– di Angelo Andrea Vegliante –
Lo scorso 24 maggio Ilaria Viola ha pubblicato il suo nuovo album, “Se nascevo femmina”, titolo anche del primo singolo estratto. La prima caratteristica che si evince dall’opera è un forte sentimento di collera nei confronti della società attuale, sotto diversi aspetti, in primis per la questione riguardante la differenza di genere. Abbiamo approfondito queste e altre tematiche in una chiacchierata.
Ascoltando il brano “Se nascevo femmina”, la prima cosa che mi viene da notare è l’influenza artistica di Lucio Leoni. Com’è stato lavorare con lui e cosa avete imparato l’una dall’altro?
Mai avrei la presunzione di sapere ciò che Lucio ha imparato da me. Se e cosa dovreste chiederlo a lui. Posso dire però che nel mio percorso di cantautrice lui è stato fondamentale. E non tanto per lo zampino pratico che ha messo in questo disco, bensì più nella strada fatta per arrivare a scriverlo. Un’agonia. Io ero quella che ha studiato tantissimo, chiusa nella gabbia di cristallo di manierismi accademici e ormai mi sentivo stretta ma non sapevo come fare. Ecco. Poi arriva un amico tuo, Lucio appunto, che ti guarda e ti fa: “Ma che stai a ffa là ddentro deficiente” (sono sicura che potete percepirne la prosodia). E mi riempie di cose da ascoltare, mi convince a sentire anche dischi brutti brutti, a mio avviso, per capire che cosa stava succedendo nel mondo musicale contemporaneo, e poi mi consiglia di dire la verità con la musica. Il risultato è stato che mi sono fatta esplodere e ho scritto “Se nascevo femmina”.
“Se nascevo femmina” mi sembra un brano bilanciato tra l’ironia leggera e un’amara realtà. Visto anche il titolo particolare, se dovessi presentarla a qualcuno che ancora non ha mai ascoltato il pezzo, come lo faresti?
“Se nascevo femmina” è un brano che fondamentalmente condanna la definizione della donna in un universo maschilista. E’ una ribellione urlata, punk non a caso, di cui il concetto base è questo: voglio indossare scarpe col tacco e poi vestirmi da uomo, e poi fare le conserve (che faccio veramente con mia madre) come le donne di una volta, e poi decidere di non avere figli e poi amare un uomo e amare pure una donna e essere considerata lo stesso un essere umano di sesso femmina. La “Femmina” di “Se nascevo femmina” non esiste. È una provocazione, una rappresentazione di tutti gli stereotipi archetipici dell’essere umano di sesso femminile. La violenza del brano è indice di una crescente esasperazione perché molte donne della mia famiglia sono maschiliste e non lo sanno.
Qual è la tua idea di femminismo?
Per rispondere a questa domanda avrei bisogno di pagine e pagine, ma cercherò di essere il più sintetica possibile. Essere femministe oggi io credo che sia se da una parte molto più semplice (per fortuna abbiamo avuto delle precorritrici agguerrite che con il coltello tra i denti hanno fatto opera di sfondamento per noi), dall’altra più complesso. Mi spiego: quando alle donne erano vietati i diritti sociali fondamentali, era ovvio che l’univa via fosse la “violenza”, le “forzature”. Voglio dire, si parla di logica, di diritti umani, di esseri umani. Quando se ne sono accorte, era evidente che avessero ragione, ma che solo un movimento di irruenza poteva cambiare cose che per centinaia di anni erano rimaste invariate. Si penserebbe che visto che sono passati più di 70 anni dal diritto di voto alle donne in Italia (non siamo stati proprio i pionieri in Europa) la parità, non l’uguaglianza, dovrebbe essere data per scontata. E invece no. Perché il maschilismo è insito in maniera subdola nella mente dell’italiano medio. Quante mamme si sentono ancora dire delle proprie figlie “E’ proprio un maschiaccio” per indicare una bimba che non compie le canoniche azioni che ci si aspettano da un cucciolo di uomo di sesso femminile? Quante volte abbiamo sentito dire di una donna omosessuale che non si trucca o che indossa sempre pantaloni e magari porta i capelli corti “Ah ma quella non è lesbica quella è un uomo”? Quante volte se indosso una minigonna con un tacco vertiginoso mi sono sentita fare apprezzamenti volgari? E sebbene gli apprezzamenti facciano piacere a chiunque a prescindere dal sesso, quelli volgari spesso infastidiscono. E perché mi devo infastidire per un apprezzamento. Sarebbe così terrificante limitarsi a fare un complimento gentile? Sì! Perché nel commento volgare c’è il sottinteso atto di coercizione che tende a mettere a disagio il sesso femminile, a farlo sentire un oggetto, a sminuirlo in quanto donna. Il problema del femminismo a mio avviso è però anche un problema delle donne. Ho sentito molte femministe oggi incagliarsi su dei futili problemi, a mio avviso, come la femminilizzazione del vocabolario. Così come ho sentito molte donne, alcune della mia famiglia dire “Non sarai mai donna finché non sarai mamma”. Si capisce quanto sia radicato questo modello soprattutto in Italia, dove abbiamo il Vaticano in casa, stato nel quale il capo viene eletto da un ristretto concilio completamente precluso alle donne. Il femminismo contro cui dobbiamo lottare oggi è subdolo.
Il Primo Maggio di Roma è stato teatro di diverse polemiche riguardo a una percentuale minore di donne presenti sul palco. Tuttavia, come giustamente ribadito da Ambra Angiolini a più riprese, il problema nel mondo della musica (così come in altri ambiente lavorativi) risiede alla radice, nel modo in cui un ambiente di lavoro permetta a tutti di esprimersi, indipendentemente dal genere. A tuo avviso, qual è il nodo cruciale attorno tutto ciò? Rischiamo anche di trattare la tematica in maniera troppo qualunquista?
Ho seguito con interesse la polemica intorno al primo maggio. Condivido la posizione di Ambra Angiolini, ma per motivazioni diverse. Come già accennato, credo che il problema del femminismo oggi risieda nell’anacronismo. “Tutte insieme riunite contro lo stato maschilista” aveva senso quando non avevamo il diritto di voto. Quando era insolito che una donna non fosse casalinga, quando un ceffone da parte del marito era visto come una rieducazione di una mente inferiore. Oggi non abbiamo più quel tipo di problemi. Ne abbiamo altri. Più infimi perché più sepolti nella coscienza. Fare una differenza di genere sugli artisti che erano sul palco equivale ad autoghettizzarsi, e in questa fase della rivoluzione femminista la considero un po’ una zappa sui piedi. Se vogliamo distruggere le etichette, siamo noi per prime che dobbiamo distruggerle su noi stesse e smettere di fare “maschi contro femmine” e dare per scontato che siamo solo tutti esseri umani. Non mi ha entusiasmato infatti nemmeno l’iniziativa dell’Angelo Mai, posto che ho amato, frequentato e amo e frequento tutt’ora. Tutte donne sul palco. In un mondo maschilista, come è ancora quello in cui viviamo, quella pacifica rivolta ha contribuito a rimarcare una distinzione di genere che anelo possa essere debellata come un virus che avvelena le menti.
Il titolo del singolo dà il nome anche al tuo album (uscito il 24 maggio), disco di 8 inediti. Seguono un fil rouge particolare oppure ogni canzone racconta una propria storia?
E’ un album interamente autobiografico. Tutte le storie sono le mie storie. So bene però che nel mio disagio sociale sono in ottima compagnia. Quindi possiamo dire che nel raccontare me stessa ho raccontato una parte di società e tutte le difficoltà ad essa connesse mettendole nero su bianco.
Per il pubblico l’uscita di un album è, ovviamente, la novità. Mentre per l’artista è un’opera che ha già ascoltato parecchie volte, quasi fino all’esaurimento nervoso. Ecco, se fossi l’ascoltatrice di te stessa, quali caratteristiche esalteresti del tuo lavoro?
Penserei che ascolto un disco intelligente, sarcastico, di una cantautrice che sa usare la voce, ben arrangiato e poi leggendo questa intervista mi farei un’idea precisa rispetto alla modestia della cantautrice in questione. Scherzi a parte, è difficile parlare bene di se stessi. E’ ovvio che io creda che questo sia un disco incredibile, altrimenti non avrebbero senso tutti i sacrifici fatti e da fare ancora. Ma non sono io a doverlo giudicare. Se non arriva il messaggio o il disco non piace è ovvio che sia io ad aver sbagliato qualcosa.
Ho letto che questo è un disco “arrabbiato”. In che senso?
Arrabbiato con la società, con le sue discriminazioni tutte, non solo quelle sessuali, con la superficialità, con l’ignoranza, col qualunquismo, con l’ipocrisia, con i pregiudizi, con l’omofobia. Mi fermo. Potrei fare un elenco di pagine e pagine.
Rispetto al disco precedente, cos’è cambiato in Ilaria Viola?
Tutto. Sia personalmente che musicalmente. Nel primo disco mi sono un po’ celata, con la scusa della ricerca del bello, dietro manierismi e tecnicismi tipici di chi dopo aver studiato per la maggior parte della sua vita, si ritrova l’urgenza di scrivere qualcosa di proprio. Con “Se nascevo femmina” mi sento invece di aver squarciato quel velo. A partire dal titolo sgrammaticato che è già per me un grido di ribellione, considerando la mia devozione per la lingua italiana. Avendo avuto il tempo di metabolizzare gli studi, ciò che mi sono riproposta di fare è stato ricongiungere la mia anima rock con la cervelloticità di chi è stato per anni abituato ad analizzare ogni singolo voicing di ogni singolo accordo, ogni struttura, ogni arrangiamento. L’incontro con Giacomo Ancillotto, incredibile chitarrista (lui folle per davvero) col quale ho arrangiato il disco, ha portato questo progetto ai limiti della comprensibilità. Per fortuna Lucio Leoni, da direttore artistico ci ha riportato sulla terra e ci ha convinto a rendere il tutto un po’ più fruibile. Questa la genesi di “Se nascevo femmina” che è la mia verità e il mio disagio sociale estremizzati da Giacomo e alleggeriti da Lucio, in totale rottura con quella che ero.
Ultima domanda, la più banale: quali sono i feedback positivi e negativi che ti aspetti da quest’album?
Volontariamente non mi sono mai soffermata su questo nelle mie fantasie riguardo al futuro della me cantautrice. Posso dire che temevo tantissimo di essere fraintesa sul brano “Se nascevo femmina”, ritrovandomi le amiche che hanno le scarpe di Chanel, fuori casa con la mazza fionda. Temevo i filogiapponesi fuori casa insieme a loro. Del Giappone si parla sempre solo un gran bene. Ma io ho un paio di Chanel, e amo la cultura nipponica. Ecco sì la mia più grande paura era quella di essere fraintesa. Fino ad ora non è successo. Se succederà cercherò di spiegarmi e se non dovessi riuscirci a parole, magari lo farò col prossimo disco.