– di Riccardo De Stefano –
Fare un secondo disco e diventare davvero più maturi, più consci musicalmente parlando, insomma più bravi. Obiettivo raggiunto dai Gomma, che con Sacrosanto compiono quel salto di qualità che li fa crescere e passare dall’essere una band di “chitarroni rumorosi e urla” in Toska a un progetto che tende all’art punk.
La cosa più sorprendente è il salto di qualità professionale che strumentalmente è avvenuto, in particolar modo Ilaria, che è passata dal “dire parole” a cantare, realmente, con voce matura ed espressiva.
Alternativi all’ondata di pop che sta attraversando la penisola italiana e fautori di un post-emo-punk figlio ideale di quegli anni ‘90 (che in realtà i ragazzi, giovanissimi, non hanno vissuto), i Gomma realizzano un album incredibilmente credibile, dove le tracce si snodano, si toccano e si incastrano fornendo un quadro complessivo tenuto insieme da alcune immagini ricorsive (la Messa, le vene, l’ambiente domestico) e da un diffuso sensore di Morte sparso sulle parole dei brani.
Fantasmi, Pessima idea, Verme: i primi tre brani arrivano come macigni, quasi a voler marcare una distanza da tutto quello fatto prima (non a caso parlano di un “secondo esordio”), e quando le dinamiche si fanno più ampie, come in Quarto Piano, la sensazione è che i quattro ragazzi campani abbiano imparato a scrivere canzoni con coscienza, con forse unico limite il non riuscire a superare un certo cliché intrinseco nel genere stesso, quella sensazione di decadenza a volte esasperata e reale, a volte manieristica.
Nondimeno, Sacrosanto è una boccata d’aria fresca nella stantia scena musicale italiana che fagocita solo e soltanto pop retrò e sintetizzatori. Se avete bisogno di mezz’ora di qualcosa che almeno prova ad avvicinarsi alla vita vera, non edulcorata dal finto malessere disagista, Sacrosanto è il disco che cercavate. Anzi, che cercavamo, per chiudere questo decennio.
– LEGGI LA NOSTRA INTERVISTA –