Una premessa è doverosa: parlare di questi dischi deve significare anche, assolutamente, aver mestiere e alta cultura di un mondo che dalla grande depressione americana del ’29 arriva sino a giorni nostri facendo il giro del mondo e lasciandosi contaminare dalla infinita storia dell’uomo e dalla sua terra. Politica e religione, sessualità e discriminazione. Il Blues accoglie tutto… e se vogliamo anche il contrario di tutto. Ecco, io, qui in questa sede, non ho di queste armi affilate per raccontarvi di questo disco: lascerò che siano le sensazioni a parlarne. E mi scuso anzitempo…
Chi sia Gennaro Porcelli è presto detto: basti pensare che a lui dobbiamo riportare tutto il grande suono blues quando si parla di Italia… paese che ha rappresentato nel 2015 all’European Blues Challenge, tanto per dirne una. La sua carriera è scritta ovunque e impossibile da sintetizzare. Un passo a latere perché a Gennaro Porcelli riconduco il suono blues della nostra canzone d’autore e qui da Alex Britti a Bennato le connessioni sono inevitabili. E quindi io metterei in circolo, senza mezzi termini, il brano bandiera di questo disco: “Why Are People Like That?” dentro cui oltre al Bennato di “Viva la mamma” che qui ci regala anche una splendida armonica a bocca (come suo solito d’altronde), incontriamo anche una chitarra decisamente di stile e inconfondibile: Vince Pastano. Ed il suono di questo brano, dal rullante all’hammond, fin dentro le soluzioni teatralmente blues con cui la voce chiude le “s” e le varie assonanze… quello spirito “spiritual” che solleva il blues verso mondi onirici e quel retrogusto gospel che ci sento in background (o che ci starebbe bene se fosse in prima linea, credo). Soul e Blues: mi dimostrano ancora una volta che la famiglia in fondo non è poi così diversa.
“Me, You And The Blues” è il nuovissimo disco di Gennaro Porcelli che richiama a se, per l’occasione, qualche buon amico di ventura: due li abbiamo già citati sopra e aggiungiamoci anche un mostro sacro come Guy Davis per chiudere in bellezza con il battere di Mario Insenga e un altro riferimento italiano come Daniele Sepe. Direi di partire proprio dal sax partenopeo di quest’ultimo per aprire le danze con uno dei singoli estratti: “Smiling Eyes” che sfoggia una intro di chitarra (come a dettare legge) in bilico tra Chuck Berry e quel meraviglioso mondo a planare dei Lynkyn Skynyrd. E che rullante gente… davvero il marchio di fabbrica di questo brano (e di tanta parte del disco). Si sente aria da big band d’altronde, si sentono tutti gli ingredienti che portano altrove rispetto al genere tout court che ci immaginiamo noi e che ovviamente pure ritroveremo. Si cammina su vie adiacenti, come accade nella title track dentro cui l’hammond è assoluto protagonista e di cui ho poco digerito (viste le carte in gioco) quel modo assolutamente pop di risolvere i ritornelli.
A proposito di blues propriamente detto o come l’immagina uno come me: proprio con Mario Insenga firma “Better Off with the Blues” e qui davvero siamo dentro la progressioni tipiche del genere con tanto di coda strumentale e quella che sento essere un’armonica a bocca distorta come la scuola prevede.
Forse il buon Porcelli eccede di stilistiche e sfacciate manie di protagonismi dentro “I’m Gonna Send You Back to Georgia”: se le concede (forse troppo per i mie gusti) ma se lo può permettere senza riserve. Lasciatevi portare in un rolling visionario di grandi routes americane governate da bestioni di ferro e berretti degli Yankees.
E ancora parlando di blues “antico”: intima, personale, decisamente completa nel duo che forma con l’eterno Guy Davis dentro le soffici quanto classiche volute di “Limetown”: e qui lasciatevi portare indietro di una cinquantina di anni, se non fosse colpa di una registrazione troppo pulita e riverberi troppo “moderni” (e le virgolette sono dovute). E il disco, che sto sbirciando da questo volo a planare, si chiude con una bonus track ancora figlia del suono “moderno” dentro queste chitarre che molto devono, se non al presente, quantomeno al recentissimo passato main stream.
E tutto questo disco, impossibile da fotografare con poco, è suonato live in studio. Niente sovra-incisioni ma solo mestiere artigiano di grandissimi musicisti.
Detto questo… detto tutto.