– di Assunta Urbano –
Il duo electro pop che porta il nome Diamine nasce a Roma dall’unione delle due menti di Andrea e Niccolò. Il progetto prende una sua forma nel 2017, con la pubblicazione del primo brano inedito Da Qualche Parte.
Il tutto continua a concretizzarsi sempre di più con il passare del tempo. Infatti, nel novembre 2019 esce, con un video di Jacopo Farina, Bolle Di Sapone, il primo dei tre estratti che hanno anticipato il disco d’esordio, Ma Che Diamine, fuori l’1 maggio. Al brano seguono Ma Di Che e Isolamento – i cui video sono stati diretti, il primo da Olmo Parenti e Marco Zannoni, ed il secondo dal collettivo bendo – ed il nuovissimo pezzo in uscita oggi 3 aprile Via Del Macello.
E oggi, mentre ascoltiamo il lavoro nella sua versione completa, leggiamo quanto ci ha raccontato Andrea Imperi per farci catapultare nel progetto.
Uno dei singoli che ha già preannunciato l’uscita del disco d’esordio intitolato Ma Che diamine è stato Isolamento del 24 marzo. Il pezzo parla di una condizione più interiore che esteriore. Nei giorni difficili che stiamo vivendo, qual è, secondo te, il “compito” degli artisti?
Il ruolo degli artisti è sempre lo stesso: quello di cercare in tutti i modi di arrivare ad una comunicazione che dia la sensazione di unirsi. Dovrebbero inventare una nuova parola per il concetto di “non solitudine”. Si tratta di fare in modo che la condizione interiore di qualcuno venga condivisa ed è quello che un po’ ha affascinato me quando ho ascoltato la musica per le prime volte da bambino. Una gioia o una tristezza comune e, condividendola, ci si sente meno soli. In questo momento, più che mai, tutti chiusi nelle stanze. L’arte e la musica sono dei mezzi potentissimi. C’è qualcuno che ti parla e in italiano ti arriva anche di più, dato che capiamo in modo più immediato quello che ci diciamo. L’artista deve cercare di arrivare in quel mondo profondo con una leggerezza, che non deve essere superficiale, e aiutarti a guardare la vita diversamente anche solo per quei tre minuti.
È vero. Poi, in molti in questo periodo stanno suonando in piccole dirette live in streaming sui social. Come lo vedi questo modo di comunicare?
Li vedo un po’ finti come il sesso virtuale. Purtroppo il bello del live è la vera presenza fisica. Non credo si possa soppiantare quel tipo di situazione con questa, però aiuta. Facciamoci aiutare dalla tecnologia, perché no?
Il 3 aprile è uscito l’ultimo singolo prima del disco. Cosa succede in questa Via Del Macello?
Via Del Macello è un brano che si basa sul dubbio di una persona qualunque in una qualsiasi giornata, che poi si trasforma in un qualcosa di più generale. Quando si parla di qualcosa di reale, quello che tu senti dentro, quando hai a che fare con delle sensazioni, come fai a capire che sono indotte dal mondo esteriore? Sensazioni a cui puoi appoggiarti e dare una sorta di affidamento. Come fai a dire se ami una persona oppure no? È difficile. È una canzone che fa il bagno nell’abisso del dubbio. Dobbiamo avere il coraggio di infilarci in questa incertezza e prenderla in maniera leggera. Si ha sempre paura dell’incertezza, bisogna avere il coraggio di non evitarla. Attraverso una piccola storia, qui volevo cercare di tirar fuori la forza di convivere con il grosso dubbio generale che ci può essere, legato a quello personale.
Sicuramente questo si sente molto nel pezzo. Bolle Di Sapone è un’altra chicca interna al lavoro completo, con la sua atmosfera sognante. Parliamo proprio di come ne è nata l’idea e di questa sorta di interpretazione libera data al pubblico.
In realtà, in quel caso mi rivolgevo in modo semplice ad un amico in difficoltà, come potevo essere anche io un mese prima. Volevo semplicemente dare un po’ di tenerezza alla situazione. Lo faccio per tutte le canzoni, per la verità. È importante che ci sia un segreto dietro, che ognuno interpreta a modo suo. È quello che rende il pezzo più divertente per me. Altrimenti le canzoni sarebbero dei saggi oppure degli aforismi. In una canzone non basta dire le cose come stanno, bisogna metterci del personale e della follia. Un’altra cosa fondamentale per l’uomo. Siamo unici proprio perché ognuno ha la sua specifica follia. In fondo, ci innamoriamo anche delle follie degli altri. Al contrario saremmo solo delle macchine.
Invece, tra le tre tracce, Ma Di Che si presenta leggermente diversa dal vostro sound. C’è una concentrazione maggiore sul testo e si mette in discussione la funzione delle parole. Parafrasando Nanni Moretti, le parole sono ancora oggi importanti? E in un certo senso, ti rigiro la stessa domanda che avete posto agli ascoltatori “ma di che stiamo parlando?”
Sì, le parole sono importanti, ma per me. I dati dicono che i ragazzi oggi non vogliono né dire, né sentirsi dire qualcosa, così come nel caso della trap. L’uso della parola è importante perché si impone come un tentativo di comunicazione. In quella canzone lì, invece, cercavo di distruggere la parola in quanto senso compiuto. Tentavo di seguire un flusso, allontanandomi dalla razionalità e dalle idee senza preoccuparmi di cosa volevo dire. Semplicemente collegare delle immagini l’una con l’altra e seguendo un filo che non ha un inizio e non ha una fine. Ed è lì che ti chiedi “di che parliamo quando ci parliamo?”. Puoi intendere una tua cosa personale, come io ne ho una mia. Attenzione ad affidarsi alle parole se non sappiamo usarle bene e dobbiamo sforzarci. È stato un divertimento per me, più che un concetto. Quando comincio a scrivere non so mai se il testo in questione può essere appetibile per una canzone. In quel caso era interessante scrivere delle parole che non avessero un senso logico, ma da cantare e ballare senza motivo.
Parlando più precisamente del progetto, Diamine fa parte del roaster della famiglia di Maciste Dischi. Ha influito – e, se sì, quanto – questo sul vostro processo creativo?
Noi cerchiamo di non farci influenzare, ma inevitabilmente quello che c’è in giro e quello che sentiamo ci cambia e in qualche modo ci attraversa. Maciste Dischi per noi è stato un confronto anche artistico, non solo un “far parte di un mondo”. Ci sono stati tutti aspetti utili per la crescita di un progetto. È importante avere un orecchio esterno, perché l’artista è un po’ come un muro, non sa bene come viene ascoltato. Ci sono dei pezzi che tu ami in una maniera viscerale, ma sono troppo personali. Poi ce ne sono altri che riescono a parlare alle persone. Attraverso quel filtro capisci cose diverse, è utile e diventa sempre più fondamentale. Allo stesso tempo, non siamo persone che si fanno influenzare da idee troppo esterne. Noi non sentiamo di appartenere a nessun mondo musicale in generale. Siamo semplicemente due persone che si incontrano e fanno musica. Non abbiamo obiettivi quando cominciamo. Con Maciste Dischi il confronto è sempre stato costruttivo.
Ovviamente non potevamo salutarci senza parlare del disco appena uscito. Che cosa rappresenta, per voi, Ma Che Diamine?
Per noi è una buona espressione di quello che avevamo immaginato all’inizio. Per noi, intanto, è una vittoria personale essere riusciti a rimanere insieme fino alla fine. Sicuramente si è trattato di un’evoluzione personale. Ci ha portato a mettere in discussione tantissime cose. Per quello ora amiamo tanto l’incertezza, perché frequentandola e accettandola come parte della realtà, non si sta neanche male. Chi lo ascolta si può aspettare qualcosa di molto onesto ed uno sguardo anteriore che spesso è molto facile da trovare anche all’esterno. Non è un concept album, però, ogni canzone è una “concept song”. Ognuna ha una sua virtù ed un suo demone. Il disco è un insieme di demoni, di follie, è un insieme di sensazioni vissute e portate all’estremo.