Lo scorso venerdì 13 gennaio è uscito il primo album di Piove, intitolato “Miracolo”. L’artista avant-pop “metaversale”(*), fluida e ibrida che mischia Futuro, Anime, Digital 3D Art, Elettronica Industrial e Hip Hop, si mette a nudo nelle 10 tracce uscite per Woodworm label e Universal.
– di Roberta Staffieri –
“MIRACOLO” è stato anticipato dai singoli “Fuoco”, “Sabba” e “Futuro HD”, la traccia che sviscera la trama dell’album creando un fil-rouge che percorre tutto il progetto.
Il disco è composto da 10 tracce ed è un mix di riflessioni a tema sci-fi: Alienazione umana, Transumanesimo, schemi sociali, crisi economiche e climatiche sono i punti chiave dell’album che, attraverso Hyperpop e Digital Art, ci racconta il futuro che verrà.
La realtà è difficile da accettare ultimamente, ma perché preoccuparsi quando abbiamo internet?
Città, negozi, uffici, relazioni, nuovi mercati, qualsiasi cosa ci serva si trova in rete. Non abbiamo più bisogno di uscire di casa perché la rete, in alternativa, offre un modello di perfezione paradisiaca: possiamo essere chi vogliamo, quando vogliamo, con il corpo che desideriamo in una dimensione priva di diversità e sofferenza.
Possiamo essere finalmente Dei, scordarci delle fragilità terrene, buttarci alle spalle morte e desolazione verso un’immortalità fatta di memoria artificiale.
Ma l’idea di incarnare Dio trasformandosi in macchina porta con sé un nuovo inganno per l’uomo del futuro che rischia di perdersi nelle gelide sequenze dei codici binari.
Ciao Piove. Cominciamo dalle conclusioni. Credi che la realtà sia sostituibile dal realistico?
Ciao, per me si parte da un’idea e poi si prova a realizzarla. Tanti contenuti della letteratura sci-fi sono realistici e poi diventano reali. Big Brother di Orwell è del 1984 e racconta di un futuro invaso da telecamere che ci guardano, sulla metro mi rendo conto di essere circondata dagli smartphone degli altri.
Le nostre connessioni mi sembrano filtrate da computer e smartphone, più di prima non ci guardiamo, è la telecamera che ci guarda, abbiamo delegati virtuali che al nostro posto si manifestano sotto forma di mail e post, ogni giorno contribuiamo a realizzare questa idea di vita. È un punto di vista spaventoso ma anche attraente, perché chissà dove porta.
Ultimamente io e Angelo siamo attratti dai generatori di arte AI come Midjourney, e ci chiediamo come queste tecnologie possano ridefinire l’arte visiva, così come è successo per la musica dopo Spotify e Splice. Lui dice “è finita per la categoria”, io mi cago sotto ma poi vorrei sperimentare.
Ok, ora posso tornare senza remore all’inizio. Come nasce il tuo progetto?
Dalla musica, ho scritto e prodotto tre tracce che sono piaciute a Woodworm, tutto quello che è successo dopo è frutto di un percorso fatto insieme. Woodworm che lo voglia o no è mentore artistico di questo album, le visioni sono di entrambi, la sua frase ”cosa vogliamo dire al mondo?” ha rimbombato nella mia testa per due anni, senza di loro sarei stata molto più estemporanea e meno conscious.
L’estetica è una fondamentale. Quali sono i motivi di questo legame e come sei arrivata all’attuale mood?
Con l’album ho rappresentato musicalmente e artisticamente quello che mi piace. All’interno delle tracce è pieno di simboli, link, livelli, labirinti. L’estetica suppongo sia il risultato di un’alchimia simile a quella del cibo, diventa interessante solo quando sai miscelare bene gli ingredienti e questa è la scintilla che mi muove. È una questione di ricerca e identità, ma anche di gioco e creazione. È il ruolo che scegli di avere nel mondo, l’impronta che lasci.
Il mood è sempre lo stesso, mi piace abbinare industrial a hip hop, nostalgia a visual 3d, in una gamma di influenze da Kendrick Lamar a Grimes, da Sophie a Neon Genesis Evangelion. Forse Angelo che cura con me la parte visiva ha aggiunto horror più di quanto avrei fatto da sola.
L’idea del Metaverso, di una realtà alternativa è sempre stato un cavillo umano, ma spesso si confonde la soluzione con la via di fuga. La musica oltretutto è una via privilegiata per scappare un po’. Che facciamo, fuggiamo o restiamo?
Io fuggo. Quello del Metaverso per me è realtà, è un concetto vecchio due decenni, le novità di cui si parla in questo momento sono la cryptoart, il meta fashion, i social tipo Spatial che forse no, ma potrebbero dare un plus ad alcuni network, come Discord lo fu per il gaming. Io vengo travolta dai cambiamenti tecnologici mio malgrado come lo siamo tutti, la musica la faccio da sola, scrivo e produco nel computer, l’album è stato finalizzato da remoto anche se ho lavorato in team, sono digitale.
Dietro a tutto questo c’è una sfumatura Hikkikomori, secondo me non solo in me ma nella mia società. Spesso i luoghi d’incontro sono noiosi, c’è una fatiscenza fuori, un’umanità che mi tocca raramente, decoro depresso, gente bloccata, rassegnata o all’opposto sempre incazzata, ho l’ansia.
Il mondo della musica indipendente è in continuo mutamento, e piano piano si comprende che non esiste definizione per incastrarlo ma tocca ascoltare, tanto. Se si potesse farlo, come lo definireste?
Secondo me è “personale”. Dietro la musica ci sono persone, ognuna con obbiettivi e gusti diversi. Semplificando, quando i gusti e gli obbiettivi di più persone combaciano si creano le scene, il mondo della musica indipendente è fatto di micro scene, dentro c’è tutto. Dal neomelodico allo shoegaze, dalla techno hardcore al liscio, dall’hiphop all’opera. In questo patchwork capire chi sei e cosa vuoi, chi sono gli altri e come interagire non è semplice, sei bombardato da stimoli, soprattutto se sei curioso. Il gusto dipende dall’ambiente che ti circonda, da quello che ascoltano gli amici, i parenti, se hai studiato musica o vieni dalla strada. È un tessuto culturale talmente caotico che la parola più giusta per definire il mondo musicale resta “personale”.
Piove. Quale sarà il tuo volto prossimamente?
Quello di Bill Murray.
Scherzi a parte, se vuoi uno spoiler sappi che il disco uscirà anche in vinile, questo dovrebbe essere il prossimo passo!