di Riccardo Magni.
Pochi posti su questa Terra possono vantare doti evocative come la Siberia. Ricorre ovunque, da modi di dire e battute popolari a qualsiasi forma artistica, in letteratura, nelle arti figurative, nel cinema, ed ovviamente anche nella musica.
I Siberia sono una band toscana composta da Eugenio Sournia (voce, chitarra, tastiere), Luca Pascual Mele (batteria), Cristiano Sbolci Tortoli (basso) e Matteo D’Angelo (chitarra). Scuderia Maciste Dischi, già visti live a Roma al Monk in aprile, questo sabato (19 maggio) tornano nel Lazio all’Officine Utopia di Ceccano.
Con il secondo disco “Si vuole scappare”, uscito il 23 febbraio scorso, si sono ritagliati il loro spazio nelle attenzioni di pubblico e critica. Lo hanno fatto senza inseguire (o almeno non troppo) un sound modaiolo, distinguendosi per le sonorità new wawe, per la qualità dei testi e per una voce, quella di Eugenio Sournia, dal timbro profondo inconfondibile, perfetto trait-d’union tra le note e le parole dei Siberia, di cui è l’autore.
Lui è del 1991, io ho nove anni di più ed al telefono, esordisce dandomi del lei.
“Ti prego non farlo – lo stoppo – dammi del tu, che a me fa già molto strano essere amici su Facebook senza aver mai parlato prima d’ora, con i formalismi è ancora più straniante…”. Ad onor di cronaca, l’amicizia la chiesi io.
“È vero guarda – risponde lui – anche per me, ma in questo ambito della musica, è molto comune. Comunque, quanti anni hai? Ok, va bene, possiamo darci del tu…”.
E così, dopo i miei complimenti, di rito ma giuro, sinceri al mille per cento e supportati da motivazioni, i ringraziamenti ed i preamboli sugli albori del gruppo e sul percorso che li ha portati fino al secondo album, chiedo ad Eugenio:
In cosa sono stati diversi questi primi mesi dopo la pubblicazione, rispetto a quelli successivi all’uscita di “In un sogno è la mia patria”, nel 2016?
“Sicuramente questo disco ha avuto un impatto maggiore, i numeri non sono certo enormi ma c’è stata più attenzione, lo testimonia anche il fatto che stiamo facendo molti più concerti. Il primo disco fu più che altro un atto di presentazione della band, non venne neanche sostenuto da un vero tour, venivamo dall’esperienza di Sanremo Giovani e speravamo che bastasse, poi la nostra etichetta Maciste non era ancora cresciuta tanto come adesso.
Questo disco diciamo, ha segnato l’ingresso della band nella scena, cominciamo a sentire di avere un pubblico al di là dell’ambito territoriale e la cosa che trovo molto bella, è che quando riusciamo a conquistare qualcuno poi ci segue con interesse, ci chiede di saperne di più, non è un “fan” se così possiamo già chiamarlo, distratto, ma attento e partecipe”.
Il tour ed in generale l’esperienza dei live segna profondamente la formazione di una band. Le ultime notizie al riguardo, vedono i Siberia proiettati sul palco in apertura ai Ministri ad Empoli ed allo Sziget Festival di Budapest.
Come state vivendo questa fase come gruppo, e che sensazioni si provano a livello personale?
“A livello personale siamo in quella fase critica in cui la vita è occupata almeno per il 50% dall’attività legata alla musica. E’ impegnativo, ma cominci ad intravedere la possibilità che la musica diventi davvero la tua attività di vita e professionale principale, e la cosa non fa che invogliarci ancora di più a percorrere questa strada. Come band siamo consapevoli che per un gruppo come il nostro che non può puntare sui passaggi in radio ne sull’hype, la cosa migliore è suonare. E siamo contenti di farlo, per noi fare questi concerti è il coronamento del percorso iniziato nel 2014 con l’EP. Con la data di Ceccano di questo sabato si conclude la prima fase, poi faremo una serie di date estive tra cui l’apertura ai Ministri e lo Sziget, per ora ne abbiamo una quindicina”.
Eugenio ha già spiegato che il nome Siberia deriva dal romanzo Educazione Siberiana, e non dal disco capolavoro dei Diaframma del 1984, anche se, parere personale, sarebbe stata una figata.
Perché l’accostamento viene naturale e spontaneo specialmente a noi over 30, noi più rompi palle, che dobbiamo necessariamente catalogare e troppo spesso, con accezione negativa. Ai Siberia è stato riconosciuto, o contestato, a seconda dei punti vista, di ricordare i Diaframma ma anche i Baustelle (per questione di ascolti e di età non tutti possono ricordare i primi Diaframma), che a loro volta ai loro esordi erano accostati anch’essi ai Diaframma. Poi guarda caso tutti toscani, anche se nessuno concittadino (Firenze, Montepulciano, Livorno).
Ma è davvero una cosa negativa? In fondo parliamo di due riferimenti di eccellenza e poi, voi siete consapevoli che ad alcuni ascoltatori, tipo me, sentire un sound diverso da quello che tanto va di moda fa drizzare subito le orecchie? Insomma, fa la differenza?
“Ma in realtà a me il riferimento fa piacere, qualsiasi persona che si cimenti in una attività creativa soprattutto all’inizio ha anche bisogno di assorbire dai grandi. Ricordo che a Sanremo alcuni giurati importanti ci stroncarono dicendo che nonostante la validità, la proposta era qualcosa di già sentito e quindi sostanzialmente non ce n’era bisogno, invece a me fa onore che si sentano quelle influenze perché è la musica che ho ascoltato crescendo, e credo esista già una cifra personale, che io essendo l’autore rintraccio nei testi, ma che andando avanti dovrà diventare sempre più marcata. Per il prossimo lavoro sto già iniziando a farmi un’idea di che strada prendere, anche se potrà essere un rischio, ma andrà tagliato quel cordone ombelicale che ha influenzato le origini e dovrà esserci un’evoluzione.
Poi in realtà quel background era più il mio, ogni componente del gruppo arriva da esperienze di ascolto diverse ma la quadratura si trova sempre seguendo il mood delle canzoni e questo lo trovo molto bello, è un atto di grande umiltà da parte della band, che dimostra grande unione di intenti e pur venendo da background variegati, trova un punto di incontro attorno alla canzone”.
Evoluzione però, vuol dire compiere passi in avanti con coerenza, senza snaturare quella quota stilistica che ha fatto avvicinare il pubblico attento di cui parlavi prima.
“Quando parlo di evoluzione non penso alle sonorità dell’attuale ondata indie-pop. Anche perché in quell’ambito comincio già ad avvertire un po’ di stanchezza e di ricerca di nuovo, quindi sarebbe anche poco furbo inseguire troppo quei canoni. Una cosa che mi piace è l’energia che percepisco nei nostri live. Quando sei sul palco non sempre è scontato renderti conto di cosa davvero sente il pubblico, ma l’impressione è che al nostro piaccia godersi quello che riusciamo ad offrirgli. Li vedo emotivamente partecipi e per quanto in alcune situazioni sia bello anche quello, noi non siamo un gruppo da sing-along, sarà sicuramente anche una questione di fama e di numeri, ma immagino che i nostri live siano sempre concerti e non si trasformeranno in karaoke.
E in fondo il percorso è già in divenire, questo disco è già diverso dal primo, abbiamo triggerato di più la batteria, il primo era molto più chitarristico… Semmai la grande sfida dei Siberia per il futuro, sarà rendere i messaggi sempre più comprensibili”.
Il che significa mettere con umiltà i contenuti al centro, evitando di specchiarsi in modo sterile nella sola estetica.
“Esatto, è giustissimo. D’Annunzio diceva “il verso è tutto”. Ok, ma se fai musica pop devi pensare che chi ti ascolta deve poterti comprendere. Io vengo da studi classici ed in qualche modo, mi sento più uno scrittore che un musicista. Se ho qualcosa da dire e voglio che un messaggio arrivi, specialmente oggi che tutto è così veloce e la soglia di attenzione è bassa, sarebbe un’ingenuità pretendere che il modo in cui mi esprimo sia universalmente chiaro. Già nel passaggio dal primo al secondo disco ho cercato di smussare un po’ di spigolosità, questo album a livello di scrittura è stato chiuso più di un anno fa, c’è stato già tempo sufficiente a rendersi conto che per parlare a più ascoltatori possibile, occorre usare un linguaggio che sia comprensibile”.
Più chiaro di così… e devo dire che non potrei essere più d’accordo: i Siberia sono tre le migliori novità espresse dalla più giovane scena POP, se la loro qualità troverà il modo di raggiungere sempre più ascoltatori, per la musica non potrà che essere un bene.