– di Assunta Urbano –
“Zombie Cowboys” è decisamente il disco della maturità per i Gomma.
Duro, crudo e vero. Tre dei tanti aggettivi che descrivono il nuovo album della band post-punk campana, uscito lo scorso 21 gennaio per V4V.
Ilaria (voce), Giovanni (chitarra), Matteo (basso) e Paolo (batteria) sono tornati. Immortalano con la loro polaroid un immaginario apocalittico, ma, in realtà, non è altro che il presente che ci circonda in questo momento.
Vi abbiamo raccontato il disco qui. Poi, però, abbiamo preferito lasciare la parola alle menti che si celano dietro questo progetto sempre più interessante. Siamo partiti da dove ci eravamo lasciati.
I Gomma nascono nel 2016. Proprio alla fine di quell’anno, vi ho visto dal vivo per la prima volta in apertura a Calcutta all’Atlantico di Roma. Una serata molto strana, che si è conclusa con una frase emblema del periodo: «è finito tutto». Quel concerto, probabilmente, ha segnato il passaggio decisivo del cantautore di Latina ad un pubblico più ampio. Come avete vissuto quell’esperienza e come è stato per voi farne parte?
Giovanni: È stato uno dei nostri primi concerti. Ricordo l’ansia del suonare davanti al pubblico dell’Atlantico, non ci eravamo abituati. Sicuramente è stata una bella botta. Tuttavia, se dovessi ricordare qualche data particolarmente significativa per me e per il percorso dei Gomma, probabilmente il mio pensiero andrebbe altrove.
Matteo: Sicuramente tutto troppo prematuro, almeno personalmente non credo fossi pronto per un carico così grande. Tuttavia, ho bei ricordi di quelle date, tra la mischia, c’è stata un po’ di gente incuriosita dai nostri brani che di conseguenza è andata ad ascoltarci post live.
Ilaria: Fu strano. Eravamo ancora in una bolla, confusi e spiazzati, non posso dirti di essermela goduta, almeno parlo per me. Sicuramente col senno di poi è stato un episodio catartico.
Con il vostro progetto non avete mai perso l’autenticità che vi contraddistingue. Dal vostro punto di vista, che significato ha non piegarsi alle logiche di mercato e proseguire per una propria strada artistica?
G: Non saprei. In tutta onestà non riuscirei mai a piegare la musica che facciamo ad una logica mercatista. Se lo facessimo, non solo cadremmo in contraddizione con ciò che cerchiamo di comunicare con i nostri dischi ma verrebbe meno la condizione prima grazie alla quale riusciamo a fare musica, ossia l’urgenza di comunicare ciò che vogliamo nella forma e con un vestito che siamo noi stessi a cucire.
I: C’è l’arte e c’è l’artigianato. Non produco affinché ciò che ne esce venga utilizzato.
La band nasce a Caserta. Venendo anche io dalla Campania (precisamente dalla provincia di Benevento), so bene quanto è complicato fare musica e intraprendere questo percorso lavorativo nella regione. Che rapporto avete con la vostra terra natìa?
G: Sotto il punto di vista musicale, direi buono anche e soprattutto perché non considero il nostro un percorso lavorativo. E questo non perché dietro non ci sia un lavoro in senso stretto ma semplicemente perché il mio modo di intendere la musica mi impone di farla solo quando – e se – ho qualcosa da dire. Quando ragioni in questo modo ti rendi conto che potenzialmente tra un disco e l’altro potrebbero passare anche dieci anni e non ci sarebbe niente di male. Caserta ha la capacità di conservarti, di tenerti al riparo dalle mode del momento. Una città senza fronzoli, mi verrebbe da dire. Forse c’è più voglia di sperimentare qui che nelle capitali della musica, o almeno, questa è la percezione che ho io.
M: Caserta ci ha permesso di conoscerci e di fare le cose con calma. Per quanto riguarda l’aspetto musicale, non ha rappresentato un limite, ma solo il contesto necessario affinché il primo album nascesse. Non abbiamo mai pensato a Gomma come l’inizio di una carriera musicale, piuttosto scrivere era una reazione necessaria alla vita che facevamo e agli ambienti che frequentavamo.
I: Ormai fatico a rispondere all’ennesima domanda sulla mia provincia senza essere ridondante e ripetitiva. È stata ed è una madre severa.
Venerdì 21 gennaio è uscito “Zombie Cowboys”, il vostro nuovo e terzo disco. Ci raccontate di questo album? A chi corrispondono i personaggi a cui fate riferimento nel titolo?
G: “Zombie Cowboys” è una metafora per sublimare il nostro pensiero sul sistema politico-economico occidentale. Volevo appropriarmi del genere senza farne solo un esercizio di stile, piuttosto per proporre una critica sociale come fecero Romero, Jarmusch o Sergio Sollima. Forse è solo una questione di mezzi: se avessimo più soldi faremmo il cinema anziché i dischi.
Nei dodici brani si percepisce un cambio di sonorità rispetto ai due lavori precedenti. In che modo nascono qui i suoni?
G: I dischi precedenti erano stati scritti cercando di rimanere strettamente legati alla logica da power trio (chitarra, basso e batteria). In “Sacrosanto”, per esempio, abbiamo cercato di evitare sovraincisioni e/o armonizzazioni di qualsiasi tipo per poter replicare il disco dal vivo nel modo più fedele possibile. Con “Zombie Cowboys” abbiamo deciso di non porci limiti di alcun genere e infatti nel disco si trovano fiati, synth, campioni, una fisarmonica. In questo processo è stato fondamentale anche il nostro fonico, Alessandro Pascolo che, avendo una mentalità molto più aperta della nostra, è risultato indispensabile per amalgamare tutti questi elementi. Col tempo le cose che avevamo in testa sono diventate più complesse e i suoni che immaginavamo scrivendo sono cambiati.
M: Essendoci posti meno limiti dal punto di vista musicale, abbiamo necessariamente programmato il tour con un secondo chitarrista.
Per quanto riguarda, invece, i testi, le canzoni sono ricche di riferimenti, dalla “Mamma Roma”, a Marcello Mastroianni, fino a Louis Armstrong. Che ruolo hanno queste figure nel vostro immaginario?
G: Strumentale, direi. I Gomma sono sempre stati stracolmi di citazionismo ma è una cosa che ricerco solo in quanto possa risultare narrativamente utile. Così come la condizione di Rosa Garofalo ed Ettore ci serviva come espediente per raccontare il disagio sociale provocato dagli sprechi edilizi e dalla gentrificazione in “Mamma Roma”, il motivetto di “What a wonderful world” è stato utilizzato come simbolo di spensieratezza per chi si è rassegnato nichilisticamente alla propria vita.
I: Mi piace dare la possibilità al lettore, ascoltatore in questo caso, di poter avere un riferimento concreto, è un modo per dirsi “hey, hai presente questa roba qui? Ecco, esatto”.
Sulla copertina di “Zombie Cowboys” ci sono domande esistenziali che fate al vostro pubblico e a ipotetici interlocutori. Vi rigiro l’ultimo quesito, senza risposta: che futuro ha il Capitalismo moderno?
G: Nessuno. È un sistema economico che ha dimostrato di non poter resistere e destinato a collassare su se stesso. Sulla copertina la domanda rimane senza risposta soltanto apparentemente, proprio perché è il disco che volevamo far parlare.
I: A me sembra che la risposta a questo quesito negli ultimi anni si stia mostrando piuttosto chiara: il pianeta è sull’orlo del collasso.
C’è ancora più rabbia e più fisicità rispetto al passato, come vediamo soprattutto in “Guancia a Guancia”. Riprendendo una citazione del testo, secondo i Gomma, nel panorama musicale odierno, è arrivato il momento in cui finalmente «andrà tutto bene»?
G: No.