– di Assunta Urbano –
Davide Dileo, più conosciuto con il suo nome d’arte Boosta, è uno dei punti di riferimento del panorama musicale italiano, elettronico e non solo. Lo conosciamo principalmente come co-fondatore e tastierista dei Subsonica, ma il torinese nel corso degli anni si è distinto anche da compositore di colonne sonore, oppure nei progetti paralleli Caesar Palace e 27 09 Project.
Scrittore e docente, il musicista è a tutti gli effetti un fiume in piena. Dopo essere tornato finalmente alla performance live, Boosta propone al pubblico un nuovo viaggio: “Post Piano Session”, prodotto da Torino Recording Club. Una suite divisa in sei episodi, di cui sono già state pubblicate le prime tre tappe.
Abbiamo intervistato l’artista per farci raccontare qualcosa in più riguardo questo progetto ricco di diverse sfumature.
Da venerdì 28 ottobre è diventato disponibile il terzo capitolo di “Post Piano Session”. Come è nato questo progetto? Soprattutto, per quale motivo è diviso in episodi, quasi come una serie televisiva?
“Post Piano Session” è la mia calligrafia. Ognuno di noi impara a scrivere e nell’arco degli anni modifica la sua scrittura, in quel tratto ci sono tutte le evoluzioni che vivere comporta.
La mia, oggi, è questa, ed è in sei capitoli perché le composizioni sono espressioni complementari dello stesso viaggio. Inserirle in un disco solo avrebbe significato fare uscire un piccolo libro soltanto con i titoli dei capitoli. Se il viaggio richiede tempo, allora serve tempo per farlo.
Il fil rouge che lega il tutto è la cassetta, come vediamo anche dai titoli, “Tape 1”, “Tape 2” e “Tape 3”. Che rapporto c’è tra il lavoro e questo “oggetto”? Nella realtà quotidiana, sempre più rivolta al digitale, che posto occupa il supporto musicale fisico? Che ne sarà invece dell’analogico nel futuro?
Sono molto affezionato al supporto magnetico. Ho registrato i pezzi che amavo dalla radio, ho compilato cassette per i miei umori e quello delle persone a cui volevo bene, ci ho viaggiato insieme durante le vacanze.
Ancora adesso lo trovo, da compositore, uno “strumento” interessante da usare, che non smette di sorprendermi perché mi rituffa in un tempo lontano e amato. La tecnologia, vecchia o nuova, è una valigetta di strumenti utili a realizzare le idee che hai in testa, sarebbe stupido scegliere di non usarne una parte perché ne sono uscite “nuove versioni”.
Il fisico, nella musica, continua a essere un premio che ci regaliamo. Possedere quello che amiamo è un desiderio innato. Motivo per cui amiamo i dischi, amiamo i concerti (e il ricordo racchiuso in un biglietto di carta conservato). Perché sono collanti di memoria.
Il secondo capitolo si apre con “1974”, anno di nascita di Boosta, e nel viaggio incontriamo una “Inner View”. Che cosa rappresenta questo progetto nella tua vita, sia professionale che personale?
Scrivere un disco complesso, libero, senza recinti di strutture, senza forma canzone, è un privilegio. Ed è importante. Significa affrancarsi, o provare a farlo, dal condizionamento di piacersi e piacere, significa essere liberi e non dovere dipendere dalle pretese degli altri. È così difficile e potente sentirsi in grado di poter seguire la propria strada quando la vediamo.
Cosa dobbiamo aspettarci dai capitoli successivi?
I prossimi tre viaggi sono altre tre tappe di questa mappa che tiene saldo il personale filo di Boosta tra il pianoforte e lo strumento elettronico.
Il terzo capitolo è legato ad un ideale di composizione novecentesco, in cui il rapporto tra la melodia e l’armonia si è liberato dai canoni, e penso ai compositori più diversi, da Erik Satie ad Arvo Pärt, da Luigi Dallapiccola ad Arnold Schönberg.
Non è un omaggio alla musica, è un omaggio all’idea di liberare la possibilità di suonare quello che ci fa vibrare.
Il quarto sarà una stazione più vicina alla fine del secolo, la melodia, la techno minimale, il campionamento e il pianoforte. Il quinto è una stanza calma in cui fare navigare liberi i pensieri tra le correnti. E nel sesto il cerchio si chiude con il pianoforte che riprende voce e torna protagonista con le melodie.
Quanto ha influito Torino, la capitale italiana per eccellenza dell’elettronica, nel corso degli anni, nel tuo processo artistico da solista e nei Subsonica?
Torino, con amore e mio malgrado, è il posto in cui sono cresciuto e gli anni che ho vissuto in questa città mi hanno dato l’imprinting umano e musicale che mi ha reso l’uomo che sono oggi.
Sono grato al tempo speso nella mia città.
In un mondo come quello in cui stiamo vivendo, tra guerra, pandemia e distanze sociali, cosa significa fare musica oggi? È ancora importante e perché?
La musica è un collante sociale, la musica è un calmante sociale. La musica è uno strumento facile di comunicazione per ciò che non è immediato. O ci piace o non ci piace, o ci racconta o non lo fa.
Forse, vista l’esplosione dell’universo relazionale digitale, non è più in grado di fare o accompagnare le rivoluzioni, ma rimane un potente specchio del contesto sociale e culturale in cui viviamo.
In questo, gran parte di responsabilità nella cura, dovremmo averla noi musicisti e coloro i quali si occupano dell’industria. Avere la possibilità di essere ascoltati è un valore e un privilegio che andrebbe sempre tenuto in considerazione, come avere un pubblico, grande o piccolo che sia.
Qualche mese fa, facevo quasi la stessa domanda anche a Max Casacci, ma riguardo la natura: cosa può fare, secondo Boosta, il musicista per la società e cosa invece la realtà circostante dovrebbe fare per lui?
Avere responsabilità, nei propri confronti, nei confronti della propria arte e del proprio mondo di relazioni. Non credo ci sia una lezione più grande da esplorare di quella della responsabilità.
BOOSTA TOUR
6 novembre – Biko – MILANO
8 novembre – Locomotiv Club – BOLOGNA
18 novembre – Capitol – PORDENONE
20 novembre – Monk – ROMA