Nessuna donna nella t0p 5 di Sanremo, ed è la migliore notizia possibile
– di Riccardo De Stefano –
Disclaimer: chi scrive è un maschio bianco etero cis di estrazione borghese. Scrive senza alcun presupposto ideologico e probabilmente con dei bias sociali. Potete considerare questa opinione, come scartarla in toto, ma vi si chiede uno spirito critico libero dal livore. Non è una tesi scritta nella roccia, quanto un punto di discussione.
TESI
(Lo dico subito così potete non leggere il resto dell’articolo)
Se Sanremo è populista e qualunquista, non è un bene che le donne non arrivino in cima?
INTRODUZIONE
Nella notte del 12 febbraio, Marco Mengoni vince la 73a edizione del Festival di Sanremo, seguito sul podio da Lazza al secondo posto e Mr. Rain al terzo. Nella cinquina finale, Ultimo a sorpresa si colloca al quarto posto e Tananai si adagia al quinto.
Marco Mengoni, ritirando il premio, lo dedica alle donne che hanno gareggiato in questa edizione e che non sono state nella top 5 finale, e in più posti sui social emerge la discussione sull’effettiva assenza delle donne nei posti alti in classifica, presupponendo una eventuale misoginia – o mancanza di rappresentatività – facente parte della cultura musicale (e non solo) italiana.
IL RUOLO DEL PUBBLICO
La caratteristica di quest’ultima serata è che a votare era esclusivamente il pubblico da casa, mettendo da parte giuria di qualità (? diciamo la sala stampa) e giuria demoscopica. Il pubblico quindi ha inflazionato per tre volte di fila la classifica, andando infine a optare per la cinquina già detta poc’anzi.
E non a caso, lo scarto e il salto più netto in classifica – prima di scegliere il vincitore – lo hanno fatto Ultimo e Mr. Rain, che per certi versi rappresentano e parlano alla stessa fetta di pubblico.
Sanremo infatti non è una competizione musicale, ma un programma televisivo che utilizza canzoni e cantanti. Mi spiego: ormai fagocitati da quasi due decenni in questa narrazione della musica come gara e competizione, grazie ai tanti talent come X Factor e Amici, e sulla scia di un Eurovision – prodotto TOTALMENTE televisivo, una sorta di “Giochi senza frontiere” della musica – Sanremo ha sempre di più puntato sulla spettacolarizzazione della musica, a discapito della canzone.
LO SPETTACOLO PRIMA DELLA MUSICA
Canzoni vincitrici o di largo successo negli ultimi anni hanno spinto fortissimo sulla componente visiva, che ha e avrà sempre più forza di quella aurale: avrebbe vinto Francesco Gabbani senza la simpaticissima e buffissima scimmia che ballava di fianco a lui? Lo Stato Sociale sarebbe esploso come fenomeno senza la “vecchia” che ballava? I Måneskin, senza i vestiti e la sessualizzazione, avrebbero sfondato in Italia, Europa e nel mondo, solo con le loro canzoni?
E così facendo e dicendo, Mr. Rain sarebbe arrivato terzo con la sua “Supereroi” se non fosse stato accompagnato dal coro (in full playback) dei bambini?
L’INSOPPORTABILE RETORICA TELEVISIVA
Mettiamo da parte Marco Mengoni, amatissimo e celebrato da pubblico e critica e vincitore annunciato dall’inizio. Mr. Rain e Ultimo hanno sfondato la classifica del televoto grazie alla retorica che soggiace da una parte il personaggio e dall’altra l’esibizione.
Mr. Rain infatti conquista con questa canzoncina tutta buoni sentimenti e abbraccini coccolosi, priva di idee musicali (se non estratte direttamente da altri, tipo il coro che riprende nota per nota “Bad Romance” di Lady Gaga) ma fortissima dal punto di vista comunicativo, per cui il pubblico generalista si lascia commuovere. perché è la stessa narrazione struggente e malinconica di programmi come “C’è posta per te”, dove tra l’altro starebbe benissimo come sigla.
Ultimo porta il suo personaggio, perfettamente rappresentato dal suo stile musicale: egotico, accentratore, perennemente chino su di sé a rivendicare questa pomposità farlocca e stucchevole a base di crescendo emotivi e melodie piattissime, con testi sempre super enfatici e l’immagine di lui urlante sotto la pioggia in opposizione romantica al mondo. Una narrazione completa costruita a tavolino, ma perfetta per il pubblico, nel momento in cui questa pseudo-sincerità si rivela più forte della musica stessa.
E in maniera simile, anche Tananai, che abbandona il personaggio sbruffoncello degli esordi per mostrarci l’anima romantichina e furbetta, con lo switch sulla tematica apparentemente politica MA presa dal punto di vista sentimentale, evitando quindi di fare un discorso sociale e prendere una posizione, buttandola direttamente nella direzione del sentimentalismo che conquista molto di più della politica. Non dissimile da quell’effetto Mariadefilippi di Mr. Rain, salvato in corner dal fatto che perlomeno Tananai sa scrivere musica a differenza di Mr. Rain.
QUELLO CHE LE DONNE NON DICONO
In tutto questo, le artiste in gara non rientrano in questa narrazione generalista, qualunquista e populista, almeno non con la stessa forza di impatto della controparte maschile qui sopra analizzata.
Vero certamente che le artiste in gara sono meno dei maschi, il che riflette comunque una dinamica discografica storicizzata e che negli ultimi anni è comunque in controtendenza – anche qui nel bene e nel male – ma in ogni caso, trattandosi di nove artiste (senza contare i Coma_Cose e tralasciando che Paola & Chiara sono un duo), non si può dire che non ci sia una rappresentazione perlomeno accettabile nel complesso.
Ora, se mancano donne nei primi posti in classifica, e nessuna artista ha vinto Sanremo dal 2014 con Arisa, c‘è una deliberata scelta di non far vincere le donne? Il pubblico non vuole una donna vincente?
io credo che quello che manchi alle artiste oggi è il personaggio.
LA MUSICA QUALUNQUISTA
Appena annunciati i Big in gara, sembrava una corsa a tre: a giocarsi il titolo dovevano essere Marco Mengoni, Ultimo e Giorgia. Il primo favoritissimo – e non a caso trionfante – e gli altri due a minacciare il trono. La grande delusione è stata Giorgia e come mai?
Perché Giorgia si è presentata semplicemente cantando una canzone, senza alcuna sovrastruttura, e portando una canzone indubbiamente datata, incapace di parlare alle corde emotive del pubblico televisivo, che ormai assuefatto al pop, ha bisogno di una spinta emotiva legata alla spettacolarizzazione della musica.
Così, “Parole dette male” non ha – per difetto di scrittura – un exploit vocale come quello di Mengoni. E non ha tantomeno l’esasperazione lirica e retorica di Ultimo, né il coretto di bambini o la presa emotiva delle tematiche (e del famigerato videoclip) legate ad amori durante la guerra di Tananai. Né ovviamente può parlare alla generazione Z come fa Lazza, outsider proveniente (una volta) dal mondo rap.
Quello che non funziona, in lei come nelle altre artiste in gara, è il personaggio televisivo. Perché le donne si sono presentate – fortunatamente – come artiste, come autrici, come più interessate alla qualità che alla trashata.
E anzi, onore al merito: prendete Madame e la sua “Il bene nel male”, fino a qualche settimana prima del Festival, l’artista era massacrata da pressoché chiunque per le polemiche intorno la mancata vaccinazione e gli imbrogli, riuscendo in questa settimana a far dimenticare praticamente a tutti quella storia e riuscendo a piazzarsi anche abbastanza in alto in classifica, nonostante la shitstorm.
LE DONNE CHE NON FUNZIONANO – E QUELLE CHE INVECE
Insomma, le donne non funzionano perché hanno virato più sulla musica che sullo show. Al momento, non c’è nessuna artista donna capace di incarnare in sé questa rappresentazione posticcia, retorica e stucchevole, necessaria per conquistare il pubblico che della musica si interessa solo una settimana all’anno – e solo per polemizzare.
E di quale donna si è parlato solo ed esclusivamente, invece? Ovviamente di Chiara Ferragni, che al contrario delle artiste in gara funziona esclusivamente in quanto personaggio discusso e discutibile, perfettamente conscia di quello che funziona per la massa, e modello di successo in un contesto completamente diverso.
Chiara Ferragni piace, infatti, perché vincente come donna in un mondo di uomini: l’idea dell’imprenditrice la self made woman, è un modello molto forte e molto vicino a un personaggio come Ultimo, o tanto più al marito Fedez, che funziona esattamente per lo stesso motivo e con lo stesso espediente: raccontare in maniera eroica e autoreferenziale il proprio Io come migliore e superiore a tutti gli altri. Una donna quindi che utilizza linguaggi maschili e, con merito e intelligenza, conquista la massa di persone.
Questa cosa non funziona per le artiste, in gara e non solo: per prima cosa, perché una donna che fa i milioni come imprenditrice è un conto, una cantante (o cantautrice) un altro, dato che i musicisti e gli artisti vengono visto come privilegiati che fanno qualcosa di inutile e irrilevante per cui non è possibile spendere soldi – vogliamo la musica gratis noi! – e al più relegati al ruolo di mero passatempo. Chiara Ferragni insomma, diventa un modello spendibile e auspicabile perché essendo di successo, e ricca, con qualcosa di intangibile, cioè la sua “figura”, non è relegata a un merito dovuto a un talento o a una vocazione particolare come invece quella artistica.
LA MUSICA È COME LA POLITICA, LE DONNE COME IL PD
Nel mondo, non solo nella musica, vincono i personaggi.
Prendiamo la politica, e sorvolando sui giudizi di merito, rimaniamo sul dato di fatto. In Italia, non vince nessun politico per l’ideologia, o tantomeno per il programma che porta, vince solo chi arriva più forte all’elettore. Così, Giorgia Meloni primo Presidente del Consiglio donna (ed è un bene o male?) vince perché si presenta come personaggio “forte” e riconoscibile, diretto,c he piace a chi della politica non si interessa. E allo stesso modo Salvini, che ha puntato tutto sulla comunicazione, arrivando a ripetere a pappagallo quello che l’uomo comune voleva sentirsi dire. E così Berlusconi, che dall’alto del suo scranno rappresentava l’Uomo Forte, di potere, con i soldi, dal carisma unico e irresistibile per chi invece a malapena arriva a fine mese e ha bisogno di credere nelle promesse.
Dall’altra parte, la sinistra e il PD, che non si sa bene chi o cosa rappresentino, senza una personalità forte e riconoscibile capace di unire le varie correnti, senza riuscire a parlare – nonostante i tentativi – a quella parte di popolazione indifferente e pigra, sciatta e svogliata.
Il paralellismo tra le artiste donne e il PD credo si spieghi da solo.
(la Meloni a Sanremo avrebbe vinto facilmente, per dire)
OK, DONNE E CHE NON FUNZIONANO – PER FORTUNA?
Le donne nella musica, più che scadere nella retorica del successo e del patrimonio (tematica ancora fortemente maschile), sono orientate nella tematica della libertà sessuale e della valorizzazione della libertà d’espressione, del proprio ruolo di donne in un mondo di uomini, in emersione ma on ancora vincenti, per cui la loro narrazione non arriva in maniera generalista, ma drasticamente mirata a un pubblico ben preciso. Un messaggio che funziona in parte, ma che non vince né convince.
ATTENZIONE: va benissimo che questo succeda ed è un bene, e inoltre penso ci siano moltissime artiste di talento che per fortuna portano questi modelli positivi. Ma la loro assenza dal proscenio dei vincitori è inevitabile. È inevitabile come il fatto che un brano bello e profondo come “Splash” di Colapesce e Dimartino occupi solo la decima posizione, e che gli venga concesso il Premio della Critica Mia Martini.
Ma storicamente, quand’è che la qualità vince a Sanremo?
QUELLO CHE VINCE A SANREMO
Arriviamo alla chiusura e ricapitoliamo.
Sanremo è uno spettacolo televisivo che utilizza la Musica. Dove contano più i personaggi che la Musica. Dove vota gente che non ha a cuore la Musica ma i personaggi. Le artiste in gara, almeno quest’anno, non hanno portato “personaggi” immediatamente riconoscibili. A Sanremo vince la retorica musicale che sfrutta gli espedienti emozionali della tv, difficilmente “il brano migliore”, anzi.
Per cui, dopo questo enorme spiegone, la tesi dell’inizio. Siamo sicuri che sia un male se le donne mancano da questa narrazione?
Siamo sicuri che sia un male se le artiste in gara, presentandosi avulse dalle dinamiche emozionali da talent show o da Maria De Filippi rimangano estromesse dalla classifica?
Sempre di più negli ultimi anni abbiamo visto emergere talenti e autrici che incominciano a imporsi all’attenzione, e questo Sanremo lo conferma: Madame, Ariete, Giorgia, Elodie, Levante e via dicendo ci mostrano personalità forti che – al di là dei gusti – propongono qualcosa di riconoscibile e autentico. E tante altre ce ne sono, che sono passate a Sanremo o che operano nei circuiti alternativi, come, ad esempio, Elisa, Francesca Michielin, Margherita Vicario, Ditonellapiaga, cmqmartina, Emma Nolde e la lista può continuare per tantissime pagine.
Per cui, se posso esprimere un modesto parere da maschio bianco etero cis di estrazione borghese, io celebrerei il fatto che in un Sanremo ormai divorato dalle major, dalla stampa generalista e completamente avulsa dallo spirito critico, dalle polemichette ad hoc, dalla retorica televisiva inquinante e disgustosa, le donne non rappresentino il volto più becero e scadente della musica italiana, con l’auspicio che da queste premesse, ormai conferme definitive, si possa costruire non un modello di “donna artista” diverso, ma un Sanremo diverso, dove a vincere e ad arrivare al pubblico sia un briciolo di qualità, prima ancora che i personaggi.
Ecco “il bene nel male”: essere l’alternativa dentro un sistema orribile, magari per scardinarlo dal di dentro. È solo un sogno, eppure non costa molto sognare.