’abbiamo fatta e abbiamo dovuto sovvertire quella norma. La canzone “Un’Isola” si conclude con: “Chi se non tu che sei l’unico amore”. “Unico amore” proprio per questo motivo, perché è stata l’unica volta in cui il termine è stato pronunciato. In Go Go Diva abbiamo fatto un altro passaggio. Avevamo voglia di parlare anche di relazioni che avevamo censurato fino a quel momento. L’amore era diventato quasi un ritornello “inutile”. “Ti Amo (Nanana)” era quello.
VL: Però, con Go Go Diva ci siamo detti che se avevamo necessità, dovevamo usarla, senza limiti. In quel caso, si parlava di una relazione in cui “Ti amo” si ripete talmente tante volte che – come diceva Dario – perde la sua carica, diventa svilente, una vocina che quasi prende in giro la stessa espressione. Qui, “Amare” non è fermo, come un monumento a cui ci troviamo di fronte, è invece un’azione. Il fatto che si reiteri nel testo alimenta la forza della parola e del sentimento.
Il 5 marzo avete pubblicato My Mamma, tredici tracce piene di riferimenti. Partiamo da quello visivo con l’artista Manuela Di Pisa che omaggia il dipinto L’Origine du monde di Gustave Courbet. Ecco, mi riallaccio ancora una volta all’album precedente de La Rappresentante di Lista. In quel caso la copertina vede Dario Mangiaracina e Veronica Lucchesi spogliarsi; invece, ora è mostrata la versione fluorescente di un nudo femminile. C’è una connessione tra le due immagini?
DM: Sicuramente sì, visto che l’hai notato.
VL: Sì, sembra che siamo andati a spargere quel colore che c’era nella scritta di Go Go Diva su tutta la tela! È più o meno la stessa sfumatura; è quasi come se questa copertina abbia “mangiato” la precedente, per mandare un messaggio ancora più esplosivo.
DM: C’è il pop, anche in termini di linguaggio visivo. C’è sicuramente il corpo, che ormai, per me, è un riferimento narrativo di scrittura. Ci rendiamo conto che ci serve il raccontare di come i nostri corpi pensano, vivono le relazioni, affrontano il dolore. Il corpo è sempre protagonista. Poi, c’è questo “vulva stargate”, che rappresenta le diverse possibilità, i mondi differenti, il queer che c’è dentro questo disco.
My Mamma contiene numerosi concetti universalmente condivisibili. Un dato interessante: il lavoro si apre con “Religiosamente”, passando per “Oh Ma Oh Pa”, e si chiude con “Mai Mamma”. È una sorta di decostruzione dell’idea tradizionale della famiglia e della società?
DM: Naturalmente, c’è un percorso. La scaletta è un aspetto che scegliamo sempre alla fine, dopo aver lavorato ai brani singolarmente. Dal punto di vista della narrazione, quello che cercavamo era abbandonare il solipsismo di “Religiosamente” per arrivare alla coralità di “Mai Mamma”.
VL: Abbandonarsi, anche nel senso di allontanarsi da alcune certezze e allo stesso tempo lasciarsi andare ad altre possibilità, al cambiamento. È interessante che si possa leggere ugualmente un’evoluzione stessa all’interno di questa scaletta. In effetti, piazzando questi due brani, uno all’inizio e uno alla fine, potrebbero essere antitetici, ai due poli opposti di una rivoluzione.
Invece, cosa significa per La Rappresentante di Lista essere “rappresentante” per gli ascoltatori con la propria arte?
VL: Credo che significhi avere la possibilità di vedere delle cose che gli altri non vedono, ma non perché non ne abbiano le capacità, piuttosto perché sono presi da altro. Noi abbiamo scelto di fare questo nella vita. È un po’ come se usassimo le nostre esperienze personali per “provare delle cose”, da raccontare. Chiaro che tutti abbiamo sensibilità diverse. Diamo un modo agli altri di riconoscersi in quello che viviamo. Dal teatro fino alla musica dal vivo, parliamo della mancanza perché l’abbiamo vissuta. C’è chi non l’ha vissuta e allora, attraverso noi, assapora la magia dello spettacolo e qualche cosa che non conosceva.
DM: Forse è la prima volta che ci fanno questa domanda, ponendo l’attenzione sul termine “Rappresentante” e non “di Lista”. Penso che sia il nostro compito e quello di chiunque faccia arte, con una certa visione, rappresentare una direzione, una realtà possibile, così come anche una utopica. Quel famoso “mondo migliore” che cercavano nelle manifestazioni scolastiche, può ancora accadere, ci si può ancora sperare e spesso ce ne dimentichiamo. Nelle nostre canzoni c’è tanto di questo immaginario.
Il pezzo più attuale del disco è “Resistere”, che fa intuire il modo in cui è nata tutta l’opera. È il coraggio di rialzarsi dopo una caduta e “resistere”, per l’appunto, ai tempi bui. Che ruolo ha oggi questa canzone?
DM: Sicuramente dentro c’è in pieno tutto ciò che hai evidenziato, però c’è una sfumatura chiara quando l’abbiamo scritta. È bello, che ognuno riceva e inglobi una visione diversa. Come generazione, abbiamo sempre resistito, siamo cresciuti sotto questo diktat della resistenza. Non si tratta, ovviamente, di quella vissuta dai partigiani; è la resistenza alla crisi, alla precarietà, al nichilismo, al futuro incerto, alla depressione. Nel gioco di parole che c’è, “R-Esistenza”, è come se la “resistenza 2.0” fosse l’esistenza. È una cosa che ci ripetiamo tanto in questi giorni: “Voglio provare ad esistere”.
VL: “La mia natura è resistere”. Bello, ma lo sarebbe ancora di più non essere costretti a farlo ed occuparsi della propria esistenza. Che, poi, già quella è un’occupazione a tutto tondo!
My Mamma è una vostra rinascita. Forse anche lo stesso nome La Rappresentante di Lista è nato, all’epoca, con lo scopo di dare una svolta. Catapultando il vostro progetto musicale in una posizione di rilievo politico, magari nelle vesti di Ministri della Cultura, cosa fareste per far ripartire il panorama artistico, soprattutto il settore musica?
DM: Esperimenti. Provare a fare come altri Paesi in Europa, che stanno tentando di trovare una soluzione nell’immediato. Capire, poi, come sarebbe possibile riaprire i teatri. E, soprattutto, considerare l’arte non come un settore economico da intrattenimento.
VL: Sostegni economici. Dovrebbe essere alla pari dell’istruzione. L’arte crea menti consapevoli, critiche. Il problema è tutto lì, perché delle persone che ti dicono di no e poi scioperano, sono teste che si ribellano, acquistano consapevolezza e autodeterminazione. È chiaro che passiamo solo per intrattenimento. Mentre, invece, da sempre l’arte ti suggerisce soluzioni, ti apre la vita.
DM: Basterebbero delle regole. La cultura deve essere considerata come un elemento fondamentale per la cura di un Paese.
Direi che avete conquistato il mio voto alle prossime elezioni.
DM: Bene, ora ci servirebbe una Rappresentante di Lista.