– di Giacomo Daneluzzo –
Sleap-e, pseudonimo di Asia Martina Morabito, è una cantautrice unica nel suo genere. La sua prima apparizione discografica risale al 2019, quando ha collaborato con i Baseball Gregg nel brano Waiting. Segue il suo primo singolo, Hard Times, e l’EP Mellow, entrambi nel 2020, per poi uno stop che dura fino al 2022, quando esce l’album d’esordio Pouty Lips. 8106 è la sua ultima fatica, il suo secondo disco, che esce domani per Bronson Recordings/Virgin Music LAS (distr. Universal Music Italia) – ma si può preordinare su Bandcamp – e che è stato anticipato dai singoli leave my bum alone, no joke e poetry.
Il progetto artistico di Sleap-e è un unicum in Italia e brilla per talento e originalità, muovendosi con consapevolezza tra egg punk e anti-folk, passando per una moltitudine di generi.
Il disco sarà presentato in anteprima dal vivo presso il Locomotiv Club di Bologna, in uno speciale release party: per maggiori informazioni e per acquistare i biglietti potete dare un’occhiata a questo link.
Ho intervistato la cantautrice per farmi raccontare di più su 8106 e sul suo progetto artistico: si presenta in videochiamata dalla sua cameretta, piena di poster e cartoline sulle pareti, in cui si vedono peluche e oggetti di vario genere, che danno l’idea di una personalità strabordante, che non vede l’ora di uscire. Asia è una persona molto gentile e intelligente, e parlandoci mi dà subito l’idea di avere una consapevolezza fuori dal comune rispetto a ciò che fa e al suo percorso musicale.
Tra poco esce il tuo album: come ti senti?
Bene, ma sto impazzendo nell’organizzazione del release party, tra mille fanzine che sto preparando. Guarda.
[Mi fa vedere una serie di fanzine fatte a mano da lei con dei fogli colorati, su cui ci sono dei disegni di gatti].
Wow, hai fatto tutto tu?
Sì. Questa è BubuZine – si chiama così perché ho una pagina Instagram in cui faccio i disegnini. Stamattina sto facendo gattini brutti e stronzi su questo foglio rosso, ma non mi stanno venendo molto bene.
Quindi tu disegni?
Sì, sì, vado un po’ a periodi, ma quando riesco sì.
Avevo preparato una domanda sui disegni che accompagnano l’album, cioè le cover dei singoli e del disco stesso, quindi colgo l’occasione per fartela. Penso che da una parte il tuo album sia estremamente immediato nella comunicazione e che trasmetta molto “a pelle”, dall’altra ho l’impressione che sfugga un po’ alla definizione e all’analisi, insomma, che abbia un lato enigmatico. E in linea con questo le copertine raffigurano degli esseri misteriosi, molto evocativi – mi sono piaciuti molto – ma non di interpretazione chiarissima. Hai voglia di parlarmi di queste illustrazioni?
Credo che quest’analisi abbia senso: scrivo molto di getto, ma non voglio che le cose che dico siano troppo palesi. Per quanto riguarda i disegni ho cercato vari illustratori e ho trovato Noemi Vola, una ragazza di Bologna che conosco da tempo e che è bravissima. Le ho chiesto di farmi la copertina perché ha uno stile particolare in cui ho riconosciuto più o meno il mio stesso approccio, solo che nel suo ambito, l’illustrazione; la stessa energia. Lei crea personaggini di questo tipo: è roba sua, fatta con il suo stile. L’unica cosa che le ho chiesto è di aggiungere il lupo alla copertina, perché c’è una canzone che s’intitola wolf. Tra l’altro anche lei sarà presente al Locomotiv!
Facendo un po’ di ricerca sul titolo, 8106, ho scoperto che è un numero angelico con dei significati particolari, molto inerenti ai temi del disco.
Ah, davvero?
Quindi non è quello il motivo per cui hai scelto questo titolo?
Io credo ai numeri angelici. In certi momenti vedo sempre 111 e 222. Questi sono i numeri angelici con cui ho a che fare.
Ma quindi davvero non sapevi questa cosa?
Non sapevo che esistesse come numero angelico, ma ogni numero può esserlo, no? Adesso voglio sapere che cosa significa, però!
Ma la cosa assurda è che ha un significato legato all’autorealizzazione, al rispetto di sé e al raggiungimento di sogni e obiettivi. In alcuni siti è anche associato al talento artistico.
Veramente? È perfetto, cazzo. È incredibile. Hai capito? Wow, mi vengono i brividi. Adesso ti dico anche da dove viene il mio titolo.
Io non avevo dubbi che il titolo fosse per questo numero angelico!
Io sono magica, sono streghetta! Anche senza volerlo. È bello che esistano vari significati per ogni cosa.
Comunque, ho preso questo titolo da una stanza d’albergo, che ovviamente non era davvero la stanza 8106, ma ho cambiato i numeri perché mi suonava meglio. Sono stata in questa stanza per un periodo, per lavoro, e mi ha ispirata per il significato della canzone: 8106 è la stanza, ma io parlo a me stessa. È una canzone che parla di me stessa e del mio rapporto con me stessa, di un momento in cui sentivo di non essere felice con me stessa, di non riconoscermi più e di starmi perdendo nel mio stesso mondo, quindi di non star rispettando me stessa e le mie passioni. Stai male, non stai facendo le cose per te stessa e devi riappropriarti del tuo significato. E quindi sì, ha anche molto a che fare con quello che dicevi.
Anche nel comunicato stampa parli della tua “scelta della felicità”: come si concilia con i momenti “cupi” del disco? Che rapporto hai con lo scrivere di cose pesanti?
Fa un po’ ridere detta così, “scelta della felicità”… Penso che scrivere sia una liberazione e un modo per avere davanti a sé che cosa succede dentro di sé, di buttarsi in una cosa concreta e materiale che è un testo su un foglio, che poi diventa musica. Il mio rapporto con quello che scrivo consiste nel vedermi e nell’accettare e prendere consapevolezza di tutto questo. Non è legato per forza alla felicità per come viene pensata, in modo basic e superficiale, ma a una sorta di gioia nell’autoaffermarsi nel momento in cui stai scrivendo, quindi in qualsiasi modo ti stia sentendo, cioè, dire: «Okay, sono libera di dire questo e quindi lo dico». È una cosa molto spontanea, che mi fa sentire bene.
Nel file con i testi a sad is ugly c’è scritto: «sarcastic whining» e questa cosa mi ha fatto riflettere sul fatto che ci sia anche una vena ironica nei tuoi testi.
Sì, assolutamente, molte cose sono scritte in modo sarcastico, ironico e – azzarderei – provocatorio.
A proposito di ironia, hai fatto una canzone che s’intitola solo punk e che è chitarra clean e voce.
Sì, è una canzone che, come direbbe Andrea Cola, il ragazzo con cui ho registrato a Bronson, è una dichiarazione di intenzioni. La cosa ironica è questa: il giro è un blues solo voce e chitarra e nel testo annuncio questa cosa, e nel pezzo dopo, essendo che il blues è la base per tutto il rock e anche per il punk, tutto viene velocizzato e c’è la canzone più punk del disco – poi è comunque orecchiabile, perché alla fine quello che faccio è pop, però con quella vena punk.
Per preparare quest’intervista ho sentito tutto quello che hai pubblicato dal 2019. Questo 8106 mi sembra diverso dalle uscite precedenti: mi piacevano molto anche le prime cose, ma mi sembra che quest’album abbia una personalità più definita. Che cosa differenzia il pre-8106 dal momento attuale?
Penso che sia una maggiore consapevolezza e il fatto che sto meglio con me stessa, che mi ha permesso di tirare fuori questa nuova energia. Penso che sia la più autentica tra le energie e le intenzioni che ho avuto nella mia vita. Non voglio rinnegare ciò che ho fatto: è qualcosa che ha fatto parte del mio percorso e, dopo tutti gli esperimenti che ho fatto, le varie cose che ho fatto con gli altri, questa volta mi sono molto concentrata su me stessa e sull’energia che ho ora. Mi baso sempre molto su quello che voglio seguire nel momento presente. Forse è per questo che rispetto ai lavori passati si nota un cambiamento importante, una bella differenza.
Che cosa intendi per energia?
Da una parte sono cambiati i miei ascolti, e anche la mia intenzione e ciò che volevo fare. Dall’altra sto meglio con me stessa e sono stata più determinata a seguire a tutti i costi un obiettivo – cioè quest’album. La combo tra queste due cose mi ha permesso di farlo.
Mi hai detto che sono cambiati i tuoi ascolti: ascoltando tutto il tuo lavoro ci ho sentito Sufjan Stevens e Mac DeMarco, poi forse anche un po’ Elliott Smith.
Questi artisti che hai nominato fanno sicuramente parte delle mie influenze, forse qualche anno fa lo erano ancora di più, ma sono influenze che rimangono importanti. In particolare quando inizi un percorso musicale gli artisti che più t’influenzano sono quelli che poi ti restano dentro sempre. Per quest’album c’è qualcosa di anti-folk e qualcosa di egg punk, molto lo-fi. Ho sempre quei pochi artisti di riferimento, perché mi fisso molto sulle cose che mi piacciono. Non sono una nerd che conosce tantissima musica, anzi, sono molto selettiva e conosco meno artisti di altre persone. Secondo me “fissarsi” è il modo migliore per entrare nel mondo di un artista e farlo proprio, interiorizzarlo. Gli artisti che ho ascoltato di più mentre realizzavo questo disco sono Jimmy Whispers, Juan Wauters e Hasil Adkins per quanto riguarda l’anti-folk, mentre per quanto riguarda il lo-fi Dirty Beaches, alcuni demo degli Strokes chiaramente, sempre, e Whitney K, un anti-folk abbastanza cantautoriale. Infine, per quanto riguarda la parte più rock, i Fat White Family e i Warmduscher.
Prima mi hai parlato di libertà nell’atto creativo. Come si è manifestata questa libertà artistica nella creazione di 8106?
Parto sempre dal testo, poi voce e chitarra. Ho fatto delle demo in cameretta, poi le ho portate da Bronson Recordings e abbiamo registrato il disco là. Ho fatto tutto io da sola, tranne per il lavoro dei due batteristi. Mi è piaciuto molto registrarlo perché ho veramente fatto tutto ciò che volevo io nel modo in cui volevo io. Le persone che ci hanno lavorato chiaramente ci hanno messo del loro, ma sempre con idee che abbiamo formulato insieme e che per questo mi fanno sentire molto libera. È un disco che mi fa sentire veramente libera, perché tutto quello che avevo in testa l’ho realizzato come volevo.
Quindi non c’è niente che cambieresti?
No, niente. Però mi piacerebbe molto registrare una versione live, perché adesso, suonando in band, abbiamo preparato le canzoni in un modo diverso dal disco: sono molto più “tirate”, perché si tratta di un live molto energico. L’energia è l’intenzione del disco e suonando con una band tutto prende vita in un modo molto diverso, più partecipativo.
Sempre sul fatto che il tuo lavoro non sempre è di immediata comprensione analitica, vorrei farti una domanda sull’uso dell’inglese. In un’intervista a Rockit dici che sei «dedita all’inglese per sempre»: molti artisti che ho intervistato che cantano in inglese dicono che è un po’ uno schermo, cioè un modo per esporsi meno, per via del fatto che il pubblico non è madrelingua inglese. Ma secondo me non è così, per te, stando a quello che hai detto.
Io credo che questa cosa che dicono tutti sia in parte vera: quando canti in inglese in Italia non tutti capiscono subito quello che dici. Però è una questione di maturazione, controllo e consapevolezza. Quando inizi a cantare in inglese può essere che il motivo sia questo, però allo stesso tempo se il tuo progetto va avanti e continui a scrivere in inglese questa cosa la devi risolvere, proprio con te stesso. Non puoi avere paura delle cose che dici e di essere capito. Magari all’inizio, quando ancora sei un po’ timido e cerchi di scrivere qualcosa, ci può anche stare. Ma se poi vai avanti con questa concezione secondo me non è rispettoso nei confronti di se stessi e della propria arte. Perché quello che scrivi dovrebbe avere valore ed essere capito. Poi anch’io scrivo testi enigmatici, ma è perché a me piace questo stile, questa forma espressiva, di certo non perché voglio che non mi si capisca. E lo stesso vale per l’inglese, che è una lingua che secondo me si presta moltissimo a quello che faccio: mi suonano bene le parole e la pronuncia. Ormai mi sono abituata a scrivere in inglese e per me è figo, le parole suonano nel modo che mi piace. Per ora è la lingua che più mi soddisfa, poi magari un giorno inizierò a cantare in francese. Continuerò a cantare in inglese perché, semplicemente, mi piace.
Quindi tu non traduci i testi, li scrivi proprio direttamente in inglese?
Spesso la prima frase è in italiano, perché penso ancora in italiano [ride, nda], ma poi, molto velocemente, proseguo con l’inglese.
Non sai quante volte la gente mi dice: «Inizia a scrivere in italiano». Una volta uno mi ha detto: «Allenati già da adesso a scrivere in italiano, perché fidati: più andrai avanti e più avrai bisogno di scrivere in italiano, perché a trent’anni capirai che il tuo progetto non sta andando in Italia, dovrai cambiare tutto e farlo in italiano». Boh, che cazzo devo dire? [Ride, nda]
Mi sarebbe piaciuto venire al release party, ma sono a Milano. Ci verrà la mia collega Lucia Tamburello.
Grazie! Ad aprile comunque passiamo a Milano, quindi ci vediamo presto!
Link per il release party al Locomotiv di Bologna!