– di Naomi Roccamo –
Che bello che è stato ballare a ritmo di Benvenuti, l’ultimo album dei Selton. A distanza di quattro anni da Manifesto tropicale, il “Brazilian Threesome”, come a loro piace auto-definirsi, ci fa immergere di nuovo nel vortice di suoni e umorismo alla Woody Allen a cui ci ha abituati in questi anni.
Lo fa aprendo le porte di casa Selton: è un invito intimo, ma sempre tanto allegro e me lo conferma di continuo Ramiro, voce del gruppo, mentre al telefono fa trasparire tutto l’entusiasmo che mettono nel loro fare musica.
Benvenuti, il vostro ultimo album, sembra quasi un ringraziamento, un ricambiare il favore alla città di Milano e a tutto quello che ci è successo in questi anni. Voi vi siete conosciuti a Barcellona anni fa, siete stati scoperti e catapultati in Italia. Ti va di raccontarmi delle prime impressioni una volta arrivati e del vostro rapporto con “le cose italiane”?
Il nostro benvenuto ha tanti sensi, il primo forse è proprio un benvenuto a noi stessi, è il primo disco scritto quasi tutto in italiano. Spesso traducevamo in italiano e facevamo più versioni, questa volta ci è venuto spontaneo omaggiare anche la lingua italiana. Diciamo che il nostro arrivo non è stato facilissimo, arrivavamo da quasi tre anni a Barcellona dove suonavamo per strada e facevamo un vita festaiola. Siamo arrivati a Milano d’inverno, vivendo lontani dal centro, non conoscevamo nessuno e non parlavamo italiano. Poi abbiamo scoperto che è una città che si apre se vuoi fare le cose. Milano è un po’ nascosta, la Milano di oggi non è la stessa di qualche anno fa. Il benvenuto di questo disco è più un benvenuto concettuale, un esperimento. Abbiamo sempre prodotto con lo stesso produttore e scritto musica solo fra di noi. Qui abbiamo rischiato un po’ di più, ci sono produttori diversi, abbiamo coinvolto diversi musicisti italiani e non, infatti siamo ritornati in Brasile e ci siamo portati altri artisti per registrare lì, come Priestiess e Willie Peyote. È stato pazzesco portare nostri amici in un contesto che non avevano mai visto e che per noi era casa, certo, ma anche un luogo da riscoprire. La versione di “Estate”, per dirti, è stata interamente suonata da due signori del posto che fanno vecchio samba, noi non ci siam voluti minimamente intromettere. Quindi all’inizio può sembrare molto spaventoso, questo mettersi nelle mani di altre persone, perché si ha la paura di perdere la propria identità, invece noi volevamo proprio fare un disco molto contaminato e molto collaborativo, in cui l’incontro può solo arricchire.
Ho letto che la parola “Selton” si riferisce a quando uno pensa di dire una cosa o di farla ma alla fine non lo fa. Vi accomuna l’essere così? O siete molto diversi fra di voi?
Il nome è in realtà è una parola che abbiamo inventato noi. Nasce da un gruppo di amici che stanno insieme per troppo di tempo. [Ride, ndr] Tu pensi di dire o fare una cosa e l’altro la dice e la fa al posto tuo, in questo senso è così. Siamo un inside joke. Siamo super in sintonia, molto diversi ma per questo super complementari, è la nostra forza!
Ognuno di voi è un piccolo mondo a sé, che contribuisce in maniera diversa all’ecosistema Selton. Avete avuto molto spazio e sicuramente molta voglia di portare avanti singolarmente dei progetti paralleli alla musica, tu, per esempio, lo hai fatto con il tour/contributo a Chet Baker qualche anno fa…
Le nostre personalità diversissime fra loro han fatto in modo che ci arrivasse un po’ di ossigeno anche da altri stimoli, credo. Io questo progetto su Chet Baker lo avevo in mente da anni, con tutta la calma del mondo ho avuto il tempo per farlo maturare e poi ho registrato questo EP, facendo dei concertini in Italia e in Brasile. Son ripartito da solo, chitarra e voce, è stato stranissimo. Adesso io sto finendo di produrre il disco di Giorgieness, altra cosa bella. Dudù, altro componente del gruppo, è un grafico bravissimo, fa tutte le nostre grafiche e lavora per altri, Daniel, oltre a collaborare con altri artisti, un po’ come tutti noi, lavora anche con Nic Cester, il cantante dei Jet. Poi queste cose si uniscono e contribuiscono anche a tutto quello che facciamo insieme.
Ma quindi “Pasolini” l’avete scritta per rimorchiare?!
[Ride, ndr] Noi no, però è ispirata a questo nostro amico che per rimorchiare citava sempre Pasolini! Avevamo pure un altro nostro amico che ci ha confessato di lasciare i suoi libri accanto al letto per rimorchiare. Ci ha dato uno spunto per parlare di una cosa comune, perchè anche noi siamo alla ricerca di questo, cerchiamo di continuo il copy giusto sui social. Basta citare qualcuno o qualcosa per fare l’intellettuale e perdere la profondità. Ci piace criticare ciò. Noi siamo cresciuti con questo umorismo alla Monty Python, non è sempre facile scrivere cose a metà strada fra il trash e il buon gusto. [Ride, ndr]. Col disco è venuta fuori questa voglia di farlo capire anche agli altri.
Voi fate sempre così, con leggerezza inserite nei brani critica sociale e problemi relazionali comuni. A proposito, son curiosissima di sapere se la storia dietro a “Karma Sutra” è vera, perché è un inno generazionale. Avete parlato di una situazione così comune nei rapporti odierni che quasi ne avete ufficializzato l’esistenza. Tremendamente reale! Il vero Ramiro è così?!
*veniamo interrotti proprio da Daniel che, vivendo appunto, nello stesso palazzo in cui è stato partorito Benvenuti, in cui abitano tutti e tre, fa capolino*
Devo dire che è stata una storia verissima, super autobiografica. [Ride, ndr] Ho iniziato a scriverla un po’ di mesi fa e fin dall’inizio volevo che fosse un dialogo, ma mi bloccavo sempre quando arrivavo a dover scrivere la posizione della ragazza, per quanto sapessi che aveva effettivamente ragione. Facevo fatica a mettermi nei suoi panni e quindi ho pensato a Margherita Vicario, perché ha questa ironia molto seltoniana, oltre a essere un’artista verso la quale abbiamo molta stima. Abbiamo passato intere serate a chiacchierare su Zoom, io provavo a spiegarle cosa fosse successo e lei a cercare di capire i miei punti deboli. Hai ragione, è un tipo di rapporto molto reale ma non ci aspettavamo assolutamente il feedback che abbiamo avuto, l’intenzione era super easy! La verità è che tutti siamo stati nella vita da una delle due parti.
Come è nata l’idea di The Sitcom, legata anche al video di “Karma Sutra”?
Da un po’ di anni avevamo l’idea di fare una sitcom , perché in effetti la nostra vita lo è a detta di tutti! La precarietà della musica e dei live ci ha dato la possibilità di concentrarci per realizzarla finalmente ed è stata un piccolo miracolo durante la pandemia, un modo per raccontare il disco, ci siamo messi in gioco.
Avete dedicato una delle vostre canzoni più famose, “Sampleando Devendra” a un artista che tra l’altro è il protagonista di una delle mie prime recensioni in assoluto. Chi è per voi Devendra Banhart?
Sì, assolutamente ci teniamo tantissimo. Lui è un super fan della musica brasiliana, venezuelano ma cresciuto in America, canta in mille lingue, abbiamo diverse cose in comune. Poi c’è anche da dire che c’è questa band brasiliana importantissima per la nostra generazione, Los Hermanos, che è diventata famosa da indipendente e il chitarrista, Rodrigo Amarante (che ha scritto il tema di Narcos) quando si è sciolta è andato in California, ha conosciuto gli Strokes e ha iniziato a suonare con Devendra. Questa unione per noi è stata clamorosa.
Iniziamo a parlare del tour estivo, mi dice che dobbiamo aspettarci cose pazze da una band che nasce per fare musica live e mi invita. Tour estivo le cui date al momento programmate sono queste:
- 12 giugno – Milano | Circolo Magnolia (SOLD OUT)
- 25 giugno – Padova | Anfiteatro del Venda
- 2 luglio – Torino | Hiroshima Sound Garden
- 8 luglio – Prato | Officina Jungle
- 10 luglio – Marina Romea (RA) | Bagno Polka
- 16 luglio – Como | Wow Festival
“Obrigrazie!”