Mettetevi comodi sulla vostra poltrona e che il viaggio abbia inizio. Perché è proprio così che Filippo D’erasmo fa sentire l’ascoltatore durante l’ascolto del suo nuovo EP. Catapultati in un viaggio metaforico tra città, sorrisi di donne, spiagge e paesaggi invernali. Canzoni Part Time è uscito su tutte le piattaforme digitali il 15 aprile ed è un percorso che si snoda intorno a 5 brani, è la prima esperienza del cantautore piemontese in veste di solista. Il sound che contraddistingue il lavoro risulta contaminato da intrecci di violini su groove di batterie elettroniche, da elementi cantautorali misti però ad attitudine pop, restituendo così una patina vintage che non dispiace affatto. Ecco cosa ci ha raccontato…
Canzoni part time è il titolo del tuo ep d’esordio, emozionato?
Sì, sono molto emozionato. Sebbene non sia la prima uscita discografica della mia carriera musicale, perchè avevo già pubblicato un paio di EP con diverse band, questa è la mia prima uscita come solista. Occuparsi di tutta la fase creativa, dalla scrittura all’arrangiamento è stato un compito impegnativo, quindi sentivo addosso un’enorme pressione. Che si è allentata adesso che l’EP è finalmente fuori.
Zion Shaver è senza dubbio il brano che più ha destato attenzione, racconta di una storia vera, come mai hai pensato di trarre spunto da questo episodio?
Guarda in realtà è successo tutto abbastanza per caso. Mi capitò sotto gli occhi questo giornale, la cui vignetta ritraeva un ragazzo senza le gambe, vestito da lottatore di lotta greco romana. La storia parlava di questo bambino al quale vennero amputate le gambe in seguito ad una malformazione, e per questo venne abbandonato in culla. Zion passa da una famiglia all’altra, fino a che ne trova una disposta ad amarlo per quello che è. Qui può crescere in salute e grazie ad un paio di buone letture ella sua incredibile determinazione, riesce a sfidare i suoi limiti riuscendo a fare cose assurde, tra cui suonare la batteria e diventare campione di lotta greco romana nella sua scuola, competendo con ragazzi privi di handicap. Decisi di strappare la pagina da quel giornale e di portarmela dietro, consapevole che un giorno vi avrei scritto una canzone.
Ti capita mai di scrivere raccontando storie di altri, anche lontani da te?
In realtà è una formula con la quale mi sto ancora molto confrontando. Tendenzialmente riesco meglio a parlare della mia interiorità, o comunque di storie autobiografiche o che si allacciano al mio vissuto. Però mi ha sempre affascinato questo processo empatico di mettermi nei panni dell’altro, di indossare i suoi occhi e parlare in prima persona del mondo visto dalla sua prospettiva..una cosa che ho sempre invidiato agli scrittori o ai grandi autori quali De André, che in questo era un maestro.
A tal proposito, come nasce una canzone di Filippo D’erasmo?
Arriva quando è pronta a manifestarsi. Sono un autore pigro, scrivo poco e non riesco a farlo così per diletto. Per me scrivere è un processo impegnativo a livello energetico, ma non mi sento un creatore, mi sento più uno scultore che deve tirare fuori dalla roccia una forma che esiste già. Non so se mi spiego, mi capita di sentirmi come un operaio a servizio di una forma di arte che già esiste e che usa me come canale per manifestarsi nella realtà
Quali sono i cantautori del passato che più hanno influenzato il tuo modo di fare musica?
Sicuramente Fabrizio De Andrè per quanto riguarda i testi ed il modo di raccontare e Franco Battiato per la sua capacità di fondere forma canzone pop, testi mai banali e sperimentazioni elettroniche.
Ma c’è anche la musica irlandese, ci sono suoni che non sono propri del cantautorato. Cosa ti ha contaminato in questi anni?
Musica irlandese? Ci può stare. Il folk lo ascolto volentieri, seppure non posso dire di ispirarmici in modo conscio. Però adoro alcuni artisti irlandesi, su tutti Damien Rice, di cui ammiro l’intensità espressiva, l’uso delle dinamiche ed il suo minimalismo negli arrangiamenti. Prima di approcciarmi all’ascolto e alla scoperta delle meraviglie della musica italiana, ho ascoltato molta musica inglese e americana, soprattutto il pop ed il rock alternativi e underground. Forse l’astro nel mio cielo musicale, a cui potrò tendere senza mai raggiungerlo, sono i Radiohead. Ma anche in Italia ci sono tantissimi gruppi che sanno scrivere meravigliose canzoni pop senza cadere in testi banali o arrangiamenti canonici. Pensa ad esempio ai Baustelle, band a cui devo molto.
Raccontaci di quel viaggio in Baviera che ha ispirato Norimberga…
Questo è un aneddoto divertente. Ero appena stato truffato alla stazione di Norimberga da un pakistano, che mi aveva venduto un biglietto per Bamberga, vedendomi titubante di fronte alla macchinetta. Fiutandomi italiano mi aveva venduto il biglietto probabilmente al doppio del prezzo reale, che non conoscerò mai. Non contento di questo, mi aveva accompagnato durante tutto il viaggio in treno, sedendosi di fronte a me. Siccome iniziavo a fiutare qualcosa che non andava, per avere una scusa per non guardare il tipo in faccia, tirai fuori il cellulare e colsi l’occasione per scrivere di getto questo testo, per una musica a cui stavo lavorando in quei giorni. La vicenda non c’entra nulla con ciò di cui parla la canzone, ma mi ha fornito un valido pretesto per scrivere.
Lasciamoci con un verso scritto da te, il manifesto di questo EP…
No dai, troppo autoreferenziale! Mi piacerebbe che ognuno trovasse il proprio verso che più lo rappresenta.
Se devo dirti il mio, potrebbe essere
“Quando l’amore basta
La vita è un po’ meno aspra”