Il 25 novembre, in occasione della finale del Rock Contest (che vi abbiamo raccontato qui), abbiamo avuto modo di fare una lunga chiacchierata con Giuseppe Barone, direttore artistico della manifestazione.
– di Roberto Callipari –
Abbiamo incontrato Giuseppe durante i preparativi, che, nella frenesia della serata in arrivo, si è raccontato in maniera molto informale, una chiacchierata di flusso in cui abbiamo affrontato numerose questioni, che trovate nell’intervista che segue.
Ti va di raccontare il tuo background? La musica, le band, i locali…
Sono salentino, sono venuto qui a Firenze nell’85 a studiare architettura, poi ho cominciato a lavorare nella musica: musicista, etichetta discografica, poi sono entrato in radio, ho uno studio di registrazione, insomma… ci si dà da fare. Suonavo nel fine anni Ottanta e primi anni Novanta qui, a Firenze. Noi non eravamo sull’onda della new wave, ma più sulla tendenza post The Jesus and Mary Chain, quindi shoegaze, psichedelica moderna, quella roba lì. Avevo un gruppo che si chiamava Subterraneans, che poi diventarono Valvola, e ci spostammo sull’elettronica analogica. Avevamo un’etichetta, la Shado records, distribuita in tutto il mondo con la quale pubblicavamo gruppi internazionali (tedeschi, giapponesi, norvegesi, etc.) e rilasciammo delle compilation molto diffuse all’epoca, e collaborarono con noi gli Stereolab, i Make Up, gli Stereo Total,Martin Rev dei Suicide, Moe Tucker dei Velvet Underground; furono molti i gruppi internazionali coi quali lavorammo. Ripeto: eravamo distribuiti in tutto il mondo, in Italia dalla Sony, anche se in quegli anni il mondo stava cambiando e stava cominciando l’era del digitale, quindi in quel momento di mutazioni, prima di cominciare a fare debiti, ci fermammo (ride, ndr) perché era molto rischioso e molti in quegli anni hanno dato grosse “musate”.
E tu sei fondatore del Rock Contest?
No, il Rock Contest nasce nel 1984 grazie a Controradio – io non c’ero ancora – e quello sì, nasce supportato dalla new wave. A Firenze c’erano molti gruppi che suonavano, era l’onda lunga di Litfiba, Diaframma, tutte quelle robe lì, ma mancavano dei club: Controradio decise di creare un luogo e una situazione per far suonare le band e dargli una certa esposizione anche tramite la radio, che era ed è moltissimo ascoltata qui a Firenze e in zona, ed è un ottimo modo per spingere i progetti. Andò bene: da locale si trasformò in nazionale, tanto che poi negli anni sono stati tantissimi a fare i primi passi nel Rock Contest, come Irene Grandi, Scisma, mezza Bandabardò, Samuel e Boosta dei Subsonica, Bollani, ma in quel periodo io non c’ero ancora. Entrato a Controradio nel 2000, il contest si era fermato per 2 o 3 anni, ed era mia intenzione farlo ripartire. Riprese con una bella spinta fino ad imporsi come una delle manifestazioni più riconosciute e importanti. Tra le cose importanti che abbiamo avuto modo di vivere, una delle più conosciute, può essere l’esordio degli Offlaga Disco Pax, che è opera nostra. Non avevano fatto nulla se non un concerto o due dalle loro parti: mandarono il demo, cominciammo a passarlo per radio e ci fu subito grande attenzione degli ascoltatori su “Robespierre”, che presentavano assieme ad altri brani. Si vedeva, fin da subito, che il pubblico già conosceva le canzoni a memoria e le cantava sotto il palco, e loro erano allibiti da questa roba qui, che è pazzesco. Vinsero l’edizione, durante la serata strinsero contatti con Audioglobe, che poi stampò “Socialismo Tascabile“; i premi in palio erano dei giorni in uno studio di registrazione, grazie ai quali registrarono proprio quell’album, e nel giro di sei mesi erano sulle copertine di Rumore. Questa è la parabola perfetta di quando funziona come deve funzionare, credo.
Nella chiacchierata che ci ha concesso prima dell’inizio della serata, Giuseppe si trova a raccontarci la sua percezione sul valore dei contest musicali in Italia in questo momento:
I contest non hanno alcun senso il Rock Contest sì! (ride,ndr) Se mi devi parlare dei contest in cui si lucra sui gruppi, si vendono i biglietti ai parenti e agli amici e si vince in base a quanti biglietti vendi, tipo una specie di multilevel, perché funzionano così, allora ti dico “lascia perdere”. Poi ce ne sono alcuni, tipo Musicadabere, fatti molto bene. Molti sono trappole per allocchi, macchine per spennare i gruppi e non danno niente in cambio. Il nostro Rock Contest è diverso, ma anche in se stesso è cambiato tanto: rock (per come lo intendiamo noi oggi) è solo un’attitudine, perché i generi cui diamo accesso sono i più vari, poi cerchiamo di smorzare il più possibile la dimensione competitiva, e cerchiamo di essere una vetrina, mettendo sempre più i gruppi nel miglior modo possibile per esibirsi e per essere ascoltati. Questa dimensione non competitiva funziona perché spinge i gruppi a collaborare, a stringere relazioni ed è tutta un’altra cosa. Poi non ce ne frega nulla dello storytelling tipo talent delle storie personali: ci interessa la musica e le idee, che siano più chiare possibile e le si sappia portare sul palco. Penso che il nostro contest sia ancora più importante oggi perché soprattutto negli anni post-pandemici è sempre più difficile trovare posti in cui suonare. Negli anni ’90 la musica dal vivo era molto diffusa, suonare era facile, l’iter di un progetto musicale era: suonare nelle cantine, scrivere, provare a suonare dal vivo, se il progetto funziona, magari fare un disco e, già con una bella gavetta alle spalle promuoverlo con una certa consapevolezza. Ora si fa la musica in camera prima ancora di averla provata live! Molti dei gruppi che si sono presentati quest’anno non avevano mai visto il palco, perché nelle loro zone non c’era modo di suonare: è preoccupante la situazione dei palchi in Italia.
Che importanza ha nel contest l’appoggio delle strutture, ma anche della Regione Toscana e della città di Firenze?
È fondamentale, perché ci permette di non lucrare sui gruppi, e questo ci dà grande autonomia. Non subiamo nessuna pressione sulla la direzione artistica, si vede anche nella varietà delle proposte (anche molto estreme) e non credo che la Regione o il Comune storcano il naso. Riguardo le venue invece, la nostra idea è sempre stata quella di valorizzare tutti i locali della zona, come un festival itinerante: un anno avevamo sei location (il festival si svolge in più serate, con eliminatorie, semifinali e finale). Prima le finali le facevamo alla Flog, luogo deputato perché più vicino alla città, più un club, mentre il Viper è più una sala da concerti, con un impianto davvero pazzesco, per eliminatorie e semifinali ci siamo accasati invece presso il Combo e il Glue, due ottimi club. Averli con noi è fondamentale ovviamente, come il loro appoggio, anche perché i locali che propongono live rischiano molto in questi anni, è un aiuto reciproco in qualche modo.
E sulla collaborazione fra gli artisti in gara Giuseppe racconta che:
Parliamo al passato, quest’anno è ancora presto per dirlo. Succede che fanno tour insieme, collaborano facendo dei remix o delle collaborazioni, è molto comune. Addirittura ho visto dei gruppi negli anni sciogliersi e rimontarsi fra musicisti conosciutisi al Rock Contest. Per di più, succede spesso di collaborazioni proficue fra gruppi in gara e giurati: successe per esempio che gli Handlogic, un gruppo di Firenze che vinse qualche anno fa, strinse contatti con Alberto Ferrari dei Verdena, giurato della loro edizione, restarono in contatto, lui fece un remix per loro, e poi quest’anno li ha chiamati ad aprire le date di Roma e Milano.
Ma infatti la partecipazione dei big già affermati, cosa sarà e quanto conta effettivamente nel contest?
Conta perché tramite loro vogliamo dare rilevanza agli artisti sconosciuti: si prestano volentieri e quasi sempre le persone che hanno fatto i giurati al Rock Contest lo hanno fatto gratuitamente. Per noi è anche motivo d’orgoglio, come dire “se vengono qui mettendosi in gioco…”. E poi son spesso molto collaborativi. Mi ricordo Motta nell’edizione dell’anno scorso qui che alla fine dei concerti andò da ognuno dei sei gruppi a dargli dei consigli su come, secondo lui, dovevano aggiustare il tiro.
L’etichetta “contest” sembra stare stretta alla manifestazione, allora:
Anche rock! Si cambia tanto in trentacinque anni… ma anche rockit non parla più di rock italiano. Parla di tutto! Sono etichette… Poi paradossalmente la nostra ottica è quella di premiare tutti, come a dire “noi non abbiamo UN vincitore”: c’è un vincitore, ma nella serata finale ci sono sei gruppi a suonare e noi abbiamo otto premi, che vuol dire che spesso tutti vincono e spesso vincono anche persone che non sono arrivate in finale, perché i premi tematici vanno anche a chi non ha superato certe fasi, ma per motivi di composizione o di testi vince qualcosa. Quindi stasera premieremo anche dei gruppi che non saliranno sul palco.
Rispetto ai premi tematici, il Premio Giovanisì che ha catturato la mia attenzione nella sua dicitura e nelle motivazioni per le quali viene assegnato, perché l’intenzione che passa è di volere dei giovani che parlano ai giovani banalmente, dal loro stesso contenitore, una cosa non scontata, riscontrabile anche in altri dei premi che verranno assegnati, come quello per la sostenibilità.
Sì, l’idea è esattamente quella: capire e valorizzare il modo in cui quella generazione parla di quel tema ai suoi coetanei, senza che lo filtriamo noi, perché è inutile. Noi scegliamo solo chi, secondo noi lo fa meglio ma con attenzione anche alla parte musicale, non solo ai testi.
La candidatura è spontanea, ma secondo quali parametri le band poi vanno avanti? È semplicemente l’apprezzamento del pubblico durante le serate?
No. L’apprezzamento esclusivamente popolare privilegerebbe o i gruppi locali o quelli che riescono a motivare di più una “claque”. In realtà il nostro principio non è quello… A monte c’è una selezione sugli iscritti: seicento iscritti, trenta passano ai live. E quella è una fase massacrante. Cerchiamo di selezionare quelli che hanno le idee più chiare (perché tanti le hanno molto confuse), e magari i più maturi a livello compositivo. Poi c’è la riprova del palco, perché ora è molto facile fare un buon prodotto su demo..
Quanto c’è poi del tuo lavoro di discografico alle spalle del tuo processo di scelta?
Tanto.
E pensi che si potrebbe fare altrimenti?
Boh, forse sì. Però due cose influiscono molto: la mia esperienza e il mio lavoro in radio. Faccio anche la programmazione musicale in radio, quindi ho un orecchio su ciò che può funzionare o meno, che non vuol dire essere commerciali o meno. L’identità di Controradio è un filtro molto forte, come la sua storia. Detto questo, non è detto che un prodotto che sulla carta si regge molto bene poi si presenti bene sul palco, quindi molti crollano ai live. Altri progetti che sul demo sembrano abbozzati dal vivo spaccano, quindi non è mai davvero prevedibile. Poi nei live c’è sempre una giuria specializzata, e il voto del pubblico che conta in percentuale: queste percentuali, mediate, danno i risultati. I voti sono numerici, senza discussioni durante le quali la persona più egemonica può influenzare gli altri, ognuno vota per sé e poi si fanno le somme.
Il panorama musicale italiano è cambiato molto dal suo ingresso nel Rock Contest nel 2000, e ovviamente questo influenza anche i gruppi che partecipano al concorso:
È cambiato tantissimo, uno pensa a ciò che dicevo prima, al fatto che prima i gruppi avevano una gavetta live e ora il live lo fai FORSE dopo che è uscito il disco. Questo è un po’ strano. Poi è chiaro che la parte della promozione digitale ha un’importanza molto più forte rispetto a prima, il sapersi muovere sui social non nego che è evidente sulla riuscita delle band. È cambiato anche perché non c’è più il filtro delle riviste e delle testate specializzate che erano un punto di riferimento. Un tempo Rockerilla, Rumore più o meno ti orientavano, ti davano la cifra. Poi c’erano delle macrotendenze, mentre ora è tutto frammentato: la stampa mainstream si occupa solo della trap, che ne parli bene o male, e dei Maneskin, tutto ciò che è nel mezzo non esiste.
Scavallando il piano: qual è la tua percezione dello stato di salute della scena italiana?
È pessimo perché nessuno gli dà ossigeno. Perché c’è, ma la pianta va annaffiata. La gente che suona, vorrebbe suonare e ha qualcosa da dire c’è, ma se nessuno gli punta i riflettori addosso è un problema. I gruppi prima emergevano perché c’era un’attenzione e delle strutture. Anche: quali sono le etichette discografiche oggi? O le major o le ex indie che sono delle pseudo major che inseguono lo stesso prodotto delle major.
La ricezione del pubblico del rock contest com’è? Esiste il ragazzo “18/25” che dice “questa sera c’è la finale del rock contest voglio andare a vederla”?
La partecipazione è buona. A Firenze è un avvenimento molto atteso durante l’anno, è vero però che per quelli che sono dall’altra parte portargli un evento dove c’è scritto “rock” nel nome già sembra una roba che puzza di muffa, una roba di vecchi. Il problema è che questi ragazzi hanno molti pregiudizi, i giovani hanno molti pregiudizi, e sono molto superficiali nella fruizione della musica perché sembrano non molto interessati alla storia della musica, e questa è la cosa che mi fa impressione. Il fruitore medio oggi ascolta solo la musica di oggi, non gli interessa il passato. Chi ascolta la trap non va ad ascoltare l’hiphop precedente o la trap originale, non gli importa! Vivono un eterno presente che è uguale all’alzheimer. È un circolo vizioso, soprattutto se questi germogli non vengono annaffiati. E il pubblico viene abituato a una roba premasticata, sempre uguale, per cui l’algoritmo ti fa sempre ascoltare ciò che già ti piace. Molti fanno il paragone fra la radio e queste piattaforme, molti non ascoltano le radio perché ascoltano queste piattaforme, ma le piattaforme alimentano il tuo gusto all’infinito, mentre una radio, una buona radio, può anche farti scoprire qualcosa, c’è sempre un’altra persona o altre persone che ti aiutano a scoprire robe. Purtroppo anche le radio non fanno più il loro mestiere e questo è un altro tipo di discorso. È inutile fare discorsi da vecchi, però si sono rotte delle cinghie di trasmissione del sapere e ora è un casino.
Il Rock Contest, istituito trentacinque anni fa, è un contest di caratura nazionale che quest’anno ha visto vincitori i Duck Baleno che, da Verona, hanno trionfato col loro rock psichedelico di gran classe e ricercatezza. Ringraziamo ancora Giuseppe Barone e tutta l’organizzazione per la disponibilità e la possibilità concessaci di prendere parte a una manifestazione così curata.