– di Michela Moramarco –
Cristiano Cosa è un cantautore, autore e interprete pugliese che ha da poco pubblicato il nuovo singolo dal titolo “L’ultima sera”. Il brano è parte della colonna sonora del docufilm di Davide Ippolito “New York solo andata” (prodotto da LuckyHorn Entertainment, disponibile su Prime Video). Nel raccontare le emozioni di chi si trova lontano da casa a cercare la propria strada individuale, Cristiano Cosa esplica con nostalgia un’emozione difficile da spiegare a parole. Del resto di questa sua abilità, l’artista ne sta facendo una professione. Pianista, oltre che libero compositore, Cristiano Cosa non è del tutto estraneo alla dinamica del talent show e inoltre è attivo anche a Roma in attività live. Ed è proprio nella Capitale che abbiamo potuto scambiare quattro chiacchiere con l’artista.
“L’ultima sera” è il titolo del tuo nuovo singolo: un ponte tra l’America e l’Italia e viceversa. Ma come si può leggere questo brano nei vari significati, relativi anche al modo di approcciare la musica tra i due universi geograficamente lontani?
Questo è il brano che conclude il docufilm di Davide Ippolito “New York solo andata”. Quindi, scrivere questo brano è stato un viaggio iniziato da prima di viaggiare in senso fisico. Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa che raccontasse la nostalgia di un espatriato e quando mi sono seduto davanti al pianoforte ho tirato fuori un io narrante che appunto racconta dell’amore per la propria Italia.
Sono stato a New York per circa otto giorni, un lasso di tempo piuttosto breve ma ho avuto modo di captare le sensazioni di chi va lì per crearsi nuove esperienze. Il musicista straniero in America è visto di buona luce, con tendenziale curiosità. Questo non fa che ampliare il loro approccio pieno di contaminazioni musicali. Ho colto una vera e propria commistione di arti e modi di fare.
Parlando di composizione, tu mi sembri piuttosto affezionato a tuo pianoforte, come inizia la fase creativa di un tuo brano?
In macro-forma, una canzone per me nasce da un’idea, che può anche essere una storia. Tempo fa mi sono allenato sui sonetti, perché apprezzo molto la musicalità di quella forma metrica. Però anche da una scena che mi viene in mente o da un dialogo. Le canzoni mi aiutano a rompere il filtro di timidezza che in realtà mi caratterizza. Non disdegno di quell’istinto piano e voce o proveniente da qualche altro strumento su cui mi cimento.
Dalla Puglia in America passando per Roma. Quali sono gli apporti maggiori nella tua musica del viaggiare, del contaminare? Come si declinano queste esperienze nelle tue melodie?
Nel mio modo di comporre mi sto approcciando a nuove modalità creative il viaggio oltreoceano è un po’ la sintesi di queste mie intenzioni. Il viaggio secondo me è la cima più alta di un cambiamento. Sono in un periodo di profondo esercizio e il viaggio appunto non fa altro che accelerare la voglia di scoprire.
Hai avuto diverse esperienze televisive, nel contesto dei talent. Due domande: credi che se lo rifacessi oggi sarebbe lo stesso? Consiglieresti ad oggi questo tipo di esperienza ai più giovani?
Il talent è stato un trampolino di lancio, un’esperienza che mi ha permesso di tastare una nuova realtà. Ai più giovani consiglierei di fare questa esperienza ma di farla quando si ha una maturità tale da scindere in questo sistema talent cosa portarsi a casa, il meglio. Al Cristiano di vent’anni direi di maturare aspettare un altro po’. La mia preoccupazione attuale è quella di far la migliore musica che posso.
Collabori come autore anche con altri artisti. Ma ti senti più autore, cantautore o interprete?
Il mio essere cantautore trova spazio anche quando sono autore per un altro artista. È un po’ come fa l’attore, ci si cala in un altro ruolo: la canzone sembra essere come un piccolo frame di uno spettacolo e a me piace molto la possibilità di immaginare di essere altro. Approcciare alla scrittura di un pezzo non proprio è un’enorme risorsa.
Qual è l’aspetto più bello e quello meno gradevole del vivere di musica?
Vivere di musica è un’attività squisitamente impegnativa. Ogni giorno è una sorta di sofferenza, una crisi, ci si chiede se si è all’altezza ma personalmente lo sprono mi arriva dalle emozioni delle persone con cui mi confronto grazie alla mia musica. È una strada tortuosa ma sognante. Essere al servizio della musica è una bellissima sfida. Ma l’altro volto di questa meraviglia è legato all’instabilità in vista della volontà di costruire un futuro solido. È una strada a rischio ma io voglio lanciarmi, con dedizione, con studio e con voglia di sapere qualcosa in più ogni giorno. Tendo da questa parte della bilancia.
Ci puoi accennare a qualcosa dei tuoi progetti futuri?
In questo periodo mi sto concentrando sia su esperienze live ma anche su nuove produzioni, muovendomi tra Taranto e Roma. Non voglio spoilerare troppo.
Per concludere, come riesci a conciliare approccio accademico e spontaneità in una dimensione live?
Lo studio e la ricerca di questi anni vengono dimenticate dalla mia mente in un certo senso quando si sale sul palco. Posso perdermi nella musica e far emozionare il pubblico comunicando qualcosa. Per me il palco è la massima realizzazione della vita. Grazie