Quando è uscito “rush”, un mio collega ha scritto una recensione in cui paragonava la tua voce alla Billie Eilish dei primi tempi.
A me piace molto cantare soffiato, con questa voce sottile e molto intima. Quindi sì, assolutamente, è una grande ispirazione dal punto di vista vocale ma anche proprio di scrittura.
E quali altre ispirazioni hai?
Tra i gruppi che mi hanno influenzato di più quando ero più piccolo ci sono Green Day e Gorillaz. Invece negli ultimi anni mi ispiro molto agli artisti americani come Jeremy Zucker e tutta quella scena lì dell’indie pop elettronico. Da quando ho iniziato a esplorare un po’ la musica italiana, le mie due influenze italiane più importanti sono Venerus, dal punto di vista musicale e della produzione: la sua musica, dal punto di vista armonico e melodico, è interessante. Arriva da un background classico e jazz, quindi anche se è pop, aggiunge degli elementi che in inglese si chiamano ear candy e che sono apprezzabili alle orecchie dei musicisti. Io adoro sentirli nelle canzoni e quindi anch’io cerco di mettere un accordino jazz qua e là, sperando che qualcuno abbia la stessa reazione che ho io.
E l’altro?
L’altro è thasup, principalmente per come usa la voce. È una roba che io non avevo mai sentito prima, con le metriche che utilizza le parole non rispettano le regole di pronuncia dell’italiano e fa della voce uno strumento molto più della maggior parte degli artisti.
Parlavi di Venerus. È un artista che, soprattutto live, è molto scenografico e “colorato”. Questo mi fa pensare anche all’aspetto visivo del tuo progetto.
Sì, allora, quello che sto cercando di fare è avvicinarmi a un immaginario che punta a concetti non facili da capire subito. Mi si presenta un’immagine e va interpretata con un po’ di ragionamento. Dal punto di vista dei colori mi piace curare la parte visuale dei progetti musicali: mi interessa molto e sono circondato da persone capaci. Con “rush” ad esempio avevo cercato di creare un’immagine non chiara, in cui non si capisce bene cosa stia succedendo. La canzone parlava di quello e nel progetto nuovo elaboreremo tutti questi aspetti.
In “rush” canti “I’m in a rush”, appunto. Ti sei mai sentito di aver fretta?
Quando ho scritto quella canzone sì. “rush” parla della fretta di provare qualcosa perché durante la quarantena ho passato un periodo di depressione: vivevo da solo, senza coinquilini perché erano tornati a casa, ma io non potevo tornare in Italia. Ero proprio di fretta, avevo questa voglia forte di vedere qualcuno, provare qualcosa.
Sembrava un po’ che ti rivolgessi anche a te stesso in qualche modo.
Sì, esatto. In quelle situazioni la cosa più facile da fare è rimanere nello scomfort invece di fare qualcosa per cambiare la situazione.
In un’altra canzone dici “I never heard a silence like this before”. Qual è il tuo silenzio preferito?
Il silenzio è terribile, veramente una cosa bruttissima. Però nella musica è bellissimo e mi piace sfruttarlo. Non ero pronto a parlare di “sleepless” [ride, ndr], il silenzio di cui parlo lì è cattivo, un silenzio di solitudine.
E un silenzio buono?
Silenzio buono è un silenzio che valorizza qualcos’altro.
Come è stata la tua esperienza a X Factor?
Devo dire esperienza ottima, ho imparato tantissimo e ho avuto modo di capire un po’ di più sull’industria musicale in Italia. È stata una vetrina fantastica, ma adesso basta: è ora di andare avanti. Ho fatto quello che dovevo fare, non avevo niente da perdere ma il bello viene adesso che si comincia a lavorare veramente.
Quando parlo con artisti dalla forte impronta internazionale, mi incuriosisce sempre chiedere la differenza tra il pubblico italiano e quello estero.
Ci sono molte differenze, in Italia secondo me è più facile essere ricordati come artisti. Questo perché l’Italia è un Paese piccolo ed è l’unico Paese al mondo in cui si parla l’italiano. La musica inglese viene fatta in tutto il mondo, quindi sia dal punto di vista dell’industria che dal punto di vista del pubblico è molto diverso. C’è meno senso di appartenenza, quando scopriamo un artista italiano ci sentiamo fieri a livello internazionale. Questa cosa viene meno quando si usa la lingua inglese perché è usata in tutto il mondo.