– di Assunta Urbano –
Classe ‘99, Daino, al secolo Niccolò Dainelli, è un musicista polistrumentista e cantautore milanese, di origine toscana. Si è avvicinato alla musica ben presto e l’ha resa parte integrante della sua vita già nel corso degli anni scolastici. La sua voce e il suo brano inedito arrivano nella splendida città dei fiori, con la partecipazione ad Area Sanremo nel 2018. L’anno seguente vola oltreoceano, per frequentare la prestigiosissima Berklee College of Music di Boston. Qui inizia a prendere forma il suo modo di scrivere.
Dopo quest’esperienza torna in patria e prende parte alla nuova versione dello spettacolo musicale di Leonard Bernstein West Side Story, ricoprendo il ruolo di clarinettista. Il live si è tenuto presso il suggestivo Cortile delle Armi del Castello Sforzesco di Milano ed ha visto tra i collaboratori anche Paola Folli. A partire da quell’esperienza Daino ha fatto delle strade e delle piazze il palcoscenico su cui esibirsi, portando on the road la sua musica. In questo complesso 2020 ha aggiunto un nuovo tassello al suo puzzle personale e si è classificato secondo alla competizione di Castrocaro Terme. In seguito a questa vittoria ha pubblicato il singolo Mioddio il 27 agosto ed il più recente Quanto era bello del 23 ottobre.
Di questi temi e del suo percorso abbiamo parlato con Niccolò Dainelli, in arte Daino.
Hai iniziato a comporre brani durante il periodo liceale e negli ultimi due anni hai già collezionato importanti esperienze lavorative. Tra le tante, nel 2019 hai collaborato anche con Paola Folli come clarinettista nella rappresentazione di West Side Story al Castello Sforzesco di Milano. Come hai vissuto questo momento?
Allora, io in realtà ti direi che comunque il mio background è da musicista, perché ho frequentato il Conservatorio. Ho iniziato a suonare che ero molto piccolo e per me era un gioco. Poi ho continuato gli studi suonando il clarinetto, uno strumento a fiato un po’ particolare, che tanti non conoscono, a metà tra un sassofono ed un flauto. Chiaramente dopo mi si sono aperte molte possibilità come musicista. Quella con Paola Folli è stata un’esperienza veramente forte, anche perché io non avevo mai suonato quel genere di musica. Eravamo in una band con tanti fiati, pianoforte e batteria. Poi lei è una grandissima cantante, veramente una bella persona. Sicuramente queste esperienze musicali mi hanno aperto la mente, perché ho suonato vari generi di musica che non avrei suonato altrimenti. Rispetto a quello che scrivo solitamente, mi piace molto spaziare, che è spesso quello che racconto nei miei testi.
È molto particolare la scelta del clarinetto per un cantautore. Come ti sei avvicinato a questo strumento?
Ho iniziato a suonare che ero praticamente un bambino. E nel mio paese c’era questa banda cittadina, così come molti altri paesi di provincia. Mi hanno insegnato a suonare questo strumento gratuitamente, quindi non sono andato in una scuola di musica privata, ma in questa associazione che quasi per volontariato insegnava la musica. Ho iniziato a suonare questo strumento particolare, tipico delle bande cittadine. Poi mi sono messo a scrivere negli anni del liceo. È lì che ho scoperto le canzoni, i cantautori italiani, le parole, così come tanti modi di espressioni testuali. Ho iniziato ad ascoltare la musica hip hop, così come anche De Andrè, che mi ha aperto la mente verso la scrittura. Ho scoperto che effettivamente con il bagaglio culturale che avevo acquisito in quegli anni potevo scrivere e comporre le mie canzoni. Questo metodo di espressione, che mi piace tantissimo, mi ha cambiato un po’ la vita e infatti i miei pezzi sono più che altro i miei diari di vita quotidiana. Da quegli anni l’ho portato avanti.
Quest’anno il tuo modo di esprimerti ti ha portato al Festival di Castrocaro Terme, in cui ti sei classificato secondo. Cosa ha significato per te questo traguardo?
Per la verità, sono partito senza grandi aspettative per quanto riguarda Castrocaro. È iniziato tutto con un “mi iscrivo, poi vediamo cosa succede”. Avevo questo pezzo, Mioddio, che ha tante cose dentro, tante influenze e tanti stili. Non mi sarei mai aspettato di arrivare a suonare in diretta su Raidue. È stata una cosa in un certo senso strana, però è stata un’esperienza fantastica. Quando sono stato lì una settimana abbiamo provato con una band e io non avevo mai suonato con un gruppo un pezzo mio. Ho sentito l’energia di tutti questi musicisti dietro, c’era una batteria veramente potente. Penso di essermi divertito come non succedeva da un po’ di tempo.
Proprio dopo aver raggiunto questo obiettivo è uscito il 27 agosto per l’appunto il singolo Mioddio, che ti ha permesso di entrare nel team di Warner Chappell Music Italiana. Parlaci di questo brano.
Mioddio è un pezzo che avevo scritto un po’ di tempo prima, ma aveva una veste un po’ diversa da quella che poi ha assunto dopo. Era una specie di demo che avevo scritto in cameretta. Ci ho rimesso mano con il senno dei miei ventun’anni ed è cambiata un pochino. Tendenzialmente però il brano è rimasto un grande flusso di coscienza. Ci sono tutte queste strofe molto incastrate tra di loro, tante rime interne. C’è tanto l’idea del ritmo e delle parole. Ci sono un po’ di cose che ho sputato fuori, principalmente ansie e paranoie. Infatti è tutto un ritmo martellante di questa batteria che non smette quasi mai. Questa è Mioddio.
Tra le tue canzoni, c’è Ragazzi nuovi, dello scorso anno. Mi è sembrata una tua visione di quelle che sono oggi le nuove generazioni. Chi sono precisamente questi ragazzi nuovi di cui parli?
Allora, questo è un pezzo a cui tengo tanto perché l’ho scritto per un mio amico dopo una serata passata insieme. Qui parlo più che altro della provincia come la viviamo noi ragazzi di venti anni fuori Milano, come potrebbe essere anche fuori Roma o fuori da una grande città italiana. Parlo di questa provincia di Milano, che non ti capirà mai, come se fosse quasi una persona. È un testo veramente particolare perché mi ricorda di quella serata, che è una di quelle di birre al parchetto. Quei momenti in cui parli di tante cose, dei tuoi sogni da ragazzo di provincia. Per poi scontrarsi anche con una realtà che è quella che è per i ragazzi del ’99, come me. Abbiamo vissuto una grande crisi economica e adesso ne stiamo vivendo un’altra. Siamo una generazione un po’ strana. Abbiamo in mano degli strumenti potenti, come i media, che altre generazioni prima di noi non avevano. Da un’altra parte abbiamo un po’ di paranoie, ci scontriamo con dei modelli e dei canoni diversi. Insomma, parlo di noi, di ragazzi di provincia.
Invece, Quanto era bello, il tuo ultimo pezzo pubblicato il 23 ottobre, è il ricordo di una notte milanese in cui si incrociano le vite di due persone. Raccontaci di questo pezzo, di come è nato e cosa rappresenta per te.
Se Ragazzi nuovi era un pezzo in cui parlavo di una serata in provincia, vista da un provinciale, in questo brano racconto di Milano. Cito tanti locali, il Circolo Arci. Cito questo appartamento con “mi ricordo di quella notte nella tua cucina”, che appartiene alla ragazza di cui racconto. Principalmente questa era una fotografia. Non è che esprimo troppo un parere su ciò che è successo, se non nel ritornello. Dico solo che era molto bello e faccio la foto di questi vari ricordi con questa persona. È un brano abbastanza dolceamaro, perché comunque è sì felice, ma ci sono delle cose anche un po’ amare dentro. Non è troppo zuccherato.
La canzone descrive una quotidianità che ormai ci sembra lontanissima a causa dell’emergenza sanitaria in cui ci troviamo coinvolti. Cos’è che ti manca di più della normalità di un passato che non riesce a ritornare nel presente?
In realtà, io non ho calcato tantissimo questa cosa del mondo che è cambiato dalla vita dell’anno scorso. Non volevo soffermarmici troppo perché mi sembra banale, ecco.
È vero, però l’aria nostalgica è inevitabile.
L’unica cosa che posso dirti è che penso che tutto fosse meglio nel passato. Tutto. Era bello sia quello che raccontavo sia quello che non raccontavo.
Anche se parlare di futuro in questo momento è un po’ un’utopia…
Sì, quasi un ossimoro.
Ci salutiamo comunque con uno spiraglio di speranza. Quali sono i tuoi programmi e i tuoi progetti per i prossimi mesi?
L’unico progetto che ho adesso è quello di scrivere pezzi belli. Spero che siano belli e più belli di quelli che ci sono già. Questa penso che sia l’unica cosa che posso dire in questo momento. Altri progetti sono concerti, festival, ma è difficile parlarne, perché non so neanche cosa succederà. Però, sì, ho uno studio in casa ed ho la possibilità di lavorare. Grazie anche al fatto che i mezzi di registrazione adesso sono meno costosi, alla portata un po’ di tutti. Sicuramente il mio unico progetto dunque è scrivere, produrre e registrare nuovi brani. Spero di far uscire qualcosa di nuovo il prima possibile. I pezzi però ci sono, te lo dico.
Devono solo uscire fuori.
Sì, esatto!