Un processo di rottura come spesso dovrebbe essere naturale aspettarsi dai linguaggi d’arte. Eppure siamo sempre più abituati a restare cheti e mansueti, addomesticati da linguaggi “normali”, già testati, già avallati e promossi dal sistema. Ed invece Mario Alessandro Camellini, ovvero M.A.C., rompe molti degli schemi certificati e ci regala un esordio che, manco a dirlo, risulta (per fortuna), difficile ed ostico. Si intitola “Un pianeta su nove” pubblicato da Stanze Dischi e arrangiato da Luca Spaggiari. Letteratura in forma poetica, declamata in melodie cantate, dai contorni per niente urgenti ne facili da definire. E le musiche di matrice punk nell’istinto vocale, con questo “downtempo” spirituale che spesso caratterizza il climax dei dipinti di M.A.C. che – a quanto pare – non sono rivolti verso la luce piena, quanto più verso l’oscurità precoce. Riflessioni importanti che sono ostiche da mandar giù sia per il linguaggio diretto sia per l’estetica spesso a prova di concentrazione e di accettazione. La vera rottura ha avuto inizio con il primo singolo estratto dal titolo “Livore”. Da lì ad oggi è un susseguirsi di condanne sociali o di acclamazioni entusiastiche. Nessuna via di mezzo perché M.A.C. non lascia indifferenti.
Il nuovo video è “Alchimia”. Date orecchio ed occhio…
Guardandoci attorno. Una scena indie comandata a tavolino dal mondo digitale. Che rapporto ha M.A.C. con il digitale e l’elettronica?
Se per scena indie “Comandata a tavolino dal mondo digitale” alludete a Calcutta, a Tommaso Paradiso & co, a Vasco Brondi e a tutti i loro derivati è presente alla base di questa osservazione un errore: i musicisti che ho citato di indipendente non hanno nulla.
Di certo non voglio, almeno in questa dimensione, contestare il valore artistico degli artisti citati, ma per quanto riguarda le mie orecchie la musica indipendente è ben altra, mi spingo a farvi degli esempi: i Massimo Volume, gli Offlaga Disco Pax, Giorgio Canali. E a questi ultimi del mondo digitale non frega nulla, o meglio, devono stare al passo con i tempi, di conseguenza devono apparire anche sui social e sulla dimensione web. Cosa che faccio anche io! Ma il pensiero che l’arte “che conta” venga digitalizzata per stare al passo con i tempi mi rattrista non poco! Purtroppo per crearsi uno spazio bisogna stare al passo con i tempi. Ma il concetto che la musica per essere veicolata al meglio deve essere digitalizzata mi indispettisce non poco.
La tua intenzione era quella di fare un prodotto di trasgressione o hai semplicemente seguito l’istinto?
Ciò che scrivo e compongo è la trasposizione in musica di quello che vedo, di quello che provo, di quello che colora il mio vissuto e la mia vita.
E nella vita quotidiana? Raccontaci di Mario Alessandro Camellini: sei quello che scrivi, cerchi di assomigliargli, oppure lo tieni a distanza?
Sono quello che scrivo ahimè! Purtroppo non riesco a sublimare le sofferenze con la musica, ma, con un po’ di presunzione, mi sento di dire che la musica ha bisogno di sincerità. E le mie canzoni sono sincere, malgrado il fatto che non mi bendo gli occhi. Non esplico solamente i cazzi miei. Di tanto in tanto in quello che scrivo è presente uno sguardo nei confronti della realtà, della società e pure dei cazzi degli altri.
Il nuovo video direi che ha contribuito a spezzare in tante parti la critica. Bellissima però questa metafora di vita e di emozione attraverso il profumo. Alchimia anche nel vivere. Com’è nato questo brano?
Alchimia è la prima canzone che ho scritto, a 14 anni, di conseguenza a lei sono molto legato. Com’è nato questo brano? È nato e basta! Le mie canzoni nascono senza la pretesa di avere al loro interno una ragione d’essere. Evito di citare cose come l’irrazionalità, ma quello che ascoltate è il frutto di una o più emozioni che vivo quando mi approccio alla penna e al pianoforte.
E restando in tema di critica: com’è stato accolto questo disco? C’è stata quella rottura che mi sarei aspettato personalmente?
La critica, per il momento, ha accolto con entusiasmo il disco. Ma molto schiettamente non mi sarebbe dispiaciuto disturbare con più forza i giornalisti. Ammetto questa ambiguità semplicemente perché la mia musica è disturbante. E mi sorprende che questo elemento non sia emerso fino ad ora.
Ad oggi M.A.C. è più scrittore, poeta, musicista o cantautore?
MAC è un nomade. Adesso sono avvinghiato dal desiderio di fare musica, ma sono un nomade, nella vita, e anche nell’arte. Ma non sta a me dire che sono un nomade dell’arte. Ma sarei estremamente orgoglioso di essere definito “Un Nomade dell’Arte”. Lo ammetto!