– di Assunta Urbano –
«Immagino un fuoco perpetuo che fuoriesce da ogni cosa:
dalle parole di un nuovo incontro fino alle forme di un paesaggio mai visto prima.
Ascoltandolo, sentirete le diverse frequenze che hanno dato vita alle canzoni, ognuna con la sua carica singolare»
Il viaggio, la ricerca e l’urgenza espressiva. Questi, tre ingredienti che condiscono il progetto musicale di Anna Carol. I suoi girotondi tra Bolzano, la terra natale, e le capitali europee le hanno permesso di entrare a contatto con tanti universi musicali differenti.
Nasce così il suo percorso artistico, che lo scorso 18 novembre l’ha portata alla pubblicazione del disco d’esordio, intitolato “Cinetica”. L’album, realizzato con Nufabric Records e con edizioni Kobayashi, segue l’EP “Evoluzione” del 2020. Si tratta di un lavoro che dà luce a più lati dell’artista, da quello acustico fino alla parte più elettronica, in un girovagare fra differenti mondi sonori.
Abbiamo intervistato la cantautrice, per entrare nel suo mondo e nei suoi mille colori.
È uscito lo scorso 18 novembre il primo disco di Anna Carol. Ci racconti di questo lavoro e dello stato d’animo giusto per comprenderlo al meglio?
“Cinetica” è un lavoro che racconta di movimento. Mi sono resa conto che realizzarlo è stato un processo, anche di cambiamento personale, che ha richiesto un’enorme quantità di energia. Allo stesso tempo me ne ha restituita (e sta restituendo) tanta altra sotto forma di ispirazione e incontri. Il titolo vuole rendere omaggio a questo moto continuo che dopotutto è quello che mi tiene attiva.
Penso che non ci sia uno stato d’animo giusto e uno sbagliato per ascoltare il disco. Nello scrivere ho attraversato io stessa periodi di grande sconforto e di grande felicità. Mi piacerebbe sentire cosa provano le persone quando lo ascoltano, sapere che trasmette qualcosa di diverso ad ognuna e ognuno.
All’interno di “Cinetica” si mostrano principalmente due facce dell’artista, quella elettronica e quella più acustica. Poi, in particolare, si percepiscono indistintamente i passaggi anche jazz e soul. Come si uniscono tutti questi universi? Cosa significa per te farli coesistere?
Ecco, forse una caratteristica necessaria all’ascolto è quella di essere aperti e non voler trovare un unico filone di influenze. Mi piace essere contaminata dalla musica che ho incontrato e su cui sono stata letteralmente in fissa per molto tempo, come ad esempio il jazz e l’R&B.
Per paura di non avere un’identità sufficientemente forte per molto tempo non ho accolto del tutto le mie influenze, piano piano sto apprezzando la ricchezza che questo comporta e sto imparando a farle convivere nella scrittura e nelle produzioni per farle diventare parte della mia identità.
Parliamo di “Immagina che bello sarebbe scappare”. In che luogo sta fuggendo Anna Carol e soprattutto da cosa?
Questa canzone l’ho scritta dopo il lungo periodo di lockdown. Nel suo significato più diretto in quel momento avevo voglia di tornare a vivere le strade della città, gli spazi pubblici. Io tendo a volte a mettermi dei limiti da sola. Un po’ perché sono piuttosto scrupolosa e rigorosa, la libertà di cui parlo nella canzone è probabilmente la voglia di liberarmi da alcuni schemi che io stessa mi creo.
Come e quanto hanno influito le città della tua vita sul modo di fare musica?
Tutti i posti in cui ho vissuto, a partire dalla mia città di nascita Bolzano, situata in un luogo di confine, mi hanno lasciato degli input importanti. Devo a Bolzano la fame di volere di più; a Colonia la scena musicale molto ricca, ma anche il molto tempo libero dovuto alla solitudine; a Londra e Rotterdam il fermento e le contaminazioni culturali.
Hai affermato di vedere la tua musica come «una serie di influenze e incontri senza limiti di spazio e tempo». Chi vorresti incrociare, quando, dove e soprattutto perché?
Sì, questo nasce da una scena che mi sono immaginata e che mi ha fatto molto ridere, in cui vari artisti e artiste di diversi livelli di estrosità ed egocentrismo si incontrano. Effettivamente non mi sono chiesta chi vorrei incontrare io.
Forse vorrei essere nei backstage del Live Aid del 1985 al Wembley Stadium di Londra per incrociare Sade e chiederle come si fa ad avere così tanto stile. Nello stesso posto avrei incontrato altre persone interessanti.
Il progetto si apre con “Sono qui”. Dov’è oggi Anna Carol e dove, invece, sogna di trovarsi tra dieci anni?
Adesso che ho pubblicato l’album mi sento finalmente all’inizio di un percorso che ho incubato per molto tempo, in parte anche in modo molto timido. Fra dieci anni sogno di avere ancora voglia di fare, di non aver perso il fuoco che mi tiene accesa, sogno di non aver mollato nulla di quello che mi rende felice. Trovarmi a suonare le mie canzoni insieme ad un pubblico che le conosce e che le canta con me. Comunque, dieci anni sono davvero tanti, sono più una tipa da desideri a breve termine perché cambio spesso idea.