– di Angelo Andrea Vegliante –
Dopo aver pubblicato il loro primo disco “Il giorno dopo” (qui la recensione), e dopo averli conosciuti in una nostra recente intervista, i Flat Bit sono tornati. Direttamente da Montefeltro, infatti, la band ha realizzato un nuovo brano, “Il posto dove andare”, disponibile per le radio dal 13 marzo e in digital store e piattaforme streaming dal 20 marzo. Per comprendere pienamente il significato della canzone, abbiamo deciso di ricontattarli.
Qual è “Il posto dove andare”?
Non importa il posto dove andare. Spesso l’essenziale è invisibile agli occhi, vogliamo appunto sottolineare quanto alle volte non è necessario prendere alcun mezzo di trasporto per viaggiare, per spostarsi. Sarà che siamo arrivati alla soglia dei 30 e non abbiamo più voglia di uscire?
Come mai avete deciso di raccontare una storia da supereroe?
L’immaginario dei supereroi è venuto dopo, riascoltando il brano, c’è una citazione nostalgia ai Meganoidi e abbiamo valorizzato quel passaggio. I supereroi dei giorni nostri sono quelli che riescono a trovare la propria dimensione nelle cose semplici. In un mondo dove tutti vogliono sentirsi speciali, la semplicità è un atto rivoluzionario. Anche se i veri supereroi sono quelli che guidano dopo i concerti, quelli che ci riportano a casa o in albergo spesso hanno un mantello.
Rispetto al vostro primo album, con questo singolo ho notato una nuova sperimentazione sonora. In che idea vi siete buttati stavolta?
Esattamente. Come abbiamo detto altre volte, ci piace andare sempre in direzioni diverse da quelle precedenti: disorientarci. Non amiamo che il nome “flat bit” venga accostato a un filone o a un genere preciso. Ascoltiamo tantissima musica e veniamo “scottati” continuamente da mood diversi. Questa cosa si ripercuote nelle nostre produzioni, però, cercando sempre di essere riconoscibili e coerenti. Della serie: non siamo indie, non siamo pop, non siamo rock, sappiamo solo quello che non siamo.
Come mai avete deciso di far uscire improvvisamente questo singolo? Ci sono dei progetti in ballo nel vostro futuro?
Ci siamo presi una pausa dopo l’estate per rinfrescare le idee dopo il disco. Ci siamo chiusi in studio con la voglia di fare qualcosa di nuovo e intraprendere un nuovo percorso, senza però sapere il posto dove andare. Progetti per il futuro? Suonare tanto, divertirci, e non perdere i capelli. Come direbbe Montemagno, “that’s it!”.
Poc’anzi ho citato il vostro primo album, “Il giorno dopo”. In un mondo dove le playlist e i singoli sembrano più forti di un ‘contenitore musicale’, a vostro avviso, qual è la scelta migliore per far conoscere la propria musica?
Eh, bella domanda. Nel 2020 è davvero difficile rispondere. Noi cerchiamo di migliorarci ogni nuova uscita, farci conoscere suonando il più possibile e investendo tutti i nostri ricavi in promozione. La ricetta non esiste realmente, ci vuole tanta costanza e professionalità, forse il segreto è durare nel tempo senza fermarsi a prescindere dai risultati. Alla base ci deve essere la musica e non il successo, e anche una discreta percentuale di culo.
In una precedente intervista su ExitWell mi avete detto che, dal vostro disco, vi aspettavate di far capire il vostro messaggio. Vi ritenete soddisfatti? Siete riusciti nel vostro intento?
Il disco è piaciuto, ci ha visti protagonisti di un bel tour estivo. Ogni disco ha la sua dimensione, “Il giorno dopo” è quello dove abbiamo dato molto spazio agli strumenti, forse i nostri migliori testi. Infatti ci pensiamo due volte prima di fare la terza birra e salire sul palco, perché è un disco tosto da suonare. Abbiamo ricevuto diversi messaggi di persone che si sono ritrovate e tanti apprezzamenti, ma è ora di guardare avanti.
Domanda di carattere generale: in una modernità satura di proposte emergenti della musica italiana, come si fa a emergere?
Dopo quasi dieci anni insieme, possiamo dire che non esiste cosa più bella di suonare, conoscere gente, creare una comunità, una rete tra musicisti e pubblico: questo per noi è emergere. Senti che esisti, che quello che produci nel tuo studio e scrivi sul tuo figlio viene capito e ti sento fortunato. È anche quella una dipendenza, se ci togli la band cominciamo a drogarci.
Domanda a trabocchetto: in questi giorni, alcuni artisti (e presunti tali) hanno pubblicato dei singoli legati al tema del giorno, il coronavirus. Visto la vostra componente autoironica nei testi, vi cimenterete mai in una roba del genere?
No, lasciamo fare questo tipo di musica ad altri. Scherziamo su tutto e ci prendiamo molto poco sul serio, ma tendenzialmente non cavalchiamo l’onda, anche se sdrammatizzare con la musica è un arma potente contro i problemi, anche contro il coronavirus. Speriamo finisca tutto presto così da riversarci per le strade a fare l’aperitivo più lungo della storia.