– di Manuela Poidomani –
Giovedì 4 novembre il duo Te quiero Euridice, composto da Elena e Pietro, ha pubblicato il primo album, dal titolo “Sempre qui”, per PeerMusic. Per l’occasione, abbiamo avuto il piacere di intervistare le due anime del progetto, che si sono raccontate a due voci.
Ciao ragazzi, come state? Come vi sentite per il post-uscita di “Sempre qui”?
Elena | Abbastanza bene grazie! Siamo contenti che, dopo un anno di singoli, è finalmente fuori il nostro album che riunisce tutte le canzoni proprio come erano state pensate fin dall’inizio. Per non parlare poi della risposta del pubblico: abbiamo percepito un riscontro attivo, caldo, soprattutto nelle piattaforme dove i numeri raggiunti sono alti… diciamo che per ora non ci possiamo lamentare.
Questo titolo, “Sempre qui”, deriva anche dalla vostra paura di vedere il mondo andare avanti mentre voi restate fermi. Ma non vi sembra che nell’ultimo anno sia stato il contrario? Che il mondo in qualche modo si è fermato mentre noi, nel nostro piccolo, no? E non pensate che anche voi lo abbiate fatto, con il vostro disco?
Pietro | Se ti devo dare un parere mio personale sì, è vero che durante la pandemia il mondo si è fermato, e noi con lui, in un modo o nell’altro, ma qui si tratta di un discorso più generale, che sta al di fuori di quello che è successo in questi ultimi anni. È uno stato, è una condizione personale; il nostro sentirci fermi esula da ciò che accade fuori.
Elena | Hai presente quando alle cene con i parenti arriva il momento della fatidica domanda: «E tu cosa fai?». Ecco, è esattamente quella frustrazione, quella dei vent’anni, quando non si sa ancora cosa si vuole diventare, chi si vuole essere; è la non-capacità di risposta, lo stare fermi mentalmente.
Le vostre sonorità ricordano tanto quel mondo indie che dicono sia ormai scomparso lasciando posto al mainstream pop. Se vi doveste quindi inserire in un filone, quale sarebbe?
Elena | In realtà facciamo fatica a identificarci in un genere; volevamo un disco pop che contenesse non tutte le nostre canzoni, ma solo quelle più significative di questo periodo. Non lo abbiamo pensato a tavolino, non ci siamo domandati in quale filone volessimo inserirlo, abbiamo solo avuto una certa urgenza di lasciare prima scritto, e poi attraverso la musica, quello che sentivamo di raccontare.
Pietro | Il punto è che hanno fatto diventare l’indie un genere quando non è così, è semplicemente un modo di fare musica; non è altro che un pop rinnovato che ha trovato, negli ultimi anni, un’esagerazione ma che ora ricorda una bolla che si sta piano piano sgonfiando. Il punto fondamentale è che è difficile fare un pop che abbia una qualità alta e spero che noi con il nostro disco ci siamo riusciti in qualche modo.
Rispetto alla produzione, invece, affidata a Simone Sproccati, come è iniziata la vostra collaborazione?
Elena | Ho scoperto io Simo, dopo averlo visto suonare a un concerto dei Coma_Cose. Insieme a mio fratello Francesco Brianzi, un terzo componente della band che ci segue e cura in ogni azione, gli abbiamo mandato un’email con le nostre demo e lui ne è rimasto entusiasta! Da lì è partito il nostro rapporto professionale, anche se a noi piace di più definirla una vera e propria amicizia. Oltre che essere il nostro produttore Simone è un po’ il nostro fratello maggiore.
Siete definiti “le due anime” dei Te quiero Euridice; il concetto di “anima” quindi è utilizzato in un contesto vostro specifico di un qualche credo o è solo per semplificazione?
Elena | “Anime” lo usiamo per far capire come i Te quiero Euridice siano una cosa sola ma al tempo stesso due persone singole, con i loro problemi, le loro gioie: siamo io e Pietro, siamo in due. All’interno dell’album facciamo emergere questo aspetto con due tracce, “Mandorle” e “Cassaforti”, dove in uno canto solo io e nell’altro solo Pietro. E in effetti il termine “anima” ritorna anche in una canzone del disco che è intitolata proprio così… Forse inconsciamente è qualcosa che ci piace. Pietro, tu come interpreti tutto questo?
Pietro | [Ride, ndr] Non c’è alcun significato oscuro! Semplicemente rappresenta le due entità che compongono questo duo, una parola che ritorna, probabilmente senza un perché.
Una vostra capacità è quella di raccontare tutto con una delicatezza e una poeticità che vi distinguono. Il nome del vostro progetto è dovuto a un collegamento con il personaggio mitologico di Orfeo?
Elena | Il nome è nato per gioco, nello stesso modo in cui è nata la band. Successivamente gli abbiamo dato un’interpretazione: Orfeo canta per la sua Euridice, nella mitologia, e noi proviamo a cantare le nostre canzoni a un’Euridice-entità, all’anima-Euridice. La verità è che forse vorremmo essere come Orfeo.
“shhh”, titolo di un singolo, è onomatopeico di silenzio. Questo brano però l’avete sganciato come primo per anticipare il nuovo album e qui sorge una contraddizione: il silenzio del titolo e il ritorno sulla scena.
Pietro | Se c’è non è stata programmata, ma s’incastra bene in quel mood di delicatezza di cui parlavi prima. È stato un rientrare sulla scena in punta di piedi, con una canzone molto intima che richiama il silenzio. Mi piace pensare al fatto che non ci può essere musica senza silenzio e noi abbiamo fatto una canzone sul silenzio.
“Eppure vedo te” parla del passato, quello che abbiamo accettato. E se aveste un macchina del tempo per rivivere un solo un momento del vostro passato, quale scegliereste?
Pietro | Io rifarei il viaggio in Africa. Tutto, dall’inizio fino alla fine.
Elena | Io rivivrei il nostro vero primo concerto, che è stato nel lontano 2016 in un piccolo spazio a Piacenza in cui c’erano tantissimi nostri amici… Lo ricordo come l’inizio di tutta questa follia.
A proposito di concerti, avete aperto i concerti a MOX, rovere e I I Segreti… A quale artista vorreste aprire un concerto? E – perché no? – se doveste scegliere qualche artista emergente per aprire un vostro concerto chi vorreste che v’introducesse?
Elena | Rispetto alla prima domanda, indubbiamente Coez. Sulla scena è quello che ammiriamo di più entrambi.
Pietro | Chi sceglieremo noi per aprire un nostro concerto? Nuvolari, senz’ombra di dubbio: piacentino come noi, è il più forte della scena italiana emergente in questo momento.
La traccia “Quello che resta” è legata al tema della consapevolezza, “Mandorle” all’equilibrio. Da che cosa sono rappresentati consapevolezza ed equilibrio, ad oggi, per voi?
Elena | È una domanda difficile. Rispetto a qualche anno fa sento di aver acquisito più consapevolezza, invece per quanto riguarda l’equilibrio sono una persona che vive ogni singolo momento della vita al 300%, a differenza di Pietro: lui è solo al 30%. Siamo sproporzionati, da questo punto di vista. Mi lascio condizionare sia dalle cose belle che dalle cose brutte e vorrei trovare una mediana, un punto d’equilibrio, a prescindere da quello che poi farò nella vita.
Pietro | Come stava dicendo Elendo essendo una persona che si approccia alle cose con delle aspettative molto basse vorrei riuscire a percepirle “nel modo giusto”, non denigrando troppo ciò che poi risulta essere davvero bello. Invece il mio livello di consapevolezza, in questo momento, è un punto interrogativo… Ma per ora va bene così!