Ed eccoci al nostro appuntamento fra cavi, connessioni, regolette e tanta, tanta polvere… Come in ogni studio che si rispetti!
Oggi si parla di uno strumento fondamentale nel pop-rock, il basso; non che in altri generi sia meno importante, ma diciamo che White Stripes a parte (e pochi altri) senza basso si fa poca strada.
È lo strumento che fa da tramite fra la parte ritmica e pulsante del nostro brano e la parte armonica dello stesso, fondamentale è dir poco.
Prima di tutto partiamo con l’analizzare lo stile del bassista in questione, ad esempio è necessario indagare se si tratti di un chitarrista fallito o di un bassista per vocazione; i bassisti per vocazione sono una manna dal cielo, i chitarristi falliti tendono a suonare troppe note nei punti sbagliati o comunque non hanno il concetto di “stare incollati alla cassa” senza invadere spazi altrui.
Questa premessa non è solo di colore: un bassista-chitarrista avrà bisogno di un suono più snello, con meno basse, altrimenti finirà per infestare il brano di basse frequenze moleste con tutte le sue note. Un bassista “di professione” sa come gestire i pieni ed i vuoti quindi si possono usare suoni più pieni; questa non è la legge, ma la casistica dice questo.
Ora passiamo a questioni più tecniche; prima cosa da fare è prendere in considerazione lo strumento del musicista: so che suona ovvio, ma se il basso è a quattro, cinque o sei corde fa una grossa differenza nel tipo di approccio che bisogna avere in fase di registrazione.
Un basso a cinque o sei corde, dotato cioè del si basso, si può valutare se registrarlo usando un ampli per i medi ed un altro solo per i sub; un basso a quattro corde di solito si gestisce bene anche con un solo ampli per fare “tutto” il suono.
Marche, modelli e combinazioni sono del tutto personali e quasi sempre non è la scarsa qualità dei materiali a determinare un suono scadente, bensì una cattiva gestione del bilanciamento del suono di partenza fra toni del basso e settaggio della testata; mi piace far notare che molto più nel basso che nella chitarra è fondamentale l’uso millimetrico dei toni dello strumento per adattare la timbrica, senza cambiare nulla sull’amplificatore, al brano che si sta registrando.
La tecnica consolidata per registrare un basso è quella di prendere lo strumento sia in D.I. (Direct Injection), cioè attraverso l’uso di una D.I. Box o attraverso l’uscita bilanciata della testata/ampli, che microfonando l’ampli.
Partendo dalla D.I. vi consiglio, in principio, di usare sempre due D.I.: una presa dalla testata ed una presa direttamente dal basso, così da avere il suono del “legno” e quello del circuito dell’ampli. Potrebbe essere utile tenere entrambe le D.I. oppure semplicemente selezionare quale delle due è più indicata per questo o quel brano.
Per quanto riguarda il microfono bisogna prima stabilire se si sta usando un sistema a più vie (alti, medi e bassi) o un “monocono” da cui esce tutto.
Nel caso di un “due vie” metteremo un microfono di quelli dinamici, come quelli per la cassa della batteria, sul cono più grande di diametro, cioè quello che fa i sub; mentre useremo un mic con una risposta meno colorata sulle basse per prendere il cono più piccolo che fa i medio/alti.
Quando sommerete la D.I. ed il microfono al 90% sentirete un suono peggiore di quello che sentite ascoltando solo la D.I. o solo il mic, perché? La risposta è molto complessa: entrano in gioco le fasi del suono.
I due suoni, D.I. e mic, non sono contemporanei al 100%, parliamo di un ritardo del mic dell’ordine di frazioni di millisecondo (dipende dalla distanza fisica del mic dal cono dell’ampli); non sono contemporanei perché gli elettroni che girano nei cavi della D.I. viaggiano alla velocità della luce (circa… i fisici mi perdoneranno), mentre il suono che esce dal cono ed investe il microfono viaggia a 340 metri al secondo circa (velocità del suono in aria); si troverà quindi fisiologicamente un po’ in ritardo. Questo non produce “fuori tempo” musicale, ma la somma di D.I. e mic crea una sintesi sottrattiva al suono, impoverendolo di alcune zone di frequenze che andando in controfase si annulleranno; è comune nei meno esperti o nelle strutture meno professionali l’uso solo della D.I. o del mic e non dei due sommati, perché se non si ha il controllo totale di quello che succede a livello di interazione di fase si fanno meno danni ad usare solo una delle due strade!
Di contro se si sa gestire la fase di tutte le linee a disposizione (possiamo avere fino a quattro linee da gestire, due D.I. e due mic!) il suono del basso assumerà le proporzioni di un monolite sonoro, senza l’uso massiccio di equalizzatori, ma solo con un po’ di compressione che fisiologicamente serve a “tenere lì” lo strumento.
La correzione della correlazione di fase fra microfono e linea (fenomeno presente anche nella chitarra, ma meno problematico perché la chitarra in D.I. fa pietà e nessuno la mixa così…) fa parte “dell’esoterismo” sonoro, meandri oscuri in cui non mi sento di spingermi in questo periodo di amenità dell’anno dove Babbo Natale e la Befana si rincorrono.
Danilo Silvestri (GreenMountainAudio)
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