_di Angelo Andrea Vegliante.
(foto copertina di Paolo Marchetti)
Nonostante oggi siano più mainstream che mai, hip hop e rap hanno radici molto profonde nella cultura italiana. Sia a livello terreno, sia a livello temporale. E, per andare a riprendere i primi artisti che hanno creduto in questa scommessa, dobbiamo viaggiare parecchio. Noi, oggi, abbiamo preso i Cor Veleno, gruppo hardcore dei primi anni Novanta, visto che recentemente è uscito il loro nuovo disco, “Lo Spirito che suona”. In particolare, ci siamo fatti una chiacchierata con DJ Squarta.
Quanta magia di Primo c’è nel nuovo disco dei Cor Veleno?
Tantissima. Noi siamo entrati in studio pensando di non avere neanche tutto il materiale che ci servisse per fare un album e comunque eravamo molto spaventati, sia perché era una cosa molto complessa dal punto di vista emotivo, sia dal punto di vista tecnico. Quando uno del gruppo non c’è più e bisogna cucire un disco addosso al materiale che non è stato finito, gli inconvenienti possono essere molteplici. Dopo alcune settimane, però, ci siamo resi conto che il tutto aveva preso una piega in discesa, tutto è filato liscio, tutto è andato per il verso giusto. E quindi, oltre alle parole che sono attualissime, oltre alla dinamica del disco, oltre al suono dei Cor Veleno, c’è anche questo aspetto un po’ magico.
Aspetto magico che ritorna anche in altri contesti, come la grande attenzione per l’hip hop e il rap. Secondo te, questi due generi che evoluzioni hanno subito, vista anche la grande attenzione nazionale degli ultimi anni?
Adesso questa musica è ovunque, dappertutto. Quando abbiamo iniziato noi non era così, eravamo quattro disperati che sentivano questa musica. Invece, ora è ovunque. Questo è anche un motivo di orgoglio, aver contribuito in qualche modo, noi così come altri, a fare in modo che questa via di interpretare la musica arrivasse a tutti. Essere stati, se vuoi, a cavallo in un periodo dove prima non era neanche lontanamente pensabile che questa cosa arrivasse a tutti ad oggi, che il suono del rap italiano è ovunque in classifica, riempie i palazzetti, è una sensazione fantastica. E il disco, secondo me, ha al suo interno un sacco di artisti che sono cresciuti con noi, nello stesso periodo, e sono arrivati oggi a un livello altissimo. Oggi quando li vediamo suonare sul palco dei palazzetti, è bello vedere un amico che è partito da zero ed è arrivato lì.
Ecco, appunto, a proposito degli artisti che hanno partecipato al disco “Lo spirito che suona”, qui ho i nomi: Danno, Coez, Gemitaiz, Mezzosangue, Johnny Marsiglia, Madman, Marracash, Giuliano Sangiorgi, Roy Paci, Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion. Cos’è significato, per voi, la partecipazione di tutti questi artisti in un’opera che comunque è molto intima?
Abbiamo coinvolto prima di tutto degli amici, e quindi artisti che hanno capito al volo che cosa stavamo facendo. E infatti, se senti il disco, ognuno di loro ha aggiunto qualcosa di suo, di veramente personale. Nessuno è venuto a fare la comparsa o la presenza. Sono tutti venuti a dare un contributo emotivo forte. Siamo riusciti a unire un po’ la parte artistica con la parte emotiva.
Vorrei tornare un attimo su Primo, perché oltre a voi ci sono stati altri colleghi che lo hanno ricordato (come Jovanotti e Piotta). Insomma, sembra che l’assenza e l’anima di Primo non se ne siano mai andate.
No, tieni presenti che Primo ha collaborato con tantissimi artisti, è stato molto prolifico e ha dato tantissimo a questa musica. Partendo dal nulla, ha costruito tantissimo. E vedere che tanti artisti hanno notato questo, e hanno portato avanti il ricordo di David, è un motivo di orgoglio enorme per noi. Vedere da Jovanotti, a Salmo che cita Primo nel suo nuovo disco, a Piotta, a Nitro, a tantissimi altri, questo per noi è fondamentale e il modo in cui intendiamo la musica: qualcosa che rimane e che non finisce dopo un mese. Noi facciamo musica perché rimanga e vedere che questo poi succede veramente è bellissimo.
Torniamo al vostro disco, uscito da qualche settimana. Quali sono i primi riscontri che avete ricevuto?
I riscontri sono stati positivi, ma non è quello l’importante. Per noi importante era terminare la missione disco. Con il papà di Primo, Mauro, quando abbiamo iniziato a lavorare al disco, ci siamo detti che per noi l’importante era terminarlo e farlo come volevamo. Poi tutto quello che sarebbe venuto dopo sarebbe stato secondario. La cosa importante è aver terminato il disco e averlo fatto esattamente come volevamo. Questo è arrivato anche a chi ha ascoltato il disco. Il disco è fatto non per il ricordo di Primo, ma è il disco nuovo dei Cor Veleno e questo è quello che ci siamo prefissi all’inizio: non fare un album di ricordi e triste, ma far arrivare agli altri l’idea che questo è il nuovo disco dei Cor Veleno.
Allarghiamo la visione d’insieme del momento attuale del rap. C’è la trap: tu che ne pensi di questa evoluzione artistica? Avete mai pensato di avvicinarvi a questa tipologia di genere?
La trap è rap, ha una sonorità sua, ma è rap. Ci sono delle cose fatte bene e delle cose fatte male, esattamente come vent’anni fa c’era chi faceva bene le prime cose rap in italiano e chi invece male. Da questo punto di vista, il distinguo che sempre faccio è tra le cose belle e le cose brutte. Noi abbiamo usato alcune caratteristiche di questo sound dieci anni fa e lo continueremo a fare. Perché nei nostri dischi mischiamo tutto ciò che ci passa per la testa. Se una cosa ci piace, la filtriamo nel frullatore dei Cor Veleno e tiriamo fuori il nostro sound. Quindi, assolutamente nessun problema non solo a utilizzare i suoni tipici della trap, ma ogni cosa che ci piace, rendendola prima nostra. Non c’è mai nessun tipo di preconcetto ad avvicinarci a nuove sonorità.