– di Riccardo Magni –
Nell’ultimo giorno di Sziget Festival 2019, quello per dire, dei Foo Fighters sul main stage, quello del gran finale, sono arrivati a Budapest anche i Viito, per quello che salvo sorprese è stato anche il gran finale del loro lungo tour. Un tour molto fortunato, che ha seguito e supportato il successo del disco d’esordio Troppoforte, uscito il 7 settembre del 2018 per Sugar, a sua volta dopo il successo di singoli come “Bella come Roma”, che era uscito a gennaio e per sette giorni era rimasto in cima alla classifica Viral50 di Spotify.
Anche da loro, ci siamo fatti raccontare l’esperienza dello Sziget, di come secondo il loro punto di vista, una proposta italiana di un certo tipo possa rapportarsi con un contesto, quello del Lightstage più nello specifico, che se pur ricco di pubblico italiano resta sempre e comunque internazionale.
Vi abbiamo visto girare un po’ per il festival prima di salire sul palco, ci eravate già stati? Che impressione vi ha fatto?
Vito: “Io non c’ero mai stato ma è una figata, c’è gente che veramente partecipa. Giuseppe c’era già stato, è lui l’esperto in questo senso…”
Giuseppe: “Esperto è una parola grossa, ma si, ci ero già stato, non a suonare però, suonarci è una magia in più. È stato veramente figo, c’è stata una bella reazione del pubblico e per noi in fondo, in tutta questa storia, per l’esperienza Viito, conta soprattutto questo”.
Particolare è anche, a detta di molti artisti, ritrovare in questo contesto internazionale una rappresentanza delle varie persone incontrate sotto i vostri palchi in giro per l’Italia. Per voi?
Giuseppe: è vero, e noi eravamo partiti anche parlando in inglese ma poi – ride – dal pubblico ci hanno detto “oh ma guarda che siamo tutti italiani”. Anche se non proprio tutti tutti… Da un lato è figo, dall’altro è triste: qui si ritrovano molte persone interessate alla musica che probabilmente in Italia non trovano spazi come questo. Fanno i chilometri come abbiamo fatto noi, ci rincontriamo qui per vivere questa esperienza che spesso a casa nostra non riusciamo a vivere allo stesso modo. Da questo punto di vista è triste. Però è bello comunque perché ci si incontra e poi, è una figata anche suonare davanti a chi non ti conosce, e lo vedi che si avvicina, probabilmente non sta capendo le parole ma si emoziona comunque.
Alludi chiaramente al pubblico non italiano. Che sensazioni vi hanno rimandato loro?
Giuseppe: io guardavo principalmente loro, un po’ li riconoscevo che non erano “dei nostri”, ma vedevo che si avvicinavano man mano e questa cosa mi ha emozionato molto, mi metto nei loro panni: vado a un festival, vedo un gruppo che so, greco, che non conosco, cantano, non capisco nulla ma mi avvicino perché in qualche modo mi stanno trasmettendo qualcosa, poi rimango lì, poi dopo mezzora sto facendo un video… wow! È una figata.
Vito: mi ha raccontato Cristina, la nostra tastierista, che appena ha alzato lo sguardo ha visto un tipo chiaramente non italiano e che chiaramente era allo Sziget da così tanto tempo che aveva preso la forma del festival, che ha iniziato ad avvicinarsi da lontano verso il concerto, e muovendo la testa faceva “si, si”… si è avvicinato finché non è arrivato al punto oltre il quale non poteva più ed è rimasto lì tutto il tempo. Questo mi fa capire che anche nella disinibizione più totale, dove sei più sincero, questa musica ha avuto successo, almeno in questo caso. Ed è stata una figata pazzesca, molto bello.
Siete partiti da una stanza di Roma non essendo romani tra l’altro, dopo il successo dei singoli è arrivato un disco (Troppoforte) che vi ha dato delle belle soddisfazioni e siete stati in tour circa un anno e mezzo, vi ha portato anche allo Sziget. Guardando indietro dall’inizio ad oggi, come avete visto crescere il vostro progetto?
Vito: aver suonato allo Sziget non è un premio né un punto di arrivo, è un momento in cui abbiamo avuto l’opportunità di cantare le nostre canzoni in un contesto differente. Prima di suonare ci guardavamo in faccia e non sapevamo cosa sarebbe successo, però siamo arrivati sul palco ed è iniziata ad arrivare gente fino a riempirsi e la cosa ci ha fatto molto piacere, ci ha dato un sacco di motivazione e carica per fare bene anche qui. Partendo comunque dal presupposto che noi in qualsiasi contesto si suoni, lo facciamo sempre al cento per cento, che ci siano trecento persone di un paesino o tremila a Milano per noi è uguale, nel senso che facciamo quello e lo facciamo sempre al massimo. Sembra una banalità ma è importante che si faccia così perché significa che ti esprimi sempre alla stessa maniera, non modellandoti al contesto, ma semplicemente perché tu lo fai così.
Come detto, il disco è fuori da un bel po’, il tour è andato molto bene ed è alla conclusione, state già pensando a cosa fare dopo il tour? State lavorando già ad altro?
Vito: ci pensiamo tutti i giorni in realtà, ci svegliamo la mattina e pensiamo a come potremo mettere in canzone le cose che viviamo.
Giuseppe: la cosa importante però, che abbiamo sperimentato su noi stessi, è il non voler avere fretta e scadenze prestabilite ma basarci su quello che abbiamo da dire. Quindi abbiamo scritto tantissimo, ma per la prima volta abbiamo anche iniziato a selezionare tantissimo quello che scriviamo, a cercare di capire effettivamente dove stiamo andando a fare centro, a raggiungere l’obiettivo comunicativo di una canzone e dove no o dove meno. Siamo diventati un po’ più esigenti da noi stessi, il lavoro del disco non si è tradotto solo nel mettere insieme altre canzoni nuove, perché quelle uno le ha sempre, ma iniziare un percorso che tuttora stiamo facendo per capire cosa vogliamo davvero dire, e solo quando lo avremo capito al cento per cento ci sentiremo pronti a poter pubblicare un nuovo disco.