Sette inediti di Roberto Roversi, storico paroliere di Lucio Dalla, prendono vita in “Etilene per tutti”, il nuovo EP degli Zois.
– di Martina Rossato –
La longeva collaborazione che ha legato lo storico paroliere Roberto Roversi e Lucio Dalla ha prodotto tre dischi, considerati pietre miliari della della musica italiana. Oggi, a 100 anni dalla nascita, gli inediti di Roversi vengono musicati degli Zois per mano di Antonio Bagnoli, nipote di Roversi e curatore del suo lascito culturale. Dagli archivi roversiani Bagnoli riporta alla luce alcuni testi inediti scritti per Lucio Dalla e decide di restituirli al mondo nella forma per la quale sono stati pensati, affidando il compito agli Zois.
“Etilene per tutti” è uscito il 28 gennaio, anniversario della nascita di Roversi.
I testi di “Etilene per tutti” sono stati scritti da Roversi per Lucio Dalla. Cosa è significato per voi riceverli e interpretarli?
Da una parte abbiamo avvertito un’enorme responsabilità, dall’altra abbiamo affrontato la sfida con grande entusiasmo.
Questo lavoro è un ponte tra passato e futuro. Come avete deciso che sonorità dare all’EP e che tipo di lavoro c’è dietro alla loro realizzazione?
La scelta delle sonorità è molto legata al significato e agli argomenti trattati nei testi. Abbiamo cercato di restituire le emozioni che ciascun testo ci comunicava con un suono specifico: ad esempio, Operaia Casalinga Contadina, il cui testo parla della condizione della donna con una rabbia rivoluzionaria, si è trasformato in un brano punk-rock per il quale ci siamo ispirati alle Pussy Riot. Ci siamo mossi senza imporci limiti di genere.
In tal senso abbiamo avuto la grande possibilità, grazie alla Fonoprint, di chiuderci in studio e sperimentare come si faceva una volta. Con Giacomo Fiorenza, che ha firmato la produzione artistica, abbiamo mescolato strumenti vintage e strumenti digitali, passando, ad esempio, dall’anima analogica di un vibrafono degli anni ’60 all’elettronica dei più recenti virtual instrument, in cerca del suono giusto per ogni canzone.
Avete definito il genere come “rock futurista”. In che senso e cosa è oggi il “futuro” in Italia?
Si fa sempre molta fatica a “auto-definirsi”. L’idea del futurismo è da ricondurre al modo in cui abbiamo pensato le atmosfere delle canzoni e l’uso dei suoni. In diversi casi abbiamo usato dei suoni “onomatopeici”: ad esempio in “Etilene per tutti”, che parla del ricatto lavoro-ambiente, abbiamo inserito all’inizio del brano il suono di un ruscello, incontaminato e ancestrale.
Cosa sia il futuro in Italia è difficile a dirsi. Di sicuro i tempi richiedono una partecipazione e una disponibilità al rischio e al sacrificio a cui, forse, ci siamo disabituati. Questo vale per ragionamenti più ampi, ma anche per la sola musica. Dovremmo domandarci non tanto come sia il futuro, ma cosa ci chiede il futuro che sta arrivando. Per come la vediamo, chiede di uscire dalle “comfort zone”, di essere temerari anche a costo di sbagliare, di non essere compresi o di essere criticati. Smettere di pensare sempre di rivolgersi ad un pubblico addomesticato e provare ad offrigli un punto di vista ulteriore. Citando Frida Khalo: “Non come chi vince sempre, ma come chi non si arrende mai.”
I brani sono stati registrati negli studi dove registrava anche Dalla. Cosa c’è di Lucio nei vostri arrangiamenti?
Nei nostri arrangiamenti della lezione di Dalla c’è soprattutto la volontà di sentirci liberi.
Da un punto di vista musicale e compositivo non abbiamo cercato in nessuna maniera di inseguire il suo modello inarrivabile. Piuttosto, con la massima sincerità, abbiamo provato a metterci in gioco per tentare di costruire un percorso specifico, che riguardasse in maniera esclusiva questo lavoro, partendo dal nostro universo sonoro e dalla nostra sensibilità.
C’è qualcosa che vi ha colpiti in particolare dei testi (o nei testi)?
Tantissime cose. Senza dubbio il fatto che sembrano parlare del nostro tempo, come se Roversi si fosse nascosto in un punto invisibile ad osservarci. C’è un testo, forse il più duro, “Quattordici volte all’alba”, che ha un passaggio sconvolgente. È ispirato ad un fatto di cronaca reale e racconta di una donna – una ragazza – che tenta il suicidio quattordici volte per sfuggire alle violenze quotidiane che subisce. Nel finale dice “Mi hanno ancora salvata. Quattordici volte morire, senza la soddisfazione di poterci riuscire”.
In questa frase c’è un’accusa enorme: il mondo le salva la vita, ma contemporaneamente non la protegge e la condanna ad una violenza perpetua. Purtroppo queste parole descrivono ancora i nostri giorni.
Qual è la principale differenza tra il lavorare a canzoni interamente vostre e testi già scritta da un’altra persona?
Lavorare su testi altrui ha una forza centrifuga: veniamo spinti fuori dalle nostre ossessioni, dalle nostre forme ricorsive, dalla noia del nostro individualismo. In questo caso la spinta è stata ancora più forte, perché si è aggiunta la distanza temporale.
Oltretutto la forma dei versi modella diversamente le melodie, costringendo chi compone ad utilizzare frasi e formule musicali differenti, rispetto a quelle a cui ci si affeziona quando si scrivono testi e musica insieme. Chiaramente approcciarsi a dei testi così complessi e quasi completamente privi delle classiche caratteristiche delle forma canzone (strofe, ritornelli, rime) senza poterle “piegare” alla propria volontà, ha reso inizialmente la cosa più difficile. Alla fine però il risultato è stato una sorta di catarsi, di rinnovamento, di spinta creativa. Ce ne siamo resi conto dopo aver terminato le registrazioni di questo album in studio, quando abbiamo cominciato a scrivere nuove canzoni. Roversi ci ha trasformato e non poco.
Avete sentito la pressione di dover essere all’altezza delle aspettative di qualcuno?
Certamente. La paura di essere messi a confronto con un dio come Lucio Dalla ti fa tremare le gambe e avvicinare la tua musica all’enormità dei testi di Roversi è altrettanto spaventoso. Ma in una maniera che non sappiamo bene spiegare, ci siamo sentiti protetti da questi due giganti.
È prevalsa la sensazione appagante di apprendere come delle spugne, ogni volta che ci siamo messi a studiare la loro opera, per capire meglio come realizzare la nostra. Forse anche la personalità stessa di Roversi, la sua generosità e il suo modo di approcciarsi all’arte come condivisione ci ha come alleggerito, permettendoci questo salto nel vuoto senza paure.