Certamente il suono è americano, lo stoner che tutti ricordiamo e che la mente va a pescare pensando agli anni ‘909 che sul finire hanno restituito alle distorsioni una potenza mai sperata prima. E poi c’è un guizzo napoletano, un cantato in dialetto, una teatralità che non deve mancare per restituire allegoria a tutto il peso della lirica… lirica che affronta tematiche assai importanti rivolte al nostro tempo assurdo che stiamo vivendo. Punto a capo: eccovi l’esordio dei Megaride, napoletani che approdano alla loro opera prima dal titolo bandiera: “Mo'”. E noi come sempre siamo sul pezzo:
Stoner e napolitanità, se mi è lecito usare questo aggettivo. Come si combinano le due cose?
Secondo noi molto bene. Sono due linguaggi che riescono a legarsi senza troppe forzature e con delle soluzioni interessanti, sotto alcuni aspetti il napoletano sa’ essere efficace come e più dell’inglese o dell’italiano.
Non trovate che il napoletano stia diventando troppo una moda?
Magari un revival. Nella storia della musica italiana ci sono già stati momenti in cui si è parlato napoletano e questo che stiamo vivendo è uno di questi. Per quanto ci riguarda siamo molto contenti di poterci esprimere nel nostro dialetto senza remore.
Che poi i toni stoner e gli argomenti socialmente utili (ma ahimè poco romantici) secondo voi non contribuiscono ad associale al napoletano solo cose cattive?
Probabilmente è solo un nostro pregiudizio… I pregiudizi albergano nelle menti di chi ascolta, purtroppo non possiamo controllare il pensiero di chi sceglie di ascoltarci bensì ci limitiamo a fare quello che abbiamo sempre cercato di fare: mettere in musica ciò che proviamo dentro.
Un disco che troviamo anche in vinile… oggi per voi cosa significa pubblicare e produrre un disco? Siamo in tempi brutti anche per questo tipo di avventure…
Rappresenta il punto di arrivo di un percorso che ci ha visti crescere sotto molti punti di vista, al contempo è anche l’inizio di una nuova parte di questo viaggio che abbiamo deciso d’intraprendere anni fa.
Mi colpisce “A piedi nudi”… e se volete si resta proprio nel tema della domanda precedente. Ci vuole ostinazione, ci si deve credere… qualcosa accadrà?
Ovvio, è tutto ciò che ci rimane e anche se non dovesse accadere niente ci si può consolare col pensiero di averci provato fino alla fine.
L’America di certi stili che trovo nel disco… è anche questo solo un mio pregiudizio oppure esiste una visione esterofila in tal senso?
In realtà l’America di cui parlate è quella che ci ha cresciuto dal punto di vista musicale e che ci ha sempre spronato a mettere in musica le nostre emozioni e il nostro vissuto. Non abbiamo grandi mire dal punto di vista internazionale, ma se qualcosa arriverà noi saremo qui ad accoglierla.