Martedì 27 giugno in Piazza Duomo a Milano si è registrato il successo dell’edizione del 2023 del concertone benefico organizzato da Fedez: Love Mi.
– di Silvia Ravenda –
Molti i nomi noti di questa edizione come Achille Lauro, Annalisa, gli Articolo 31 e lo stesso Fedez, Angelina Mango e Francesca Michielin e altri meno noti, ma acclamati dai giovanissimi, come Anna, gIANMARIA, Lazza, Seryo e molti ancora.
L’edizione 2023 ha visto un pubblico di 20.000 persone in piazza ed uno share del 17% per la messa in onda su Italia 1, un successo sotto ogni aspetto.
Nonostante i numeri importanti dell’evento, le critiche non si sono fatte attendere. Così Enrico Silvestrin, ex veejay di MTV, attraverso il suo profilo di Twitter, ha scagliato un commento al vetriolo sia contro il concerto che gli organizzatori: «Già che siete recintati, vi dovrebbero rinchiudere tutti. Disagiati senza cultura», «Anche il pubblico ha l’autotune» ed ancora «Stammerda andrebbe nascosta invece viene trasmessa. Fedez è il divulgatore della merda di questo paese».
Fermo restando che ognuno può e deve sentirsi libero di esprimere le proprie opinioni, siano esse positive o negative, l’accusa di Silvestrin tocca un nervo scoperto della musica che in pochi hanno il coraggio di denunciare, ma Silvestrin se la prende con gli interlocutori sbagliati. Se eventi come il Love Mi – nel quale concordo aleggi mediocrità, condita da massicce dosi di autotune – sono enormi successi, la colpa non è di Fedez, né del pubblico: la colpa è solo nostra.
Lo scorso 10 aprile Gino Castaldo, critico musicale, parlando di “Mon Amour“, una delle ultime uscite di Annalisa, aveva già evidenziato come il mondo della musica commerciale era totalmente genuflesso a favore di ritmi che strizzavano l’occhio a social come TikTok, denunciando il declino della qualità a beneficio del guadagno facile.
In questi punti di vista, seppur condivisibili, manca però una trattazione completa: si racconta solo il finale della storia senza una narrazione del prima e questo rischia di creare la ciclica frattura generazionale, che vede da sempre la musica dei figli incomprensibile per i genitori.
Con l’avvento di internet e soprattutto dei social, il mondo della musica si è dovuto adattare alle nuove leggi della discografia, che impongono ai musicisti la presenza sulle piattaforme streaming, tanto quanto sui social, luoghi in cui spesso il talento e la velleità artistica passano in secondo piano, a favore di una corsa sfrenata al follower.
Torniamo però indietro di qualche anno: come si viveva nel modo pre-social?
La musica commerciale usa e getta è, infatti, sempre esistita: tormentoni estivi, ritmi dance scadenti hanno da sempre accompagnando le estati di tutti. Indipendentemente dai social, nelle radio imperversavano i vari Dragostea din tei o Scatman, che tutto erano fuorché lavori qualitativamente elevati.
Nemmeno il mondo della discografia se la passava tanto meglio. Chi è nato tra gli anni ’70 e ’90 conosce benissimo la pirateria o il peer to peer, e siti come Emule erano di uso comune ai più, per non parlare della massiccia masterizzazione di CD o musicassette in voga tra i giovanissimi – ma non solo.
Se le cose nella “preistoria” digitale non erano tanto meglio di oggi, perché allora ci si ostina a scagliarsi contro questo mondo?
Seguendo il principio del rasoio di Occam, la risposta più semplice è: perché non lo capiamo o vogliamo a tutti i costi non capirlo.
Chi è stato adolescente negli anni 90, come me, aveva a disposizione moltissimi bacini musicali da cui attingere.
Gli anni 80 erano belli che finiti eppure la loro eredità risuonava nelle casse delle radio e nelle neonate televisioni come MTV e Video Music. Generi come il Grunge, l’hip hop, il Brit Pop, imperversavano nei palinsesti radio esattamente come la dance o la canzone d’autore. In Italia, poi, abbiamo avuto un floridissimo decennio alternative che ha visto nascere gruppi come Marlene Kuntz, Afterhours, 99 posse, Prozac+, CSI rinati come fenice dalle ceneri dei CCCP, Mau Mau e Almamegretta (fra gli altri).
È davvero impressionante la vastità musicale di cui abbiamo goduto in quella fortunata decade, e se questo è avvenuto è grazie all’eredità musicale lasciataci dal decennio prima,che a sua volta ha goduto delle eredità musicali delle decadi precedenti.
Nel 2000 si è però visto un calo di entusiasmo in termini di produzioni, molte cose erano già state fatte e le generazioni stavano cambiando. Alcuni gruppi hanno provato a riciclarsi producendo dischi simili ai fortunati predecessori, altri gruppi si sono sciolti. In questo contesto l’avvento di internet, dei talent e la conseguente globalizzazione del mercato discografico hanno lanciato il colpo di grazia.
La mia generazione cresceva e per nostalgia dei tempi andati andava a ricercare cose già sentite ed il mercato che, in quanto tale, deve fatturare, non ha fatto altro che assecondare il pubblico pagante, ovvero noi.
Tranne qualche eccezione, gli anni 2000 non hanno innovato nulla, le produzioni sono diventate ripetitive ed i dischi tutti uguali. Questo è quello che la mia generazione ha lasciato a quella nuova, una moltitudine di noiosi dischi copia-incolla nonché di musicisti boriosi che si arrogano il diritto e la pretesa di essere loro “i veri artisti”.
Gli anni 2000 hanno seminato sterilità innovativa, non siamo stati in grado di lasciare in eredità nulla alle nuove generazioni, ed ora dovremmo lamentare che diffondono mediocrità?
Cosa è stato fatto da noi, adulti di oggi, adolescenti di ieri, affinché questo non avvenisse?
Le nuove generazioni comunicano in maniera differente da noi, i social sono uno strumento, purtroppo o per fortuna, necessario se si vuole comunicare con i ragazzi di oggi. La cosa mi piace? No decisamente, ma se la mia intenzione è quella di creare dialogo, di portare conoscenza musicale devo imparare a comunicare come loro utilizzando i loro strumenti. Eppure le rock star “datate” preferiscono scagliarsi contro ogni possibilità comunicativa anziché attrarre ragazzi utilizzando un linguaggio a loro conosciuto.
Se a questi ragazzi abbiamo lasciato un paese senza speranza, un’istruzione disastrosa, un’eredità musicale inesistente la colpa è di tutti noi, nessuno escluso.
Se c’è una generazione che ha fallito, è la nostra, e dovremmo rendere conto di questo, oltre che chiedere scusa.
Dissento apertamente da questa posizione di S R a dir poco, come critica, musicalmente incollocabile. L’articolo dimostra un retrivo pensiero peraltro basato su una cultura musicale apparentemente raffazzonata come l’italiano che in esso si esprime. Peraltro l’unico scopo dell’autrice pare sia quello di accaparrarsi follower (un po’ alla Fedez che tanto critica) da gestire (a loro insaputa) in una variegata mestieranza via web. SR forse è meglio che tu faccia altro? Geraldino…il tuo vicino.