di Riccardo Magni.
foto TARM di Magliocchetti.
Parte 2 –
Tornando a parlare di origini, la vostra storia si lega indissolubilmente a quella de La Tempesta, l’etichetta da voi creata.
Come venne quella decisione? E in cosa, all’epoca, il vostro rapporto con la major (BMG) non funzionò?
Beh non ha funzionato perché non avevamo le caratteristiche, e non ce le abbiamo neanche oggi, per essere un prodotto discografico nel senso tradizionale del termine. Non facciamo musica “decorativa”, la nostra musica, il nostro nome stesso, non è fatto per essere pronunciato in radio. Sembra una cosa ripetitiva che diciamo da tanto tempo, ma è la realtà. Quindi in quel primo rapporto che avemmo con la major queste difficoltà si sono mostrate in modo abbastanza veloce, tanto che l’idea di tornare in una direzione di autoproduzione è stata naturale da una parte, quasi obbligata dall’altra. Ed in effetti poi come etichetta abbiamo raccolto, tutto sommato, delle voci che per la discografia risultavano molto difficili da mettere in moto. Caratteristica complessiva che è rimasta negli artisti che si avvicinano alla nostra etichetta, quella di essere più nella testa delle persone che li ascoltano che nei media.
Poi negli ultimi anni le cose sono anche cambiate molto, sembrano andate avanti e tornate indietro allo stesso tempo, la parola indie ha preso una connotazione di natura merceologica ed ha perso forse la sua natura più reale che è quella di essere una musica che non va nella direzione tradizionale, che vive di altro, ad esempio di rapporto con il territorio. Anche questa cosa sta cambiando in maniera molto radicale: se tanta della musica indipendente è nata e si è nutrita della resistenza sul territorio, della possibilità di incontrare molte persone, fai conto che noi abbiamo fatto più di duemila concerti ed insieme a tanti altri gruppi abbiamo nutrito una rete di locali, o di situazioni anche estemporanee, in cui la musica dal vivo diventava anche un momento aggregativo. È indubbio che in questo momento tutto questo sta prendendo un’altra forma, si parla soltanto di soldout, di spostare la musica di un certo tipo in contesti in cui la speculazione è più alta e dove i numeri sono fondamentali, ma la musica indipendente non è nata in questa direzione, è nata da un’altra parte e noi siamo ancora figli di quello anche se i nostri numeri ora sono differenti. Quindi il motivo per cui abbiamo rinunciato al rapporto con una major è proprio perché quelle logiche lì, non si sposavano con la natura né del nostro essere né della nostra musica. E non è che sia cambiato, è ancora così. Dovevamo trovare un modo per incontrare il nostro pubblico, incontrare le persone a cui piacesse la nostra musica, lo abbiamo trovato in situazioni che si dicevano una volta “alternative”.
E quindi, con le caratteristiche del mercato di oggi, come deve lavorare un’etichetta come la vostra che ha fatto sempre dell’indipendenza una propria ragione d’essere?
Non è facile, in questo momento i grossi investimenti delle major sulla musica italiana sono ritornati. Quando mi chiedevano qualcosa al riguardo in passato, rispondevo di immaginare un futuro con tante etichette indipendenti, ognuna con la propria dimensione, il proprio immaginario, il proprio panorama e quindi i propri gruppi. E di fatto così è, adesso ci sono tante etichette indipendenti, tanti gruppi di lavoro che producono immaginario, che poi si appoggiano a situazione che possiamo definire più tradizionali, che possono essere le vecchie major come anche altri agenti musicali che comunque ti danno la possibilità di avere un certo tipo di investimento, ed un posizionamento in questi luoghi che sembrano di libertà ma che invece sono comunque luoghi forzati come i nuovi media, o la rete che sembra libera ma in realtà lo è per modo di dire.
È sempre stato anche il nostro un modo di fare attento alla possibilità di avere rapporti con altre situazioni, perché comunque la musica vive di una distribuzione sia dell’investimento che degli introiti, quindi tecnicamente è una cosa che si fa quella di avere la testa di un certo tipo e poi il corpo costruito di investimenti anche di altre realtà. In questo momento qui, che le case discografiche sono abbastanza vuote di intelligenza di scouting, allo stesso tempo si appoggiano ad intelligenze che stanno nelle case editrici più piccole, le così dette indipendenti.
È anche interessante in realtà come momento, non c’è mai stato un accesso alla creatività così forte come in questo momento, perciò è vero che se prima era difficile anche proprio trovare i soldi per fare un disco, adesso l’accesso alla creatività è molto più facile e molto più esteso allo stesso tempo, ci sono molte più persone che fanno musica e questo non può che essere una cosa positiva o comunque nuova rispetto al passato.
Uno dei modi per incontrare il vostro pubblico, come band e come etichetta, uno dei più belli forse, sono i vostri eventi.
Vedremo a brevissimo La Tempesta su Marte, edizione invernale in programma a Roma all’interno della Biennale di Marte Live. Ma ne abbiamo viste tante negli anni scorsi, in luoghi diversi e suggestivi. Ci sono edizioni, o episodi, di cui conservate un ricordo particolare?
Sono sempre belle le serate de La Tempesta, sempre in luoghi stupendi e con un bel pubblico. Se voi che ne ricordi una però, c’è stata un’edizione incredibile fatta proprio in Friuli in un posto bellissimo che si chiama Villa Manin, una villa ottocentesca nella pianura friulana (era l’edizione del 2011, ndc), dove ho anche visto suonare gruppi incredibili tipo i Velvet Underground, o i Rammstein l’ultima volta. Per la costruzione dell’evento abbiamo speso moltissime energie, c’erano due palchi paralleli, avevamo una lineup incredibile con il Teatro degli Orrori, Le Luci della Centrale Elettrica, noi, Pan del Diavolo… Solo che maledizione alle sette del pomeriggio è venuta giù una vera tempesta, quindi quella cosa non si è sviluppata completamente, ma i gruppi hanno continuato tutti a suonare nelle logge di questa villa e la festa è stata comunque bellissima. Quella me la ricorderò sempre perché organizzavo io, abbiamo lottato insieme ai nostri partner per poter dare un’altra possibilità a quella data ma non c’è stato modo, però quel casino lì ha prodotto poi la nascita de La Tempesta invernale, di cui la serata di Roma sarà una propaggine. Oltre al rimborso dei biglietti che chiaramente era automatico, era rimasta proprio una specie di ferita tra la nostra gente che non era riuscita a vivere questa serata, e per loro abbiamo immaginato di poter recuperare in una invernale. Così è nato l’appuntamento che abbiamo portato avanti per tanti anni in un grande centro sociale in Veneto, il Rivolta a Marghera, un posto incredibile e bellissimo con una sala concerti da tremila persone. Perciò da quella sfiga è poi nata una cosa interessante.
In questa edizione di Roma, La Tempesta su Marte, avete scelto di portare con voi tutta una serie di artisti mediamente under 35. Accanto a nomi conosciuti nella scena indipendente come Alosi, Blindur… ci saranno proposte molto particolari e giovanissime.
Ci sono alcuni gruppi ed alcuni artisti proprio nuovissimi, uno è sicuramente Lupetto che è un anglo-italiano che però è un nostro figlio diretto essendo nato artisticamente a Pordenone ed ha già scritto qualcosa per i Ragazzi Morti, roba già pubblicata nei dischi.
Poi c’è La Niña, una cantante napoletana che canta in lingua napoletana, molto particolare.
Mimosa Campironi che è un’attrice e cantante romana, una musicista di pianoforte, che ha una fisicità proprio ne suonare che è particolarissima e poco vista in Italia.
C’è un gruppo di cumbia che è la mia passione ultima, che fanno sempre parte dell’Istituto Italiano di Cumbia e si chiama Viva Viva Malagiunta, che ha costruito la propria musica su un viaggio che è lo stesso che ha dato origine alla mia ultima graphic novel che si chiama Il cammino della Cumbia. Perciò è una specie di sviluppo da etnomusicologi nel continente sudamericano alla ricerca di questa musica, è molto particolare.
E la Murga Los Adoquines de Spartaco, loro sono di Roma, del quartiere Quadraro, ma fanno uno spettacolo di strada marciante incredibile, che potresti vedere a Buonos Aires in Agentina.
Poi Alosi, Blindur e Black Snake Moan so che li conosci bene. Sono specialissimi veramente.
E a chiudere arrivano i Tre Allegri Ragazzi Morti, ma non sarà un concerto “normale”, avete preparato una scaletta speciale e dobbiamo aspettarci sorprese.
Si ci sarà una scaletta antologica, con dentro un po’ tutta la nostra storia, e sarà una scaletta anche cronologica, nel senso che partiremo dalle cose iniziali per arrivare alla fine, ed avremo alcuni ospiti speciali, uno sarà Adriano Viterbini, altri due sono Iasko e Kit dei Cacao Mental, altro gruppo di Cumbia contemporanea di Milano. Sarà un modo anche per noi per ripercorrere quello che è stato il nostro percorso fino ad ora. E partiremo in tre ma finiremo in dieci sul palco.
In un percorso di 25 anni per forza di cose ci sono momenti a cui si è più legati, altri magari meno. Molti gruppi non hanno un grandissimo rapporto con le loro origini, capita di vederne alcuni che debbano scendere a patti con alcuni pezzi che volenti o nolenti li hanno “definiti”, altri che le origini le rinnegano proprio. Per voi com’è?
No devo dire che noi siamo abbastanza affezionati alla nostra musica delle origini, anzi forse è la musica che ci è più naturale perché è quella che ci ha formato, non so come dire, è veramente dentro i nostri geni. Quando suoniamo quelle cose lì non serve neanche pensare, non occorre niente, arriva da sola, è una cosa che abbiamo dentro proprio. Non riusciamo a dire di no alla nostra vecchia musica.