– Manuela Poidomani –
Giovedì 29 ottobre. In tempo di pandemia non si può pensare a delle conferenze stampa in presenza, così l’unica soluzione che resta è Zoom. Alle 11:30 ci colleghiamo ed eccoci lì: giornalisti in versione casalinga, con tanto di librerie alle spalle, e l’artista del momento: Davide Dileo, o meglio Boosta (noto anche per essere tastierista e co-fondatore dei Subsonica), che venerdì scorso ha fatto uscire Facile, un disco strumentale composto di melodie, pianoforti ed elettronica. Un artista che da sempre ha avuto la passione e la predilezione per il suono e per il concetto di colonna sonora.
Facile è un disco che nasce dalla possibilità di poter suonare in un momento in cui non c’è spazio per la musica dal vivo. Ma a Davide non interessa: “Nel dramma di questa finestra la musica rimane uno strumento utile, uno strumento indispensabile nella vita quotidiana di ciascuno di noi”.
Nella piccola finestra del pc si vede un Davide disinvolto, a suo agio, nel suo spazio vitale (mi permetto di definirlo così): lo studio di registrazione Torino Recording Club, dove è nato tutto.
“Buongiorno a tutti, come state? Sono onesto, mi fa un po’ strano chiacchierare del disco in queste condizioni; spero quindi di essere il più rapido possibile e di dirvi quello che mi auguro siate felici di sentirvi dire. Nella mia vita ho un’unica certezza: la musica è ciò che so fare bene e in questa situazione così drammatica ho voluto realizzare questo mio progetto di vita. Vorrei che questa fosse la seconda parte della mia esistenza”.
Boosta definisce Facile come il suono del suo silenzio. “Amo stare da solo e non ho particolari esigenze di compagnia. Credo che il silenzio sia uno spazio sacro, fondamentale per qualunque cosa: per l’ascolto verso l’altro e per l’ascolto verso sé stesso. È qualcosa di cui ho bisogno e per me rimane essenziale”.
Come è nato questo nuovo progetto di musica strumentale e cosa ti ha ispirato nella scrittura?
La musica è qualcosa di magico. Quando senti l’esigenza di scrivere è perché hai una necessità di osservazione e consequenzialmente il testo che scrivi si riferisce a ciò che vedi e ciò che senti. Nella musica strumentale è diverso: l’artista inizia a suonare con l’unico fine di fare qualcosa che lo faccia realmente stare bene, fino a portarlo a emozionarsi da solo. Più passa il tempo e più mi accorgo di voler suonare delle cose che mi piacerebbe ascoltare più che delle cose che ad altri piacerebbe ascoltare. Attenzione però: questo non vuol dire essere presuntuoso ma semplicemente onesto; più lo siamo più abbiamo la possibilità che qualcuno si affezioni a ciò che siamo. Se stai facendo qualcosa e ti emozioni, vuol dire che sei nel posto giusto e che stai facendo la cosa giusta.
Questo disco l’ho fatto per me. Poi ovviamente c’è sempre un po’ di ego personale che spera che quello che fai possa piacere a tanti, ma questo presupposto è il punto di partenza, che non può essere in funzione di qualcos’altro. Ad oggi è come se tutti stessimo diventando un po’ sbiaditi ed è necessario recuperare una complessità, per andare più a fondo, che non vuol dire per forza essere artificiosi e “difficili”. Io ho voluto fare un disco onesto; che cazzo me ne frega? Ho quarantacinque anni, sono felice, faccio quello che voglio e vivo ancora grazie al mio mestiere. Affermo: “Sto piuttosto bene”.
Il disco si chiama Facile: cosa c’è di facile in tutto questo?
La musica ha la capacità di creare una relazione binaria con ognuno di noi. Non importa se è tecnicamente, armonicamente o melodicamente impegnativa: essa è facile perché o ti dà qualcosa o non te la dà. È uno strumento di vita dove l’importante non è il motivo per il quale uno compone ma quello che la musica diventa per le persone che ascoltano.
Con il brano intitolato Fiducia cosa volevi trasmettere? Sartre disse: “La fiducia si guadagna goccia a goccia, ma si perde a litri…”
Ciò che reputo importante è che ognuno abbia la sua visione su ogni pezzo: la musica serve a questo. Rispetto a questa domanda posso farti un discorso un po’ più ampio. Quando ho compilato la tracklist del disco continuavo a eliminare pezzi (comunque molto validi), così da lasciare molto più spazio al suono. Non è una mancanza di fiducia ma più banalmente la mancanza di certezze (di cui onestamente, ora come ora, non sento di aver bisogno). La fiducia io la intendo come una semplice lastra sottile che si può spezzare.
Ognuno è libero di incollare i proprio sentimenti e le proprie immagini su ogni brano e a sua volta dare un titolo a ogni traccia. La musica è la forma d’arte più veloce; tu puoi essere totalmente disinteressato all’arte generale ma non ci sarà nessuno nella vita che non avrà una sua colonna sonora. È un collante e un calmante sociale pazzesco. I titoli che ho dato io è come se fossero l’unico testo del disco: la mia firma sotto un quadro. Ma nel momento in cui il disco diventa di tutti, ognuno è libero di farci ciò che vuole.
E per quanto riguarda il problema del mondo dello spettacolo in questo preciso momento storico, cosa vuoi dire?
Arrivo dall’ultima data sold out dell’estivo a Siena al Teatro dei Rinnovati e devo dire che ho notato una cosa molto importante: le persone che si sono approcciate in questo periodo agli spettacoli dal vivo lo hanno fatto in maniera molto consapevole. C’era un grande rispetto da parte di tutti quanti. Il saluto è stato molto commovente, l’applauso finale emozionante; ho notato per la prima volta una gratitudine infinita negli occhi delle persone che mi stavano ascoltando. Il periodo è sicuramente drammatico e ognuno deve fare la sua parte, ma soprattutto mi sono ripromesso che non farò polemica. Fatto sta che si continua ad avere incertezze e a parlare di “attività superflue”, come siamo stati definiti: è qualcosa di inadeguato. È un problema di comunicazione e di forma, più che di contenuto, che è comune anche negli altri stati. La relazione che si è creata è come se fosse basata su un’immensa bugia.
Quali sono gli artisti di musica strumentale da cui prendi ispirazione?
Mi piacerebbe farmi crescere le basette e diventare come un minimalista del 1900. Tra i molti, direi Federico Mompou, un compositore che ha vissuto una vita mediocre, ma non nell’accezione negativa del termine. Ha scritto una serie di composizioni di una delicatezza e di una profondità incredibile e tra le mie preferite c’è Pagliaro triste, un pezzo al tempo stesso romantico, malinconico e nostalgico. La bellezza sta quindi nell’immaginare una persona normale che scrive una canzone meravigliosa con una potenza lirica strepitosa.
Mi sono anche appassionato a tratti al movimento Fluxus e in particolare a questo compositore di nome Giuseppe Chiari. Sono andato a fare visita a un museo e c’era una piccola stanza che parlava di questo musicista; al suo interno è stata un’immagine a colpirmi: una stretta di mani che discutevano tra di loro su un pianoforte. Il suono era il riflesso delle mani che litigavano ma al tempo stesso si accarezzavano. Era qualcosa di puramente ipnotico. Oltretutto c’era anche un lavoro di cinque spartiti con sopra scritto dalla sua grafia: “La musica è facile”. Lì ho capito che ero nel posto giusto.
In generale ascolto tanta musica strumentale, ma sicuramente The Köln Concert, del pianista jazz Keith Jarrettm è il mio disco della vita, da sempre e per sempre.
Parlando invece del brano Autoritratto, che cos’ha di più personale rispetto agli altri?
Autoritratto è esattamente ciò che sono: è un pezzo facile da suonare, ha un movimento di bassi (che riconosco essere il mio tratto di scrittura) e di rapporto tra la melodia che è leggermente dissonante e c’è un finale che cresce, dove arriva un tappeto di suono che si distorce. Questo è tutto quello che mi piace nel fare musica e quindi per me è perfetto; è davvero il mio autoritratto.
Hai definito Facile “un disco fatto per viaggiare”, ma è nato proprio in un momento dove viaggiare è impossibile per tutti. Quindi da quali pensieri e viaggi sono nate queste composizioni?
Il viaggio parte da lontano, dal presupposto che tutto ha un suono. Il viaggio esige spazio e se anche adesso lo spazio fisico non c’è, ci deve necessariamente rimanere una libertà. La cosiddetta stanza intelligente è uno spazio dove sentirsi a proprio agio e dove mettersi in viaggio. Non è uno spazio solo fisico perché ognuno lo può creare in base alla sua cultura e curiosità. Ad esempio leggere, guardare, osservare, non chiudersi in sé stessi, possono essere un buon inizio.