– di Riccardo Magni .
foto copertina di Giulia Razzauti –
Dopo averla incrociata più volte sui palchi di Roma (ma non solo, come vedremo) abbiamo incontrato Beatrice Chiara Funari, in arte e per gli amici semplicemente B., dopo il suo live sul Lightstage dello Sziget Festival a Budapest.
Beatrice è simpatica, ma soprattutto ha un’energia che si percepisce a pelle, e carisma da vendere sul palco, che ti fa sembrare colpi diretti al corpo anche quei suoi suoni, tutto sommato piuttosto morbidi, di synth pop in modalità bubble e vaporwave, attraverso le cui note racconta “di cose semplici, incidenti esistenziali e altri disastri emotivi”.
Ti chiami Beatrice, sbagliando ti ho chiamato Benedetta e hai detto che sei abituata. Ma hai scelto di chiamarti B. e mettere tutti ancora più in difficoltà…
Si – ride – mi piace mettere in difficoltà! In realtà molto semplicemente, mi hanno sempre chiamato “B”, quindi è una scelta sentimentale, mi chiamavano così già dal liceo, nei primi progetti che ho intrapreso mi sono sempre chiamata B., quindi poi quando è nato questo attuale mi sono detta che ero B., è così.
Sei di Roma, ma ci eravamo conosciuti tempo fa a Milano, quando cantavi nelle Dianime, che però è una band di Pescara. Ed in effetti, nella tua biografia leggiamo che vivi sempre in riva al mare. Spiegaci…
Sono di Roma, ma mi sono trasferita a Pescara a 19 anni per fare il conservatorio, perché a Roma non c’era il dipartimento di POP e Pescara era la città più vicina in cui poterlo frequentare. Inoltre volevo andarmene da Roma. Lì poi studiando e conoscendo altre persone sono entrata nel progetto Dianime. Nel tempo poi ci siamo separate per motivi stilistici più che altro e quindi poi siamo andate ognuno per la propria strada.
Si vive bene a Pescara. Opinione personale ovviamente, che puoi smentire o confermare.
Si, si sta bene. Certo, ho vissuto a Pescara sette anni e non sono pochi, è stato un po’ pesante, ma molto bello.
Hai parlato di motivi stilistici per la separazione dalla band, quindi avevi in mente una direzione da prendere a livello personale. Seguendo quali necessità, artistiche o di altro tipo, è nato questo progetto solista?
Premetto che Dianime era una realtà già avviata quando io sono subentrata, c’era quindi una dinamica abbastanza definita di cosa si voleva fare e cosa si voleva dire, e li ho molto studiato, anche a livello di interpretazione perché dovevo cantare canzoni con più persone, eravamo in quattro, è normale che un progetto di gruppo sia molto diverso da un progetto solista. Poi mi sono messa a scrivere cose molto più personali ed è nata questa esigenza, ho dovuto per forza cominciare a fare questa cosa da sola che altrimenti sarebbe stata una costrizione per loro a cambiare stile, cambiare mood, testi, tematiche… cambiare tutto. Si è manifestata questa necessità, avevo bisogno di fare questa cosa in autonomia e sentivo che era molto diversa da quella che facevamo insieme. Quindi super rispetto e amore, le amo e le supporto, ma avevo bisogno di metterci un po’ di più la faccia se volevo fare cose mie, altrimenti non mi sarei sentita in pace con me stessa.
Avevi comunque già iniziato a collaborare con altri artisti romani, anche di buon livello…
Carl Brave e buona parte della 126, ma siamo amici, quindi è cominciata proprio in amicizia nella sua mansarda in totale tranquillità. Poi man mano un po’ si è evoluta, abbiamo fatto dei pezzi che stanno nel suo album appunto, Notti Brave, poi sono stata con lui a Rock in Roma… È stata una bella collaborazione, vedremo se continuerà, ma finora sono molto contenta.
E quel tipo di esperienza ha avuto una parte nella creazione del tuo stile di cui ci parlavi, delle cose che stai creando adesso?
Si, diciamo che lì ho iniziato a pensare che la cosa potesse effettivamente nascere, che il progetto B. potesse in qualche modo esistere davvero. Quindi si possiamo dire che anche lui abbia assolutamente contribuito, ma più sul lato “energetico”: avere a che fare con lui, registrare, mettermi in una dimensione più prettamente POP, perché sia con i Dianime che nei miei studi c’erano cose diverse, raramente tendenti al POP. Poi mi sono messa lì con il pianoforte, con i testi, mi sono avvicinata a questo progetto, Carlo sicuramente mi ha aiutato, come tutta la 126 in realtà, è stata una collaborazione che mi ha fatto evolvere.
E sei arrivata allo Sziget. È stata la prima volta in assoluto, non c’eri mai stata nemmeno da spettatrice. Che impressione ti ha dato?
Mi piace tantissimo, poi i festival sono un momento di aggregazione, di unione, c’è tanta condivisione ed un’energia molto positiva che immagino sentano tutti. Purtroppo non ho potuto fermarmi e mi dispiace non aver visto quei due, tre gruppi che volevo vedere, tipo Florence and The Machine, ma pazienza, mi rifarò.
Poi è veramente enorme, per andare da un punto all’altro fai i chilometri, però è bello, è come se si creasse una città nella città, per la musica. È molto bello!
Suonare sul Lightstage dello Sziget Festival com’è stato?
Prima di tutto un onore per me, sono assolutamente onorata. Poi è stato bello, il pubblico mi ha sorpreso perché sai, siamo a Budapest, io canto in italiano… ma alla fine il ritmo, la melodia, la musica, uniscono tutti a prescindere da ciò che dici. Sono molto contenta che il pubblico abbia recepito il messaggio musicale che volevo dare. Al di là della presenza di tanti italiani al Lightstage, sorprendentemente ho riscontrato la risposta del pubblico internazionale. Alla fine ha parlato la musica. Se tutti parlassero solo con le note, con la musica, sarebbe proprio il paradiso per me!
Quattro pezzi pubblicati (Bombe, Berretti, Bestia, Della Notte), diverse collaborazioni ed esperienze e già un buon numero di live. Manca solo il disco?
Sto preparando l’album, in privato dico date di uscita a caso– ride – settembre, ottobre, gennaio… ma non so ancora in realtà quando uscirà. Non so quanto effettivamente ci metterò perché sono lenta, e mi piace l’idea di essere lenta, di fare le cose come voglio io. Certo spero sia prima del 2020, ma intanto mi fermo con i live, quella dello Sziget è stata l’ultima, ora è il momento di chiudersi in studio per lavorare pesantemente.