– di Lucia Tamburello –
Dopo un intenso periodo di scrittura e registrazioni in un casolare nelle Langhe, i Tropea pubblicano per peermusic ITALY il loro primo album Serole. All’amore, la tristezza, l’amarezza e la dolcezza che accompagnano da sempre la scrittura della band vengono accostate sonorità e modalità espressive nuove. Il disco sarà accompagnato da un tour in giro per i principali club della penisola che porterà per la prima volta dal vivo l’energia e le atmosfere questo esordio.
Inizierei parlando delle sonorità di Serole: è un disco che parte da un’intro e title track abbastanza energica e poi, da Tu credi che in poi, si fa cupo. Come mai c’è questo dualismo?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ È interessante, intanto, che tu abbia colto questa cosa e mi fa anche piacere. È vero che il disco ha una deriva sempre più “oscura”, in un certo senso, anche di modo. Non credo che sia necessariamente una scelta narrativa imposta, ma che abbiamo raccolto tenendo un po’ le cose come sono, senza volerle contrastare, senza pensare troppo al discorso “dobbiamo metterci un pezzo un po’ up a un certo punto per migliorare le cose”. Semplicemente è andata così.
Quanto è stato difficile unire questa prima parte un po’ più “allegra” alle tematiche, che sono tutte abbastanza cupe e negative?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Secondo me le cose di cui parliamo nelle nostre canzoni non sono mai solo negative, così come non sono ami solo positive. Penso che, proprio sin dall’inizio, dai primi brani che abbiamo fatto, ci portiamo dietro un po’ di dolcezza, ma anche un po’ di nostalgia, un po’ di felicità e un po’ di tristezza. Quindi alla fine non c’è stato neanche nessun tipo di sforzo.
ʟᴏʀᴇɴᴢᴏ Anche perché, in realtà, non è che l’album sia nato con questa disposizione delle tracce: sono state create da sole e poi abbiamo deciso di disporle in quest’ordine. Come ha fatto presente Domenico, c’è sempre una caomponente di amarezza, ma dolce, nella musica e nei testi dei Tropea.
I testi sono stati concepiti in un’ottica più personale o più collettiva? Sentite che queste emozioni siano condivise anche da altri o parlano prevalentemente delle vostre esperienze?
ᴘɪᴇᴛʀᴏ Come spunti iniziali sono personali. Poi nessuno è un’isola, le cose che sentiamo noi le sentono anche altre persone, diventano condivisibili. Però sì, nascono nascono sempre da spunti personali.
Ritornando ai suoni, avete attraversato aree molto diverse tra loro: siete partiti da una base pop, ci sono pezzi un po’ più cantautorali, altri un po’ più post punk; per quello che è l’attuale mercato musicale questa caratteristica, secondo voi, vi ha più avvantaggiati o svantaggiati?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Credo proprio che in questo momento della storia dei Tropea, più che in altri momenti, siamo abbastanza slegati dal ragionare in termini performativi in senso imprenditoriale/industriale, in sede di registrazione, produzione e realizzazione di un album. Certo, è un oggetto che poi finisce nel mercato e all’interno di una distribuzione. Tutti quanti ci auguriamo che le cose vadano bene e meglio, ma sicuramente questo disco è stata un’occasione per non fare ragionamenti di questo tipo, anche in forte antitesi con l’esperienza di un anno e mezzo fa, in cui ci siamo ritrovati a confronto con un mondo altamente performativo in senso imprenditoriale. Non ci siamo posti una problematica sul mischiare il pop con il post punk poiché è una pratica che facciamo già da esperienze pregresse. Poi, che alcune cose siano post punk è oggettivo, che siano pop è un po’ più soggettivo, per qualcuno potrebbe esserlo mentre per qualcun altro meno. È quella sfida lì che ci interessa.
Avete mai percepito quella sensazione di inadeguatezza descritta da Ti amerei dal punto di vista artistico? C’è una fascia di pubblico, o di mercato, che vorreste attrarre e su cui non riuscite ad attecchire particolarmente?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Sì, a noi farebbe piacere che tante persone si appassionassero alla nostra proposta artistica. A questo giro io ti risponderei di sì: è una cosa che ho provato e che mi piace pensare in senso musicale. Anzi, in realtà quando la suoniamo, in questi giorni, io mi ritrovo di più nell’idea di rompere una specie di muro con l’ascoltatore. Questo «Tu non mi guardi, tu non mi ascolti» è più un ascoltatore che non l’entità per cui è stata scritta originariamente la frase: non penso più al mio rapporto con Milano, ma do una chiave di lettura simile alla tua, immaginando un pubblico da conquistare.
ʟᴏʀᴇɴᴢᴏ Durante la performance della canzone non pensi al mercato da conquistare, magari al pubblico che hai lì davanti – quello sicuramente – e a come intrattenerlo, allo show, al momento: 50% quello, 50% alla performance con i tuoi compagni di band. Una fetta di mercato che vorremmo conquistare? È difficile rispondere, perché in realtà le canzoni nascono spontaneamente, per te stesso, in primis. Non c’è una necessità, almeno per noi. Sicuramente per qualcuno sì, nel mercato della musica. Sono ragionamenti che io, personalmente, non faccio.
Sappiamo tutti che l’ambiente underground italiano (se esiste ancora) è un po’ schizzinoso nei confronti degli artisti che partecipano a dei talent; dopo la partecipazione a X Factor, com’è cambiato il vostro pubblico e l’attitudine nei vostri confronti?
ᴘɪᴇᴛʀᴏ Un po’ di rinnovamento del pubblico c’è stato. Un sacco di gente che non ci conosceva ci ha scoperto, ha avuto modo di affezionarsi e di venire ai concerti. Abbiamo notato che effettivamente c’è un mix di pubblico, con attitudini diverse. C’è quello che ci portavamo dietro da prima, underground, che è abituato e sa cosa aspettarsi dai nostri concerti e quelli nuovi, il pubblico un po’ più televisivo, che arrivano prima, si mettono in prima fila, ma che non sono tanto abituati all’energia che gli viene sparata in faccia durante il nostro concerto. Non pensiamo di aver perso il pubblico precedente. Penso che questa puzza sotto il naso del pubblico underground sia una cosa che era più vera anni fa, quando X Factor era molto più incentrato sull’intrattenimento televisivo. Adesso, ormai, tanti hanno fatto i conti con il fatto che il talent, al giorno d’oggi, è una cosa che puoi sfruttare come vetrina ed è assolutamente legittimo farlo perché, semplicemente, vuoi campare di musica. È solo uno strumento in più che noi abbiamo deciso di utilizzare.
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Io sono d’accordo con quello che dice Pietro. Vedo molto affievolita la divisione tra quella che è la musica che una volta si definiva “di controcultura”, “di resistenza”, alternativa. Se ancora esistesse questa attitudine di “puzza sotto il naso” verso chi si presenta in televisione, sarebbe anche interessante per noi confondere un po’ le acque e fare un po’ di “noise” a questo riguardo. Mi pare che il mondo indipendente comunichi e si muova in un mercato che è in simbiosi con l’utilizzo di tecnologie social che fanno parte di gruppi aziendali di multinazionali, privati. Chiunque a questo mondo si metta in piedi su un sasso per dire: «Io sono un profeta dell’antipotere», potenzialmente, sta amministrando il potere promuovendolo come se fosse antipotere. È una storia molto contemporanea, ci sono tantissimi personaggi così. Poi c’è un altro tema che – almeno da quando Renzo Arbore è riuscito a fotografare l’Italia e il pubblico giovanile negli anni ’69 e ’70 nella sua trasmissione Speciale per voi – c’è una chiara divisione tra il consumatore di musica italiano colto che è esigente, che vuole il prodotto artistico inattaccabile, che sia “di giusta dose” italiano, ma non troppo italiano, che guardi l’estero, ma che non sia troppo un’emulazione dell’estero, che sia la cosa giusta per i tempi che corrono, però che sia anche un classico di tutti i tempi: una pignoleria tutta italiana verso l’opera d’arte fino a quando non superi una soglia in cui ti dichiari di essere parte del mondo commerciale ed entri in un altro tipo di pubblico che sostanzialmente sta lì, con la bocca aperta, e senza farsi domande, si mangia e digerisce tutto quello che gli entra dentro da tutti i canali di comunicazione esistenti, che siano la radio, la televisione, i social, senza nessuna forma di criticismo. Mi pare che l’Italia abbia sempre sofferto di questo bipolarismo e proprio per questo motivo, se ancora esiste questa cosa e se la nostra partecipazione ad X Factor ha dato in qualche modo fastidio a qualcuno per queste motivazioni, sono ben felice di questa cosa.
Se i Tropea fossero nati venti-trenta anni prima da quale parte si sarebbero schierati?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Nel 1975 saremmo stati al festival del Re Nudo al Parco Lambro.
Riguardo quella divisione di pubblico che facevi, quale fascia vi interessa di più attrarre: quello un po’ più di nicchia o quello che assimila tutto?
ᴘɪᴇᴛʀᴏ Ci piacerebbe poter arrivare ad entrambi con la stessa efficacia: questo è l’obiettivo.
ᴄʟᴀᴜᴅɪᴏ In generale, penso che questa cosa valga per ogni artista, nel momento in cui il pubblico abbraccia una tua opera, qualunque sia la sua categoria, non possiamo fare altro che essere grati. Non penso ad avere delle preferenze, tipo: «Forse è meglio che mi ascoltino più gli intellettuali, preferirei che mi ascoltassero più i bambini». Alla fine, ciò che comunichi parla ad un certo tipo di pubblico ed è una cosa abbastanza naturale.
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Tutti quanti noi, ogni volta che ci appassioniamo ad un artista, abbiamo la sensazione di gettarci tra le braccia di un’anima, di una sensibilità che riesce a rappresentarti, riesce a capire, a raccontare qualcosa di te. La speranza, per quanto mi riguarda, è che ci si approccia alla nostra musica possa trovare un porto aperto, sia che si tratti di uno a cui piace andare a fare le serate e ascoltare M2O, però poi quando torna a casa si ascolta i Tropea tutto tristino in macchina, sia che sia un hippy preso bene.
In Discoteca viene descritto un senso di inettitudine: è generazionale?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Come punto di partenza è senz’ombra di dubbio personale. Poi penso che l’inettitudine sia uno dei temi che abbiamo maggiormente toccato nelle nostre canzoni. Francamente non saprei dire quanto sia generazionale.
ʟᴏʀᴇɴᴢᴏ L’inettitudine è un tema piuttosto importante per la nostra generazione, e anche scottante: è la dinamica del neet, del millennial inetto che rifiuta i lavori piuttosto che trovare da guadagnare. Quando ti metti a discutere con i boomer fanno apparire la nostra come una generazione di inetti quando in realtà ormai è chiaro che a Milano (la maggior parte di noi è nata e cresciuta a Milano) è molto difficile vivere, con prezzi altissimi e stipendi che non ti permettono di vivere. In Discoteca si parla un po’ di scappare dalla realtà andando in una discoteca che in realtà non è divertente. Penso che quello sì, sia un tema della nostra generazione, che viv3 una grande malinconia, che si trova in un mondo difficile da affrontare. Rifugiarsi in luoghi più sicuri e l’apparire, di conseguenza, degli inetti potrebbe essere considerato un tema generazionale.
Ricollegandomi al titolo della traccia, cos’è che, in fase di scrittura, vi risulta più semplice fare?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Semplice è tutto tranne iniziare. Una volta che inizi il resto è semplice, per quanto mi riguarda. Non mi riferisco ad un contesto in cui stai attivamente scrivendo una canzone e sei con un foglio e una penna davanti, superi il primo scoglio e poi è tutta in discesa. In realtà, lì, se finisci a farlo così e un po’ spinoso. Molti di questi brani sono nati con una modalità di scrittura che adotto da un po’ di anni ormai: faccio un’improvvisazione di musica, melodia e parole, tutte insieme, di getto, a volte senza sapere cosa sto per fare. Semplicemente si tratta di imprimere qualcosa lasciandomi guidare dalla fantasia, da come i suoni decidono di uscire dalla bocca. Quella fase lì è la più semplice perché non devi fare niente, devi solo aprire: aprire è difficile se non eserciti questa cosa.
ᴘɪᴇᴛʀᴏ È divertente perché, per quanto mi riguarda, è esattamente il contrario: l’idea iniziale arriva, era lì, l’ho solo pescata. La parte più difficile è dare un senso, uno svolgimento e una fine a tutta quella che è l’idea iniziale.
Il passaggio di lingua dall’inglese all’italiano ha causato anche un cambiamento a livello strutturale nei brani o sono rimasti invariati?
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Se scrivi in inglese hai un bagaglio, quello della musica anglofona, a cui puoi attingere, mentre se ti sposti sull’italiano cambia la “libreria”.
ᴄʟᴀᴜᴅɪᴏ E anche la responsabilità di quello che dici: quando si dice qualcosa in italiano è molto più pesante.
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ È vero, non puoi sottrarti a quella cosa, anche se è un sogno che ho a livello personale: quello di alleggerire un po’ il peso di questa lingua che ci portiamo e della necessità di significare all’interno di un brano contrapponendo, invece, una volontà di evocare magari con il suono, come nel caso del mio incontro con la musica anglofona: l’ascolti quando non sai cosa vuol dire e sei lì a raccogliere questi suoni.
ᴘɪᴇᴛʀᴏ L’inglese ti permette di essere un po’ più “impressionista”, mentre l’italiano è più “neoclassico”, deve essere tutto più definito. Abbiamo anche un po’ l’obiettivo di provare, anche in italiano, a essere più evocativi che significativi, per questo spesso mischiamo le due lingue nello stesso pezzo.
Per questo tour ci saranno dei cambiamenti di postazione? Altre novità, in generale?
ᴘɪᴇᴛʀᴏ Questo è il primo tour in cui abbiamo effettivamente un disco e quindi un nuovo carico di canzoni abbastanza importante. La scaletta è rivoluzionata più che mai. Anche a livello strumentale ci saranno delle novità: in primis il fatto che io suono la chitarra – e non era mai successo. Sarà molto suonato, in generale.
ᴄʟᴀᴜᴅɪᴏ Ci saranno anche degli strumenti nuovi.
ᴅᴏᴍᴇɴɪᴄᴏ Ci saranno varie rivoluzioni. Sono tutte cose che non vediamo l’ora di portare sul palco e di condividere.
Le date del Serole Tour 2024, dall’account Instagram dei Tropea:
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