– di Assunta Urbano –
Se decidessimo di spostarci da Roma a Foggia con un economico Flixbus impiegheremmo circa cinque ore. Un viaggio che Sara D’Elia, in arte Delijah, conosce sicuramente molto bene.
Classe ’98, una consapevolezza profonda del mondo circostante ed uno smisurato desiderio di raccontare e raccontarsi in prima persona. Questo e molto altro è racchiuso nell’anima della giovane artista emergente.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lei e non possiamo che farle Un Forte Applauso.
Il pezzo d’esordio Un Forte Applauso nasce come uno sfogo personale ed ha come scenario i viaggi tra Roma e Foggia di Delijah. Quanto hanno influito questi spostamenti sulla tua musica? E in quale tra le due città ti senti più a casa?
Moltissimo, soprattutto perché viaggiare mi ha dato la possibilità di riscoprirmi e di allargare le mie vedute. Mi ha arricchito non soltanto musicalmente, ma anche a livello propriamente personale. Questo brano, che nasce dapprima come uno sfogo, non viene alla luce casualmente. Il fatto stesso di essermi messa in moto per andare altrove, ha lasciato che emergesse tutto il malessere che fino a quel momento, avevo provato (ed ignorato) nella mia città natale. A Roma, invece, l’aria era meno rarefatta del solito. Dopo vent’anni ho ricominciato a respirare e vivere. Prima sopravvivevo. Le proprie radici non si rinnegano mai, anche perché ci rendono quello che siamo. Foggia resta casa, una casa che mi ha maltrattata e costretta ad andare via, ma che appartiene ormai al passato. Il mio presente, e spero futuro prossimo, è Roma; la città eterna in cui tutto è possibile, se ci si lascia andare al suo abbraccio materno.
Il tuo primo palcoscenico romano è stato quello di San Lorenzo. Qui sei entrata in contatto con il calderone enorme degli artisti emergenti della Capitale. L’incontro con Simone Guzzino (Il Solito Dandy) ed Alessandro Scorta (Laago!) è stato decisivo. Per quanto riguarda collaborazioni esterne con il circuito indipendente italiano in costante ascesa, con chi ti piacerebbe lavorare e per quale motivo?
Memorabile l’incontro con Guzzino, neanche gli ho parlato quella sera. Meno male che mi ha riscritto qualche giorno dopo. Altrimenti non sarei qui a rispondere alle tue domande. Se potessi, tra tutti, sceglierei di scrivere un brano a quattro mani con Antonio Di Martino e MOX (Marco Santoro). Loro cantano le canzoni che io vorrei ascoltare. Non so dirti bene perché, forse rispecchiano anche molto il mio linguaggio e gusto musicale. Considero solida, ricercata ed elegante la loro scrittura e per me sarebbe un momento di crescita artistica e personale davvero notevole. Comunque a Di Martino ho chiesto di scrivere un brano insieme, però mi ha visualizzato senza risposta. Mai dire mai. Mi do tempo.
Il percorso in questa piccola grande realtà, che poi è la base di quella che a più livelli viene definita da tempo “Scena Romana”, ti ha portato a realizzare il primo singolo ed ora ti porta sul palco del Largo per la partecipazione a It’s Up 2U, che recentemente è stato premiato come il miglior contest italiano dal MEI. Al di là della competizione, che in questi contesti deve restare sempre sana ed essere per lo più un pretesto per dare spazio a giovani artisti come te, in quale maniera vivi la tua “appartenenza” a questa scena? Che stimoli ti fornisce (se lo fa), ed in che modo è migliore o peggiore di altre realtà in zone diverse d’Italia, secondo la tua esperienza?
Sinceramente? Vivo la “Scena Romana” come un dono del cielo. Io sono figlia di un tempo non favorevole, in cui in Puglia – anzi, propriamente, a Foggia – non c’era spazio per l’Arte. A limite potevi proporre i tuoi brani nei centri sociali, ma poi hanno chiuso anche quelli e quindi molti altri artisti, come me, sono stati costretti a chiudersi in casa a sognare di fare televisione, credendo che quello fosse l’unico modo per “arrivare”. Se vuoi fare Musica al Sud, ed anche di basso livello, devi pagare le Accademie, che sono nelle mani di pochi raramente interessati al Talento vero. Per non parlare della competizione malsana che vige nei cuori di tutti, causa di cattivi maestri che non hanno niente da offrire ed insegnare se non il risultato del loro fallimento. Si nota poco la vena polemica? Ho sofferto molto per questo, qualcuno mi ha pure riso in faccia ascoltando i miei brani. A Roma, questo, non è mai successo. Il pubblico è sempre attento, sembra che abbia sete di ascolto. Gli Artisti vivono la competizione come un momento di crescita. Io la vivevo male prima, adesso ho capito che ascoltare anche un qualche Artista che non mi piace, mi dà la possibilità di capire i miei limiti ed i sbagli che sul palco e/o musicalmente non voglio assolutamente commettere. La Musica è condivisione. Se De André non avesse presentato Malgioglio alla Ricordi, oggi probabilmente non ascolteremmo L’importante è finire, cantata da Mina. Vedi? Che giro assurdo. Qui è tutto possibile. Qui si respira. Qui puoi incontrare il De André di turno che ti svolta la vita. A me non è ancora successo, ma almeno Roma lascia accesa la speranza.
Guardando l’artwork realizzato per Un Forte Applauso, l’immagine può ingannare. Si ha l’impressione non di un applauso, quanto piuttosto di un incontro tra due mani di persone differenti o anche di una sorta di “batti cinque”. Come è nata questa idea e cosa rappresenta precisamente?
L’artwork racchiude in sé diverse interpretazioni, che poi sono le stesse che si possono individuare nel testo, a cui ciascuno può attribuire il proprio significato. L’interpretazione più appropriata, però, che lega l’immagine all’intero testo, è da attribuirsi alle mani giunte – in segno di preghiera. Questo perché il brano vuole configurarsi come una sorta di preghiera al cielo, amara e sincera; un inno ai vinti, agli emarginati, agli ultimi della società, che spesso non per scelta vivono tale condizione. Una condizione, che prima o poi, viviamo tutti nella nostra quotidianità. Ed è in quella fragilità, che l’essere umano riscopre di essere uguale all’altro, e comprende che l’unica via possibile per uscirne è la via dell’Amore.
Il forte applauso di cui parli ha ovviamente uno sfondo sarcastico. Nonostante ciò, tra musicisti e non, chi ti ha ispirato nel corso del tuo percorso artistico? E a chi faresti un sincero e forte applauso?
A Marina Abramovic, che con la sua Arte, mi ha fatto comprendere che il dolore va’ ascoltato ed onorato. A Renato Zero, che con i suoi testi e la sua musica, ha guarito le ferite del passato e mi ha permesso di comprendere che non si è mai sbagliati, ma piuttosto unici e che i giorni grigi vanno colorati con la propria Arte. Ed infine, a Marco Castoldi per aver tirato fuori la mia voglia di cantare e vivere nella verità.
Il pezzo si posiziona in bilico tra una cinica perdita della speranza ed il sogno, seppur irrealizzabile, di un mondo che possa prendere una piega migliore. Sono passati cinque anni dalla nascita di questo brano. Pensi sia cambiato in questo lasso di tempo ciò che ci circonda oppure che sia ormai “troppo tardi”?
Questa è una bellissima domanda, ti ringrazio anzi per avermela posta. Quando ho scritto questo brano non mi risultava possibile vedere la cosiddetta luce infondo al tunnel. Non era neanche un’opzione e per me non poteva esserlo. Però, poi, le volte in cui ho presentato e cantato questo brano in pubblico, la gente si emozionava e mi diceva “grazie”, cercando il mio abbraccio. Solo allora ho realizzato che forse non siamo così diversi, che non siamo così soli, e che il desiderio d’Amore ci accomuna in fondo tutti. E che forse non sarà mai troppo tardi per amarsi un po’. Cinque anni fa non credevo di poterlo dire, ma oggi mi voglio bene. E’ stato catartico per me, scrivere questo brano. Mi ha liberato. E spero possa farlo almeno un po’ con chi lo ascolterà.