– di Riccardo Magni –
I Portnoy sono una band indie rock-pop italiana, nata a Roma nord dall’incontro tra Francesco e Marco, conosciutisi sui campi da calcio in età preadolescenziale. Più avanti si aggiungono Alessandra, Simona ed Elisa a completare la formazione. L’influenza della cultura moderna anglo-americana è immediatamente riscontrabile già dal nome scelto per la band, figlio del titolo di un romanzo di Philip Roth, e trova la sua coerente prosecuzione nelle sonorità a cavallo tra gli anni ’80 della prima new wave ed i 2000 dell’indie rock internazionale.
Già un EP terminato ed un album in lavorazione, i Portnoy si sono esibiti spesso a Roma e non solo, partecipando ad una grande quantità di festival e contest: Meeting del Mare, Pistoia Blues, Rock Contest Controradio, Arezzo Wave e Tour Music Fest…
Non ultimo, It’s Up 2U, in cui grazie al voto del pubblico hanno raggiunto la finalissima di questa seconda edizione. Si preparano quindi a tornare sul palco del Largo venue dove sabato prossimo (15 giugno), si susseguiranno nello “scontro finale” tutte le band e gli artisti vincitori delle varie serate ed il livello si preannuncia ovviamente molto alto.
Per non perderci nessuna delle sfumature artistiche dei Portnoy, prima di vederli di nuovo ad It’s Up 2U, abbiamo voluto conoscerli meglio.
Vorrei partire dal vostro nome, derivato dal romanzo “Il Lamento di Portnoy” di Philip Roth. Quali sono le motivazioni ed in che maniera questo vi definisce? Che impronta pensiate dia al vostro gruppo, che immaginario vorreste venga ispirato?
Abbiamo scelto il Portnoy di Roth perché ci sembrava un’icona efficace per rappresentare la band sotto diversi profili. In primo luogo, siamo appassionati di letteratura americana e dai libri traiamo spesso ispirazione per i nostri testi, quindi ci piaceva l’idea di un personaggio letterario. Portnoy è poi un soggetto sufficientemente controverso, erotomane e irrisolto da suscitare la naturale simpatia che si deve alle personalità che mal si adattano alle convenzioni. Inoltre, troviamo che ci siano punti in comune significativi tra il nostro processo creativo e una lunga e disarticolata seduta psicoterapeutica, che è l’espediente narrativo utilizzato nel libro. Le canzoni e la musica ti costringono infatti a rielaborare il tuo punto di vista su quello che racconti, a individuare una prospettiva differente, a non essere legato più al solo significato delle parole, ma anche al suono. In questo senso, proprio come l’analisi, possono essere utili a liberarsi di qualcosa, ad abbandonarla, ma allo stesso tempo a ricordarsene.
Nella vostra BIO si legge che il vostro sound si ispira all’indie-rock e alla new wave americana e britannica. Avete qualche riferimento in particolare? Uno o più artisti che per ascolti o semplice affinità sonora ritenete più importante (o importanti) di altri per la vostra crescita/sviluppo artistico?
Siamo cinque persone e quindi è naturale che ci siano sensibilità musicali differenti. Possiamo dire che dal punto di vista del sound ci ispiriamo alla new wave anni ’80 dei Cure, dei Joy Division, degli Smiths ma anche all’indie dei primi anni 2000 degli Interpol, i Bloc Party, i Wolf Parade e al brit pop degli Oasis e dei Pulp. Per quel che riguarda i testi, abbiamo invece probabilmente una certa attitudine emo e cerchiamo di inserire sempre un grammo di verità in quello che esprimiamo. I Baustelle restano forse il modello di riferimento italiano, ma apprezziamo molto anche la scrittura de I cani.
Due elementi “fondatori” (Francesco e Marco) e tre che hanno poi completato la band (Alessandra, Simona ed Elisa). Come è avvenuto questo incontro? È stato tutto in una volta o la costruzione della formazione ha richiesto più passaggi? E cos’è a tenere insieme tutte le anime della band attualmente?
Marco e Francesco si sono conosciuti in età prepuberale sui campi da calcio, si sono ritrovati per una pura coincidenza a una festa 15 anni dopo e hanno cominciato a collaborare insieme. Alessandra e Simona si sono unite al gruppo quando si è deciso di uscire dalla cameretta e trasformare il progetto in musica suonata, più o meno nel 2017. Abbiamo avuto qualche avvicendamento alle tastiere e da quest’anno Elisa è con noi a dare un sound più definito e riconoscibile alla band. La convivenza tra cinque persone non è sempre scontata e automatica, come è chiaro. Credo però si possa dire che a unirci sia lo spirito e la voglia di confrontarci con l’esterno, di metterci alla prova, di conoscere persone, di allontanarci dei percorsi predefiniti in cui ognuno di noi è bene o male instradato. Abbiamo un pezzo che parla proprio di questo e si chiama in modo abbastanza eloquente “Per non restare soli”, che probabilmente aprirà il nostro primo album.
Attualmente state lavorando a qualcosa di nuovo? Quali sono i vostri “progetti per il futuro”?
Abbiamo terminato da poco la registrazione del nostro EP al VDSS Recording Studio e stiamo lavorando su nuovi brani che confluiranno nel nostro primo album completo. Parallelamente, stiamo anche inviando la nostra proposta a diverse etichette e agenzie di booking.
Per quanto riguarda i progetti futuri, vorremmo prima di tutto suonare dal vivo il più possibile perché è la cosa che ci piace di più, magari iniziando dalle aperture per artisti già affermati e che stimiamo come Zen Circus, Fast Animals and Slow Kids e Management, ma siamo disponibili anche ad altro… Dite che hanno già trovato la band che aprirà ai Thegiornalisti al Circo Massimo?
Avete partecipato a diversi festival e contest, non ultimo It’sUp2U in cui siete in finale. Come valutate, al di là di quello che sarà l’esito, questa esperienza?
It’s Up 2U! è un contest fresco e ben gestito. Abbiamo avuto la possibilità di suonare su un palco importante con professionisti di livello che hanno curato il nostro sound e ci hanno consentito di rendere al meglio. Sicuramente ora siamo amici e speriamo di collaborare ancora in futuro.