Come raccontare in poche righe un progetto così importante ed esteso come questo nuovo disco di Marco Cantini? Lui che già con “Siamo noi quelli che aspettavamo” che viene considerato come esordio ufficiale anche se esordio in fondo non è, mette chiaro in mostra quanto sia importante la parola, il messaggio, la descrizione. E al tempo raccontava la storia italiana delle rivoluzioni di popolo, l’emancipazione, il ’77 bolognese e il tramonto di un artista (in qualche modo di rottura) come Andrea Pazienza. Oggi torna in scena con un disco se vogliamo ancora più bello, a conferma di una evoluzione della maturità e della consapevolezza. Si intitola “La febbre incendiaria” in cui mette a fuoco con 14 inediti il romanzo di Elsa Morante dal titolo “La storia”. Siamo di nuovo tra le braccia di questi anni ’70, anni di rivoluzione e di cambiamenti e Marco Cantini, paradossalmente, non sposa alcuna rivoluzione… piuttosto si affida a forme e suoni classici della tradizione cantautorale, un conservatore di grande gusto e mestiere che crede nella purezza del bello e dell’eleganza senza cercare il nuovo, la trasgressione. Non è un disco digitale ma un disco suonato, anzi proprio registrato da esecuzioni live in studio. Diretto dal violinista Francesco Moneti e dal sassofonista Claudio Giovagnoli, “La febbre incendiaria” è un bellissimo ricamo letterario di canzoni che non si affidano all’estetica di un ritornello facile ma hanno la forza per ignorare mode e tendenze e si rendono stabili di una personalità forte di quello che realmente è. Un disco impegnativo, tanto, ve lo preannuncio. E l’intervista che segue ne dà una chiara prova.
Voglio essere polemico. Anzi voglio subito lanciarti l’assist per una polemica. Dopo aver ascoltato un disco di Motta o uno di Mahmood, mi chiedo come sia possibile che artisti come te trovino senso e forza per realizzare opere di questo livello e di questa cifra stilistica. Insomma: non ti sembra di parlare al vento? Sfogati te ne prego…
Intanto, credo che si debba sempre cercare di dare il meglio di noi stessi: il fatto che gli ascoltatori siano due, o due milioni, non deve mai condizionare un processo creativo. Non potrei mai criticare l’opera di cantanti che oltretutto conosco poco o niente, semmai ho sempre condannato duramente l’approccio di chi fa musica con l’intento di rincorrere facili target emozionali, senza sincerità. Scrivere testi o musica, così come dipingere o cimentarsi in qualsiasi altro tipo di arte, dovrebbe essere la naturale conseguenza dell’esigenza impellente di chi ha qualcosa da dire (ciò non è scontato), e deve tirarlo fuori per potersi sentire meglio. È per questo che comincio sempre scrivendo per me stesso. Dopodiché, nasce inevitabilmente il desiderio del confronto con il pubblico.
Un disco importante che prevede molta attenzione. Oggi siamo figli di un’educazione che non prevede il tempo come risorsa da investire. Tu invece nel tempo sguazzi come un principe, il tempo lo racconti, il tempo è foriero di ispirazione e di contenuti. Totalmente fuori dalle righe di questa società oserei dire…
Il tempo passato per me ha un fascino assorbente, così come tutte quelle storie degne di essere raccontate. Nel tempo, è cambiato sensibilmente anche il mio approccio alla scrittura: quando si è molto giovani, non possiamo fare a meno di scrivere senza un sussulto di solitudine, anche se fittizio. Da maturi, è più facile ricercare il sapore di società ed umana compagnia.
“La febbre incendiaria”: perché questo titolo? Come lo leghi al romanzo della Morante?
Ovviamente è un titolo dalla forte impronta metaforica, che ha inevitabilmente a che fare con il desiderio impellente di cambiare; con le rivoluzioni, o con le parodie di esse: l’incendio che comincia con una scintilla, e alla fine lascia sempre cenere dietro di se. E poi, non è forse quella stessa febbre che attanaglia personaggi come Nino Mancuso, Davide Segre o Manonera? Se si è letto il romanzo, è facile capire.
Elsa Morante: perché questa scrittrice, perché questo romanzo ma soprattutto perché una storia che in fondo non ti appartiene?
Non capisco cosa intendi, nell’affermare che non mi appartiene. Le vicende narrate nel romanzo “La Storia” sono state quelle di un popolo intero, appartengono a tutti, e in fondo non sono poi così lontane come possono sembrare. Oggi, a distanza di 45 anni dalla sua uscita, la spaventosa attualità del libro resta inalterata. Così come intatti restano i corrotti meccanismi del potere. Credo bastino queste elementari considerazioni, per comprendere i motivi della mia scelta.
E se ti dicessi di pensare a scrittori contemporanei, magari qualcuno di più vicino a te, a chi penseresti?
Come ogni lettore, sento molto vicini a me quegli scrittori, filosofi o poeti – di qualunque epoca o provenienza -, che sanno ancora emozionarmi a distanza di anni. Questa è la sublime forza della grande letteratura e dei grandi classici che ancora oggi, almeno per me, si lasciano preferire. Detto questo, amo leggere qualsiasi cosa che non mi faccia perdere tempo: dai generi più disparati, purché ne valga la pena. Oggi in Italia pare ci siano più scrittori che lettori, e ciò dovrebbe far riflettere.
P.s. rispondo a Marco Cantini quando mi chiede cosa intendo con il dire “una storia che non ti appartiene”. Perché in fondo, nella superficialità del tutto e subito, si resta sempre colpiti quando qualcuno oggi fa sue vicende che nell’immediato non hanno intaccato il suo vissuto quotidiano. Per me, per noi tutti, la grande guerra mondiale resta – nell’effimero e nell’immediato – solo qualcosa da riscoprire anche grazie a romanzi epocali come quello della Morante edito nel ’74. Quindi, con un’espressione certamente poco corretta, volevo solo chiedermi perché di tanto vissuto attorno, tangibile ed immediato, un artista giovane si lasciasse contaminare da qualcosa che, anche se di tutti noi lo sarà per sempre, non è accaduta oggi, sulla nostra pelle, nell’immediato vissuto. Anche questo, in fondo, testimonia di quanto un disco come questo custodisca una ricchezza culturale e una sensibilità che difficilmente oggi trova spazio nelle produzione osannate dai grandi media.