– di Riccardo Magni –
Salice è lo pseudonimo scelto da Carmine Esposito per il suo nuovo progetto solista, che arriva dopo l’esperienza in varie band. È stato il primo italiano ad esibirsi allo Sziget edizione 2019.
Lo ha fatto sul Lightstage, venerdì 9 agosto, inaugurando di fatto i concerti di quello che ormai, non del tutto in maniera corretta c’è da dire, viene considerato il palco italiano del Festival.
Ed è stato ovviamente, anche il primo degli artisti italiani con cui abbiamo avuto il piacere di parlare, in quel piccolo mondo che per una settimana ti fa dimenticare tutto ciò che è oltre il Danubio. Il Sziget Festival (o lo Sziget Festival, che per noi italiani suona meglio).
Quindi, prima di tutto…
Eri mai stato allo Sziget da spettatore? O desideravi venirci?
È sempre stato un mio sogno dall’adolescenza venire allo Sziget, non ero mai riuscito a realizzarlo perché in adolescenza di solito non si lavora ancora e si è poveri… Col tempo la foga era scemata ma il pallino di venire al festival era rimasto, ci ho provato infinite volte con le band in cui ho suonato quando ero a Napoli, ho mandato in giro moltissimo materiale e fatto tantissime richieste ma era molto difficile. Sapere quest’anno, tre l’altro tramite un messaggio su whatsapp, che avrei suonato allo Sziget è stata davvero una bella botta.
Tra l’altro, sei stato il primo italiano ad esibirti nell’edizione 2019.
Non lo sapevo ed è un piacere in più. Mi ha emozionato anche vedere la “i” accanto al mio nome nel programma, ad indicare la mia italianità, a cui devo dire non sono particolarmente legato ma che in questi casi evidentemente emerge.
Con il tuo progetto solista sei un esordiente assoluto nel panorama italiano. Con questa premessa, come ti sei rapportato ad un contesto che, nonostante la gestione italiana del Lightstage ed un pubblico per lo più di connazionali, resta di respiro fortemente internazionale?
L’ho vissuta in maniera molto naturale, appunto perché c’erano anche molti italiani. In questo macro contesto internazionale ero inserito in un micro contesto che mi faceva comunque sentire a mio agio, sono stato ricevuto subito in modo molto accogliente, sentendomi parlare in italiano e mi sono sentito a casa. Allo Sziget la mescolanza di culture e provenienze diverse è una bellissima realtà, ma essere accolto così ha contribuito a non farmi sentire completamente disperso come invece poteva capitare se avessi dovuto suonare su un altro palco che non fosse stato il Lightstage. Sapere già prima che avrei trovato questo mi ha fatto arrivare tranquillo, poi tutto è stato confermato: l’accoglienza, il potermi rapportare tranquillamente con lo staff, c’è anche il banchetto che fa il caffè…
Ecco, il cibo, il caffè… Da italiani (e tu da Napoletano poi) in queste circostanze è un argomento delicato…
Ma guarda, in realtà essendomi trasferito a Milano mi sono molto internazionalizzato sul fronte cibo. Per me la cucina napoletana era l’unica cosa che si potesse mangiare, quella di mia mamma soprattutto… Poi però mi sono dovuto adattare. A Budapest ho assaggiato anche il gulasch, esperienza interessante, che però non credo di ripetere a breve.
Restando sull’asse Napoli-Milano, quanto metti nei tuoi pezzi della tua nuova quotidianità? Quanto c’è di milanese e quanto di napoletano nelle tue canzoni?
Posso dire che il mio “essere me” non sia cambiato moltissimo trasferendomi a Milano, il modo di vivere quotidiano, affrontare le sfide, assorbire le esperienze, è lo stesso di sempre. Gli argomenti che tratto nelle canzoni sono tutti stimolati da situazioni che vivo, e le canzoni le ho scritte tutte lo scorso anno, quando ero già a Milano, quindi parlano di momenti che ho vissuto lì. Devo però dire che è emersa con un ascolto successivo, un certa napoletanità che mi ha anche un po’ sorpreso: è vero che sei quello che sei ed il tuo bagaglio viene con te ovunque, ma si è manifestata una certa nostalgia che non credevo di provare.
Ci hai trovato quindi anche un’analisi di te stesso? Hai scoperto qualcosa su di te riascoltando i pezzi finiti?
Mettiamola così: li ho scritti pensando di raccontare cose successe tutte a Milano, ma riascoltandoli, mi sono venute in mente tantissime immagini della mia vita a Napoli. Sono emersi dei pezzi di Napoli che evidentemente sono sempre stati lì. Così ho anche deciso ad esempio, di utilizzare la maglia del Napoli come copertina per il singolo. C’era scritto “Kappa” (era lo sponsor tecnico, ndc.) e per me è stato perfetto, ho pensato fosse una figata che sulla maglia del Napoli della stagione in Serie C, ci fosse scritto il titolo del mio singolo ed ho detto “è perfetto, si usa quello”.
Kappa è un titolo provocatorio, di un brano che utilizzando la metafora delle droghe, vuole parlare di reazioni agli stimoli.
L’immagine della droga che “non sale” è venuta fuori perché di lavoro faccio l’educatore, faccio l’insegnante di sostegno alle elementari ed alle medie rapportandomi con le disabilità, e per un paio d’anni ho lavorato a contatto con i tossicodipendenti. Facevo un servizio itinerante in luoghi con persone che facevano uso di sostanze psicoattive, alcol e droghe di vario genere. Una volta mi colpì particolarmente l’immagine di un ragazzo che era talmente concentrato sull’idea che la droga assunta non salisse, che in realtà non si rendeva conto che l’effetto era già arrivato, te ne accorgevi chiaramente da come parlava o da come stava steso. Questa immagine è stata illuminante, ci sono situazioni in cui si è talmente presi da ciò che si sta facendo per raggiungere qualcosa, che non ci si accorge che quella cosa sta già girando, sta già funzionando. La canzone parla di azioni che dovrebbero provocare delle reazioni, che però non arrivano perché ci si concentra solo sulle azioni.
Ed è più assuefazione o bramosia, un non farsela bastare mai?
Io credo che l’Umanità di basa nasca insoddisfatta, e l’insoddisfazione ti porta a voler andare sempre oltre. Lo vivo anche con le persone di cui mi occupo: banalmente, aiutando una persona con disabilità ad ottenere dei risultati ho visto come la famiglia non riconosce il giusto valore di miglioramenti che sono grandissimi rispetto alla posizione di partenza, normalizzandoli ed aspettandosi sempre di più. Questo mi ha aiutato a farmi bastare le cose. Se provo a fare qualcosa di più, l’ho fatta e dopo vedo com’è andata, tiro le somme.
Questo era ciò che riguardava il tuo unico singolo pubblicato, un po’ il tuo biglietto da visita. Ci sono però altri pezzi, stai lavorando, cosa possiamo aspettarci da qui a breve?
Considera che sono riuscito ad arrivare allo Sziget grazie a delle preproduzioni, dei provini, e la stessa uscita del primo singolo non era esattamente prevista, ma ci è sembrato doveroso non arrivare allo Sziget da “fantasmi”, senza nemmeno un pezzo pubblicato. Così è uscita Kappa.
Uscirà qualcos’altro sicuramente tra settembre ed ottobre, un nuovo singolo probabilmente, visto che ho registrato alcuni pezzi in studio a Brescia con Paletti ad aprile e le canzoni sono lì che scalpitano. Poi sto lavorando a delle date ma non c’è ancora nulla di perfettamente definito. L’intenzione è di rivederci in giro il prossimo inverno.