– di Manuela Poidomani –
Tra meno di una settimana vedremo salire sul palco dell’Ariston di Sanremo, Gaudiano, cantautore di origine pugliese che con il suo brano “Polvere da sparo” si è assicurato un posto tra “Le Nuove Proposte” della 71^ edizione.
“Polvere da sparo” è un brano viscerale e autentico. Parla di cuori gonfi d’amore e allo stesso tempo infranti. Di rabbia, di demoni, di ricordi e di rinascite.
In occasione del #Road2Sanremo 2021 abbiamo avuto la possibilità di fare qualche domanda all’artista, che ci ha parlato di sé, delle sue esperienze e soprattutto del suo brano così incondizionatamente personale.
Come stai, Gaudiano? Come sta andando questa esperienza Sanremese?
Sto bene e sono molto sereno. Sto affrontando la preparazione verso il festival con molta tranquillità. In più sto lavorando alle mie canzoni nuove, quelle che faranno parte del mio infinito oltre la siepe di Sanremo; d’altronde la vita andrà avanti dopo questa esperienza. Lo sto facendo anche per esorcizzare l’ansia e le aspettative.
C’è tanta ansia?
Adesso di più rispetto a una settimana fa. Ho fatto già tre prove con l’orchestra, di cui due all’Ariston e sì c’è ansia ma va tutto bene; ho tutto sotto controllo. Il maestro Valeriano Chiaravalle ha fatto per me un arrangiamento veramente meraviglioso e quindi sono molto felice. L’ansia diventa positiva nel momento in cui la si utilizza nel modo giusto. Questa è un’opportunità meravigliosa specialmente per uno come me che ha iniziato l’altro ieri, praticamente.
Esattamente. Sei un cantautore che ha appena iniziato il suo percorso musicale e sei già a Sanremo. Te li sei bruciati tutti gli altri, eh?
Sì, ho bruciato un po’ le tappe. Meglio così no?
Assolutamente. Sui tuoi social si legge: “Non riesco a non pensare al momento in cui ho registrato la prima bozza di questa canzone sul telefono e adesso siamo già a 100 000 streams”. Non ti aspettavi tutto questo quindi?
Questa è una canzone che ho scritto e che ho messo da parte per un’occasione importante. Volevo che avesse l’attenzione e i riflettori che meritava perché porta avanti una storia e un messaggio che per me sono fondamentali; a prescindere da quello che sarebbe stato il palcoscenico su cui l’avrei cantata, immaginavo che “Polvere da sparo” sarebbe diventata una canzone simbolo della mia carriera. Non a caso è un brano da cui è cambiato tutto ma soprattutto da cui è partito tutto il mio progetto discografico e dalla quale sono venute fuori anche le altre due canzoni: “Le cose inutili” e “Acqua per occhi rossi”. Non immaginavo Sanremo ma quando mi è stata posta l’opportunità di partecipare e di mandare una canzone con la quale poter gareggiare, ho subito pensato a questa.
“Polvere da sparo” parla del tuo papà. Noi dall’altra parte, che ascoltiamo, lo percepiamo come un “tasto dolente” da tirare fuori eppure tu hai voluto condividere con tutti noi questo aspetto della tua vita, che forse hai accettato ma ancora non del tutto. Cosa hai accettato e cosa no, di questa perdita così dolorosa?
Faccio fatica ad accettare l’assenza, il trauma e tutto quello che ne deriva. È una ferita che il tempo non aiuta a ricucire ma si tratta per di più di acquisire quotidianamente una certa consapevolezza che una persona della tua vita che amavi e ami tutt’ora, non c’è più a livello di presenza fisica. Per quanto noi crediamo che quest’ultima sia poco importante, alla fine ci rendiamo conto che non è così – mai come in questo periodo storico tra l’altro –. Dentro di me si è creato un determinato tipo di voragine e ho dovuto costruire qualcosa che colmasse questo tipo di sensazione di vuoto. A perdere un genitore, e vale per qualsiasi età, non si è mai pronti e di conseguenza ho dovuto ricostruire il terreno che si è sgretolato sotto i miei piedi. “Polvere da sparo”, in questo senso, è stato un atto salvifico e di ricostruzione verso me stesso. Scrivere mi ha aiutato e l’atto di cantarla ogni volta, se riesco a stare connesso con quello che dico, mi aiuta ad esternare i mille pensieri negativi.
Scegliere un pezzo di questo tipo, con un riverbero così forte, è un atto da una parte molto bello e dall’altro coraggioso.
In un contesto come quello di Sanremo bisogna andare oltre al concetto di canzone; bisogna pensare sia alla performance che all’esternazione artistica che stai proponendo. Di conseguenza il momento canzone si ampia e diventa l’occasione per cercare di comunicare qualcosa di più grande. In un singolo come “Polvere da sparo”, con una storia così forte, ci si riconoscono tante persone ed essa può essere un veicolo di speranza e di una continuità che può avere la vita anche dopo periodi così bui. E io ne sono assolutamente un testimone.
Cos’ha in più “Polvere da sparo” rispetto agli altri brani in gara?
Io credo molto nella forza della mia canzone anche se immaginare di arrivare fino a qui, no, mai. Noi finalisti di Sanremo giovani abbiamo un gruppo WhatsApp e ci chiamiamo “I sopravvissuti”. Siamo tutti meritevoli perché, e vale per ciascuno, premia la costanza e la coerenza di un progetto.
Sei un foggiano trasferitosi a Roma anche se adesso vivi a Milano. Quanto c’è della tua terra d’origine nella tua espressione artistica?
Della mia terra mi porto dietro il carisma e l’empatia che sono aspetti tipici delle persone della mia regione e della mia città. Ogni volta che conosco qualcuno, risuona questa domanda: “Ma tu sei pugliese?”. Evidentemente traspare questo mio aspetto. Ho sempre cercato di contaminare la mia musica con qualcosa che fosse un po’ orientaleggiante, che è anche un po’ l’arrangiamento di “Polvere da sparo”; è una canzone che rimanda all’ambiente un po’ orientale poiché la Puglia è stata per anni dominata, sotto un punto di vista militare, politico e storico, dalle popolazioni orientali e arabe e quindi mi è piaciuto unire nell’arrangiamento questo tipo di culture diverse. Penso di esserci riuscito alla grande anche perché Francesco Cataldo, l’arrangiatore del brano, è anche lui pugliese della zona di Bari.
Ho letto che hai partecipato a dei musical. Il tuo preferito in assoluto qual è?
Ne ho fatti un po’ e spero di farne ancora anche perché il teatro è una dimensione espressiva a cui non voglio rinunciare. Spero riparta tutto il prima possibile. Il mio musical preferito è Once, un musical con le musiche di Glen Hansard, un cantautore folk-pop irlandese, del genere dei cantautori che puntano alla chitarra e voce come anima della loro musica. Lui ha scritto questo musical bellissimo con la quale ha poi fatto anche un film che ha vinto l’Oscar per la miglior canzone per il brano “Falling Slowly”. È venuto poi in Italia grazie alla Compagnia dell’Arancia e io ho interpretato Guy, il protagonista. Quindi assolutamente, questo è il mio musical preferito perché parla di un ragazzo che parte con la sua chitarra per cercare di sfondare nell’ambito musicale.
Ascoltando con occhio distratto “Polvere da sparo”, la musica o il timbro, mi ricorda il cantautore Aiello. Dato che lui gareggerà tra i big, vuoi sbilanciarti e dirmi il tuo preferito? E soprattutto riconosci questa sorta di ”Aiellità”?
Con questo brano sta venendo fuori la mia estetica che può essere paragonata un po’ alla sua; siamo completamente diversi ma anche altre persone mi hanno paragonato, più che musicalmente, alla sua visione estetica. Detto questo io personalmente non mi sento vicino alla sua musica in quanto lui è molto più spiccatamente contaminato da qualcosa che si ha con il nuovo pop urbano e con sonorità che strizzano l’occhio alle tendenze. Io cerco di rimanere agganciato alla mia matrice più rock e quindi, anche sotto un punto di vista vocale di scelta dei suoni, mi oriento in maniera diversa. Ma ormai, siamo così tanto tutti contaminati musicalmente, che è facile incrociarsi nei periodi di produzione musicale; può essere che tu abbia sentito delle cose che si ritrovano e che siano affini e non lo escludo.
Poi invece, rispetto alla seconda domanda, tifo spudoratamente per Max Gazzè. Anche se la canzone di Fedez e Michelin mi incuriosisce perché è stata scritta anche in parte da Mahmood che è un cantautore che io venero e stimo moltissimo e che ha alzato l’asticella a livello musicale a tutti quanti. Credo veramente si sia comportato un po’ da apripista rispetto alla nuova musica cantautorale perché è la prima volta che questo tipo di pop non viene da un interprete ma da un cantautore.
Hai già annunciato i tuoi prossimi appuntamenti live: il 21 novembre a Milano e il 25 novembre a Roma. È quindi davvero tornata la speranza e la convinzione di poter tornare a suonare dal vivo?
La mia distribuzione live ha fatto questa indagine di mercato che è stata incrociata anche con quella scientifica per capire un po’ quella che sarà la riapertura, in che modo farla, con che misure, come adattare le strutture ecc. Io credo che la voglia di tornare ai concerti o di andare a teatro, di ripartire con la macchina degli eventi, in qualche modo ci darà la spinta; l’acceleratore sarà la voglia di normalità di cui tutti sentiamo il bisogno. Sono stato contento nel sapere che c’è stata una bella spinta sulla questione vaccini e quindi speriamo bene, io sono fiducioso. Le date ormai sono fissate, mal che vada si sposteranno ma io incrocio le dita e spero di farle.
Rispetto alla situazione attuale sanremese, tra polemiche, presenza del pubblico ecc. tu pensi che quest’anno il Festival continui ad avere lo stesso valore e rimanga sempre lo stesso di sempre?
La mia opinione è questa: io sono convinto che fermare Sanremo perché le altre cose non si sono fatte, non è un’azione intelligente. Io credo che Sanremo sia un indotto importante per tantissime categorie e non solo per quelle dello spettacolo; dentro Sanremo confluiscono il settore della moda, dell’edilizia (tutto ciò che è scenografia è sopportato da altre squadre tecniche come operai), maestranze teatrali ecc. Questo indotto è chiaro che fa lavorare moltissima gente e mi sembra ingiusto dire: fermiamo il Festival perché tutti gli altri sono stati a casa. Questo potrebbe essere anche un primissimo segnale di ripartenza e un manifesto di quello che è la musica italiana in questo istante. Se c’è la possibilità di farlo e c’è una produzione che mette le persone nella condizione di poterlo fare, allora mi chiedo perché non farlo. Sfiderei piuttosto le altre produzioni teatrali o le altre organizzazioni degli eventi privati di mettere a disposizione i fondi necessari per adeguare le strutture dove le persone possono entrare. Se i teatri non sono adeguati ad accogliere il pubblico secondo le misure anti-COVID, non è una questione di giustizia ma è una questione che c’è una produzione, in questo caso quella della Rai, forte sotto un punto di vista economico che riesce a permettere sicurezza. Lo Stato Sociale, ad esempio, durante la serata delle cover, porteranno sul palco Sergio Rubini e i lavoratori dello spettacolo a testimonianza di un settore che si è fermato e questa cosa è meravigliosa dato che loro hanno manifestato sempre tanta solidarietà sotto questo punto di vista. Facciamo tutti parte di una stessa famiglia noi artisti e come succede in quelle vere ci si aiuta a vicenda e non ci si deve andare contro.
Manca meno di una settimana ormai. Di qualcosa ai nostri lettori.
Io sono felicissimo, non vedo l’ora di cantare la mia canzone e spero di riuscire a trovare, un attimo prima della performance, quella concentrazione tale per cui io riesca a collegarmi bene al concetto del mio brano e a trasmettere ciò che ho da dire. Devo rimanere connesso con le parole del mio pezzo perché solo attraverso questo tipo di atteggiamento posso arrivare al cuore delle persone e a raccontare la mia storia. Che vinca il migliore e la canzone che, tra tutte, sarà in grado di parlare alle persone ma che soprattutto sia quella più vera; in questo momento la musica ha bisogno di verità.