Decifrare il disco di SETTI non è cosa semplice se, per una volta soltanto dico io, decidessimo di abbandonare la bocca esteriore delle cose evidenti e sfacciate. Dunque il sapore pop della forma canzone c’è e noi la riconosciamo. Ma oltre c’è una spiritualità di cose e di personaggi, di luoghi americani ma che in fondo sono luoghi di ognuno. E Nicola Setti per La Baberia Records pubblica questo “Arto”, come Arto Lindsay ma anche come arto di un corpo, come a dare “anima e core” ad ogni singola canzone. E là dove SETTI ha scritto, giunge la produzione artistica di Luca Mazzieri e il definitivo complotto estetico di Luca Lovisetto dei Baseball Gregg. Detto questo, detto tutto. Se l’elettronica la fa da padrone è l’anima che conduce un viaggio a non avere direzione e destino, ma solo quel piglio consapevole di oltrepassare i propri limiti. Per il resto la canzone di SETTI è figlia di quel pop esteticamente indie di questa scena che corre…
America Vs Italia. Chi vince in termini di ispirazione? E pensando alle frontiere di un musicista?
Io alla fine nel disco utilizzo qualche immaginario americano per parlare di storie in realtà molto personali. Per il suono delle parole e per certo immaginario letterario e cinematografico che associo ad alcune sensazioni. Le tavole imbandite con le persone che si passano le pannocchie e il purè, con tutti i vissuti e i conflitti comuni a un gruppo di parenti. Che poi se ci metti uno zampone e dei tortellini sono gli stessi problemi che ho sempre visto anche nelle mie famiglie. Il lato italiano per me è un sottotesto, nel senso che sono nato e vissuto in Italia fino a ora, è il mio retaggio quindi inevitabilmente mi influenza pesantemente. Il punto è che per questo disco “Arto”, per me le frontiere sono interne, li abbiamo dentro i confini. Sono del tutto immaginari, mentali. Le frontiere di un musicista sono quelle di tutti, solo che le racconta con un mezzo diverso che è quello della canzone, altri in altro modo. Sulla situazione politica attuale, a livello mondiale, non entro perché non sono abbastanza preparato, ma quello che sta succedendo personalmente lo trovo piuttosto sconfortante e poco vicino al mio modo di concepire l’essere umano.
Visto che gran parte di questo disco pensa e guarda all’America, come mai non hai cantato in inglese? Ci hai mai pensato?
Quando ho iniziato a 12-13 anni a scrivere canzoni lo facevo in inglese. Scrivevo dei concept album agghiaccianti che facevo ascoltare con la forza ai miei amici. Colgo l’occasione per scusami con loro pubblicamente. Poi non li ho mai riascoltati. In realtà sono un ascoltatore piuttosto curioso e da ragazzo alcuni dischi mi hanno decisamente salvato. I miei riferimenti a livello musicale sono prettamente americani o inglesi. Io ho una laurea in lettere moderne, quindi per studi ho approfondito la produzione italiana principalmente. Una delle ragioni per cui è nato il progetto era cercare di fare in italiano alcune cose che mi piacevano molto che erano cantate in inglese, trovando uno stile mio e cercando di capire l’attitudine di artisti come Belle and Sebastian, REM, Beck, Eels, The Moldy Peaches, The Magnetic Fields, Sufjan Stevens, etc. Quando ho iniziato era il 2008 circa e non c’erano così tanti gruppi come ora che provassero a farlo in italiano, c’erano comunque artisti che cantavano in italiano e che mi hanno formato come Brace, Bugo, Perturbazione, Baustelle, Amari, Mariposa, X-Mary, gli Amore e molti altri. In ogni caso utilizzo alcune immagini americane ma non parlo dell’America, infatti per il momento per raccontare le mie storie ho trovato l’Italiano come lingua ideale, mi sembra giusto. Non escludo che in futuro possa scrivere in altre lingue, se lo ritenessi necessario e se avessi tempo e modo di studiarle.
Parliamo di produzione artistica: il tuo sacco e la tua farina che tipo di contaminazione ha avuto?
Questo disco “Arto”, come il precedente “Ahilui”, è stato prodotto artisticamente da Luca Mazzieri, che è uno dei miei autori e musicisti preferiti in assoluto. Io scrivo i pezzi da solo poi porto a Luca i provini voce e chitarra. Segue un lungo periodo in cui parliamo e discutiamo degli arrangiamenti. Poi siamo andati in studio a registrare da Stefano Bortoli de la Falegnameria Studio. Il mixaggio è stato fatto da Luca Lovisetto dei Baseball Gregg che sono uno dei miei gruppi preferiti e compagni di etichetta su La Barberia Records, che più che un’etichetta è una famiglia. Infine il disco è stato masterizzato da Andrea Suriani, che in Italia è un’istituzione. Ci sono poi molti ospiti nel disco. A me piace collaborare con le persone che stimo e ammiro, provo a chiederlo alle persone che mi piacciono come artisti e umanamente, e gli do la massima libertà di azione, dopo aver dato alcune indicazioni. Altrimenti farei tutto da solo, anche se molto peggio. Ho coinvolto persone che amavo e gli ho chiesto di darmi qualcosa di loro per questo disco. Lo hanno fatto tutti. Quindi io ho scelto il sacco e le farine, ma ho attenuto il risultato che desideravo soprattutto per la qualità delle materie prime, se mi concedi la metafora. È un lavoro collettivo ma mi rappresenta al 100%, poi mi aiuta sempre moltissimo avere un punto di vista esterno, essendo un progetto così personale rischio di perdermi nei miei confini, come dicevamo.
Mi pare di aver capito, scusami se sbaglio, che per quanto il disco sia ben prodotto da un lavoro di studio comunque avete voluto lasciare intatta una certa istintività. Come si coniuga questo concetto con un suono principalmente digitale come il tuo?
Sinceramente non collego il concetto di istintività e urgenza al mezzo digitale o analogico. Per me ad esempio nei Kraftwerk c’è più anima che in molti gruppi folk voce e chitarra che ho ascoltato negli anni. Poi molto di “Arto” è stato registrato in presa diretta, con una band che suonava in una stanza. Ci sono anche molti errori nel disco, o cose che i produttori allineati considererebbero “errori”. Per me spesso le imperfezioni danno il senso di quello che cerco di fare, non è una mia priorità la perfezione o la tecnica, come penso si senta. In ogni caso me lo deve dire chi ascolta il disco se percepisce un certo livello di istintività e urgenza, ormai Arto è uscito e mi fa piacere se ognuno si fa una sua idea, Io ho cercato di fare la cosa più bella che potevo secondo il mio gusto. Quindi c’è stato un lavoro lungo e razionale in studio ma abbiamo cercato di lasciare succedere e assecondare gli eventi. La nostra priorità erano le canzoni, volevamo accompagnarle.
Il viaggio di questo “Arto” si compie, secondo te, nella ricerca di un’America personale o nella celebrazione della piccola provincia in cui viviamo?
Secondo me il viaggio di “Arto” non si compie. Come suggerisce la copertina e il fatto che il primo pezzo “Stanza” e l’ultimo “Legno” sono in effetti parti di una stessa canzone, hanno gli stessi accordi e il primo verso finisce sempre con la stessa parola “tutto”. Di fatto per me “Arto” è un viaggio circolare che si ripete all’infinito. Infatti ho trovato molto interessante quando mi hai parlato di confini, di linee immaginarie quindi. In effetti io nello scriverlo, ed è stato un processo abbastanza lungo e di scavo profondo per me, ho cercato la provincia e l’America dentro di me, probabilmente ho dentro questo tipo di spinte. Diciamo che si potrebbe riassumere col fatto che “Arto” racconta una piccola provincia americana, che poi assomiglia a molte altre province alla fine. In ogni caso non la chiamerei celebrazione, sono piccole storie che parlano di sentimenti e alcune domande che nascono nella testa dei personaggi. Non ci sono molte risposte o giudizi nel disco. Mi piacerebbe davvero che ognuno ci vedesse quello che vuole, per me se qualcuno decide di fare questo viaggio insieme a me e mi dice quello che ha visto è il regalo più bello, è una delle ragioni per cui ho fatto “Arto”. Se devo trovare una meta di questo viaggio direi che per me la meta è chi ascolta il disco. Ho suonato a Ravenna e una ragazza spagnola è venuta a chiedermi del pezzo “Bestia”, mi ha chiesto dove poteva trovarlo, mi ha detto che le era piaciuto e cosa ci aveva visto lei, che non sa l’italiano. Davanti a cose del genere resto senza parole dalla gratitudine. Si capisce?