– di Assunta Urbano –
Negli anni dal 2006 al 2010, passavamo intere giornate davanti alla TV, in attesa che Alessandro Cattelan annunciasse a TRL la hit numero uno della giornata. Oppure su MTV Brand: New, nella speranza di beccare il titolo di quella canzone che si era infilata in testa e non voleva più andarsene. Quelle gioie così minuscole rendevano il nostro ascoltare la musica decisamente più romantico. Proprio dal panorama di cui ho appena scattato una fotografia analogica provengono i Lost. Band vicentina nata nel 2003 dall’unione di Roberto Visentin (chitarra), Luca Donazzan (basso) e Walter Fontana (voce). Tra la gavetta e l’arrivo del successo da giovanissimi, il gruppo si è distinto per i testi carichi di uno slancio di ottimismo e di voglia di guardare al futuro. Il frontman ci ha confessato che la musica è una parte fondamentale della sua vita e da lì abbiamo iniziato a riempirlo di domande, per costruire una sorta di linea del tempo immaginaria della sua carriera musicale, dagli inizi fino ad oggi. Il tutto con una giusta dose di nostalgia.
I Lost si formano nel 2003 e ad oggi hanno una carriera quasi ventennale (non contando la pausa intermedia). Facciamo un salto nel passato, a quegli anni di TRL, che un po’ ci hanno segnato tutti. Cosa “vive ancora dentro te” di quei giorni?
Ero ragazzino, era il 1999 quando ho preso in mano la prima chitarra. Da quel giorno ho deciso di fare musica. Con i Lost abbiamo raggiunto dei traguardi bellissimi; ci siamo ritrovati dal guardare TRL prima da spettatori e poi da protagonisti. Per dei ragazzi di provincia, era ancora più importante questa cosa qui. Portiamo dentro tutto, sia le cose belle, che le cose brutte. Anche l’ingenuità che avevamo, perché eravamo molto giovani. Basti pensare che due dei componenti, il chitarrista e il bassista, avevano fatto la maturità mentre eravamo in tour. Magari andavamo a fare i concerti con i Tokio Hotel, ma tra i libri. Ad un certo punto, abbiamo sentito la necessità di provare a fare altri percorsi, però il richiamo è stato più forte. Le band sono come le relazioni.
Nel tuo percorso, infatti, hai avuto una fase da solista. Quanto è importante, però, per te, il concetto di band?
È molto forte, soprattutto se hai avuto il privilegio di iniziare con quel percorso. Ti accorgi che quando sali sul palco, non sei solo, ma sei insieme a persone con cui hai condiviso anni e anni di vita e sudori. Quello si sente anche nella musica che scrivi. Il mio progetto solista mi è servito per esorcizzare un mio periodo personale e per riprendere con i Lost con uno spirito diverso.
Prima parlavamo di quel periodo in cui eravate “Sopra il mondo”. Confrontiamo il panorama musicale di allora con quello attuale?
Sicuramente è cambiato tutto. Adesso lo dico come se fosse un discorso fatto da un genitore, che parla dei tempi andati. Però, tra i cd e forse anche MTV, c’era una magia diversa, c’era qualcosa di particolare. Quando ascoltavi una band, la seguivi a trecentosessanta gradi, prendevi l’album, la supportavi economicamente. Quindi, se eri ragazzino mettevi da parte dei soldi. Addirittura c’era chi, come me, magari consumava quel cd e doveva ricomprarlo. C’era questo negozio in cui andavo, che permetteva di rivendere dischi usati, io ho preso tutto quello che avevano i miei genitori e l’ho portato lì per comprarmi qualcosa di punk in cambio.
E i tuoi genitori hanno acconsentito?
Secondo me, non se ne sono mai accorti! [ride ndr.]
Ormai agli artisti, invece, non interessa più apparire in TV, mentre dieci anni fa avrebbero venduto la madre al mercato nero.
Ci sono pro e contro. Era molto difficile arrivarci, un percorso molto duro. Mi ricordo che andavamo a qualsiasi concerto e lanciavamo le nostre demo sul palco, alla ricerca di qualche buon musicista che potesse ascoltarlo. Per la TV, invece, magari rimanevi un giorno intero ad aspettare una canzone del tuo cantante preferito. Adesso, questa cosa si è persa, perché tutto è alla portata di chiunque, ma si rischia di prestare meno attenzione. È cambiato il modo in cui si ascolta, si viaggia in playlist. Può succedere che ti piace una canzone, non conosci l’artista e non vai ad approfondire il suo repertorio, il percorso che c’è dietro. Questo prima succedeva, leggevi i testi sul booklet, andavi in edicola e compravi Rock Sound.
Chi ascolta musica in questo modo, forse, non ha vero interesse per la musica stessa. Prima c’era una sorta di fedeltà tra l’artista e l’ascoltatore. I Lost sono tornati da due anni con delle sonorità nuove, una formazione senza batterista, una rinnovazione completa. Canti in “I suoi vent’anni” di “Ricominciare da qui”, che sembra essere proprio quello che succede alla band. Ci racconti di questi Lost 2.0?
Sono dei Lost completamente maturati dal punto di vista musicale. Negli anni abbiamo potuto esplorare nuove sonorità. Abbiamo virato il nostro sound più sull’elettronica, influenzati molto dagli anni Ottanta, che sembrano essere ritornati sia dal punto di vista musicale che dal lato cinematografico. La maggior parte delle canzoni che stiamo scrivendo ora viene fuori mentre facciamo andare avanti un film dell’epoca. Cerchiamo di creare una immaginaria colonna sonora di quella pellicola.
L’ispirazione agli anni Ottanta si nota anche dalla copertina di “I suoi vent’anni”.
Sì e lì dietro si cela un mondo. Ci sono dei personaggi, dai discografici all’ufficio stampa, che sono tutti quelli che abbiamo incontrato lungo il cammino e ci hanno cambiato la vita. Loro non lo sanno, però!
Dopo questo viaggio tra i ricordi, siamo arrivati, dunque, al presente. Ma fino a qui “Come ci siamo arrivati”? Parliamo di questo ultimo singolo uscito il 9 aprile.
Si parla di questa storia d’amore che è finita, tra il malinconico e il nostalgico, ma con una vena ottimista. Quando scrivo cerco sempre di guardare avanti, pur descrivendo quello che ho vissuto nel passato. Il singolo racconta della rottura mesi dopo, quando cominci a capire quello che è successo e inizi a farti delle domande. Penso che ognuno di noi l’abbia vissuto nella propria vita. Le relazioni sono importanti anche quando fanno soffrire.
Il pezzo è il secondo, dopo “Banksy”, pubblicato a vostro nome il 15 gennaio scorso. È in programma l’uscita di un disco o di un EP?
Usciranno altri singoli, però l’EP è previsto per il 2022, perché vorremmo portarlo dal vivo nel modo più adeguato possibile. Poi, chissà, non si sa mai.
Dicevamo prima, che i Lost hanno alle spalle quasi venti anni di esperienza. Da MTV, fino alla collaborazione con Joel Madden dei Good Charlotte per la canzone “Sulla mia pelle”, quale è stato il momento più emozionante?
Di solito dico che è stato l’incontro con Joel Madden, perché ero un fan sfegatato. La collaborazione, poi, è nata tutta per caso su MySpace, la discografica è stata l’ultima a saperlo. Un altro momento speciale è stato un abbraccio con mio fratello, quando a Trieste, nel 2009, ci hanno detto che avevamo vinto come “Best Italian Act” e che poi saremmo andati a Berlino, agli MTV Europe Music Awards. Ricordo quando all’improvviso ho trovato mio fratello che era venuto lì per vedermi. Lì ho capito di aver fatto qualcosa di importante.