– di Roberto Callipari –
Il tour di “Belvedere” di Galeffi, cantautore romano e uno fra i riferimenti del nuovo cantautorato italiano, è giunto ormai alle ultime date, che si preannunciano grandi eventi dopo una stagione che lo ha visto su alcuni dei palchi più importanti dello Stivale.
Lo raggiungiamo in questi ultimi giorni di promo durante i quali, nel caldo della sua Roma, tiriamo un po’ le somme su quello che è stato il tour, cercando di carpire qualcosa di quello che saranno questi ultimi live.
Com’è stata la vita la vita di “Belvedere”, il tuo album, da quando è uscito?
Secondo me è andato bene, anche perché il tour è un po’ la resa dei conti. Devo dire che da dicembre che siamo partiti, fino ad ora, le date sono state una più bella dell’altra, e non dico per dire, ma puoi chiedere a tutti i fan che sono venuti nelle varie città. Non mi aspettavo questo perché comunque, dopo quattro anni di pausa di cui due per la pandemia, considerando che il mio primo vero tour era finito nel 2018. È stato tutto bello insomma. Poi certamente il disco può sempre andare meglio o peggio, ma quello che “Belvedere” ha portato finora mi ha reso fiero.
Quali sono state le sorprese che ti ha riservato il tour finora?
Diciamo che la cosa che mi è piaciuta di più è l’empatia che si è creata praticamente in tutte le date. Nel tour dei club l’empatia e l’intimità che si creano sono più facili, visto che si sta chiusi sotto un tetto e le pareti, si è tutti un po’ più avvolti nella questione.
Il tour estivo è divertente per altri motivi, tipo i viaggi che sono più facili perché non piove, non nevica e non fa freddo… Poi sono stato molto contento del tour nei club per il fatto che molti dei miei “amici colleghi” mi abbiano fatto capire che gli avrebbe fatto piacere partecipare come ospiti perché avevano apprezzato il lavoro e quello che succedeva ai concerti: parlo di amici come Diodato o Niccolò Fabi, ma anche i Tiromancino, che era bello vedere sottopalco. Poi devo dire che è stato un anno particolarmente positivo. Però non ti saprei dire un momento specifico… magari arriverà negli ultimi concerti!
Com’è portare live un album musicalmente così vario?
È un’ammazzata perché comunque abbiamo fatto un sacco di prove per allestire il tutto. Il concerto dura più di un’ora e mezza, tipo un’ora e quaranta minuti, praticamente una partita di pallone, e oltre al fatto di avere tante canzoni noi suoniamo molto, con poche sequenze – in alcuni momenti neanche ci sono – quindi ti devi ricordare tanti accordi e tante robe [ride, ndr]. Però avevamo posto l’obbiettivo in alto e abbiamo lavorato tantissimo coi ragazzi per creare questo tipo di show qua. Insomma non è stato facile, però è stato bello vedere anche come reagiva la gente che veniva. Mi sembrava tutto giusto.
Credi ci sia stato un mutamento, in senso più ampio, nel modo che hai di vivere e di fare live da quando hai iniziato?
Di sicuro sì, ma anche solo perché il primo tour era uno di quelli rock’n’roll, dove andavo io a prendere il furgone e a noleggiarlo (era anche un altro periodo storico…). Diciamo che l’indie ha imparato – l’indie come etichette e discografia di giovani emergenti, ed è cresciuto e siamo tutti cresciuti insieme, nessuno ci ha insegnato il mestiere e a un certo punto ci siamo dovuti imparare tante cose. Chiaramente le cose ora sono migliorate, tipo ora non vado io a prendere il furgone [ride, ndr]! Quindi banalmente anche per queste cose piccole è più facile gestire il tutto, anche diverso, soprattutto se consideri che io nel 2018 ho fatto 85 date, dove partivo il giovedì e tornavo la domenica o il lunedì tutte le settimane dell’anno e tornavo a casa disintegrato, e ora a 32 anni compiuti il mio fisico non riuscirebbe più a reggere 80 date all’anno. Fare questo numero più umano di date, potendomi concentrare in maniera diversa, è un approccio che mi si addice di più. Anche perché stando meno in giro ti concentri meglio, nei concerti riesci a dare sempre il massimo e quando sei a casa hai più tempo a disposizione per lavorare, soprattutto ora che ho lo studio in casa, e di base lavoro tutti i giorni.
Belvedere ha evidenziato una certa crescita e maturazione nella scrittura, ma qual è stata la vera crescita che ha portato a tutto ciò che ora ci fai sentire e vedere?
Sicuramente l’autocritica e la voglia di crescere. Non mi vanto per scrivere canzoni in cinque minuti, cosa che magari succede, ma non è la media. È ovvio che le prime canzoni ti escono in cinque minuti perché non hai background di riferimento ed è tutto istinto. Ma quando diventa un lavoro che rischi anche di perdere, allora devi capire come difenderti e quali sono le tue armi: le mie sono sicuramente la costanza nel lavoro quotidiano, e se una canzone mi richiede due mesi di lavoro allora ci lavorerò due mesi. E penso che la crescita, che credo sia evidente, sia anche quella di saper non ascoltare il diavolo che ti vuole portare sulla via più facile o le critiche di chi svilisce il tuo lavoro, ma impegnarsi per fare ciò in cui so crede davvero, che poi è qualcosa che ho visto anche nel documentario “Ennio”, sulla vita di Morricone – che consiglio vivamente ai vostri lettori, nel quale lui stesso racconta della sua caparbietà nell’andare contro a chi, critica e pubblico, di tanto in tanto gli dava del “poppettaro”, senza considerare che, alla fine, ha avuto ragione lui, perché i lavori e i premi sono rimasti.
In senso più generale, pensi che nella scena italiana sia cambiato qualcosa nella musica dal vivo da quando hai iniziato?
Sì, decisamente. Me ne sono reso conto quest’estate suonando in diversi festival nei quali, come spesso succede, suonano progetti anche molto diversi, e devo dire che rispetto a prima c’è una cosa che sta diventando ordinaria quando non lo era, ovvero che ci siamo trovati in situazioni nei quali eravamo gli unici con gli strumenti, mentre molti progetti preferiscono portare il dj con la sua postazione e magari un corpo di ballo, addirittura, ma senza musicisti. Adesso, nell’onda dell’urban che ha preso un po’ il posto di quella cantautorale, questo va per la maggiore, e magari noi con gli strumenti e la band siamo percepiti come diversi, magari anche strani, forse. E a me non piace molto vedere un palco senza musicisti.
Come arrivi invece alla data di Villa Ada del 14 settembre?
Ci arrivo carico perché sono a un passo dal traguardo, con un tour in attivo che è andato bene, anche se sembrava un obbiettivo difficile all’inizio, e spero che le ultime date siano belle come lo sono state le precedenti. Ma non solo: certamente non vorrei sbagliare il rigore in finale, ma vorrei anche godermi queste serate sapendo che, per ora, sono gli ultimi momenti.
Quale sarebbe il sogno del live di Galeffi?
Chiaramente un giorno mi piacerebbe duettare con Cesare Cremonini, o magari partecipare alla scrittura di un brano con lui, e mi piacerebbe molto fare un tour nei teatri, e per quest’ultima cosa credo che, vista la direzione che sta prendendo la mia carriera, quello potrebbe essere il passo successivo e anche quello che mi sento pronto a fare.
PROSSIME DATE DEL TOUR:
12 SETTEMBRE – CASTELFIORENTINO (FI) – FESTA DELLA BIRRA CASTELLANA
13 SETTEMBRE – SEGRATE (MI) – CIRCOLO MAGNOLIA
14 SETTEMBRE 2023 – ROMA – VILLA ADA FESTIVAL