– di Vincenzo Gentile –
Dopo aver recensito il nuovo album Ciao Cuore, abbiamo intervistato Riccardo Sinigallia per sapere qualcosa in più sulla sua musica, sulla sua vita. Ci conosciamo per la prima volta, al telefono, ma la sincerità e la serenità che mi regala crea il perfetto foglio bianco per scrivere emozioni, pensieri e sensazioni (anche in romanesco). Qualcosa però la tengo per me. Magari la scrivo in un altro momento.
Tu sei tendenzialmente timido. Quanto è terapeutico scrivere e interpretare la propria musica?
L’opportunità di scrivere canzoni ti permette di approfondire la potenza della musica e delle parole, che è molto emozionante. Dopo anni ancora mi esalta. È un modo per fare outing, se hai un piccolo pubblico che ti ascolta con affetto ti permette di tirare fuori anche dei temi di carattere sociale e personale. Poi si può andare oltre. Nick Cave professa l’epifania di un altro sé. Io invece preferisco essere me stesso con un minimo di educazione.
Oggi l’educazione paga?
Il segno arriva, con un po’ di attenzione nei confronti degli altri. Poi l’accoglienza è un’altra cosa. Esiste un pubblico più curioso, che sa leggere meglio fra le righe, che si appassiona maggiormente alla canzone d’autore italiana. Poi esiste un’altra parte di pubblico, forse la maggior parte, restia ai messaggi che non sono aggressivi o immediatamente deflagranti. Ma questo non rientra nella mia logica di produzione.
Le tue collaborazioni sono state tante e diverse fra loro. Tu sei rimasto sempre Riccardo. Come sei riuscito a mantenere salda la tua personalità?
In quell’incontro vedo il principale obiettivo di questa arte. Quando c’è quell’incontro e la canzone che scrivi assomiglia a te e ti rappresenta, allora per me è un successo. Un artista
raggiunge il vero successo quando raggiunge l’incontro fra se stesso e quello che scrive.
“Essere” più che “sbigliettare”?
La vendita di biglietti o di dischi è importante, ma è secondaria. Conosco tanti artisti che “sbigliettano” ma che non conoscono se stessi.
L’attuale interesse mediatico verso la musica d’autore (soprattutto a Roma) è una moda passeggera?
Da una parte c’è una grande tradizione della canzone d’autore italiana, soprattutto romana. La scena romana per me è quella di De Gregori, Venditti, Stefano Rosso, Folkstudio… Questa corrente non sta vivendo una nuova illuminazione particolare. Esiste invece una forma di espressione musicale in cui non voglio dire che ci sia la distruzione di quella scuola, ma poco ci manca. Poi molti di questi musicisti hanno dichiarato apertamente di volersi staccare dalla tradizione. Sono d’accordo sul rinnovamento, però i cantautori oggi sono pochi.
Pop e canzone d’autore. Spesso le due strade si sono incrociate. Oggi?
La canzone d’autore era pop perché era popolare, la ascoltavano tutti, era in classifica. Il pop era Al Bano e Romina, Umberto Tozzi. Quello che oggi definiamo indie è l’Umberto Tozzi dell’epoca. Non è De André, non è De Gregori.
Nuove sonorità. Un aggettivo per la Trap?
Ripetitiva. Se parli sempre della cinta dello stilista, fare i soldi, annà co’ le donne degli altri, dopo un po’…
Ci vediamo al Monk il 16 febbraio?
Certo!
*** Il live al Monk di Roma di domani (sabato 16 febbraio) è SOLD OUT. Per chi ha preso il biglietto in prevendita è comunque necessaria la tessera ARCI per l’ingresso ***
Nell’evento Facebook (clicca qui) e sul sito del Monk (clicca qui) tutte le informazioni