Desert(o) è il nuovo singolo dei DI NOTTE, duo post punk bolognese composto da Luca Malatesta e Domenico Aloi, uscito venerdì 11 luglio su tutte le piattaforme digitali per MiaCameretta Records/Goodfellas, con distribuzione a cura di Believe. Il brano anticipa un EP live registrato al Locomotiv Club di Bologna, che include una selezione di brani originali e cover e sarà disponibile dal 18 luglio.
Frutto di un’intensa gestazione artistica sotto “un centinaio di lune”, l’EP prende vita da cento serate di scrittura e sperimentazione sonora. Il loro nuovo singolo *Desert(o)* colpisce per l’energia che sprigiona e per l’immaginario denso e stratificato che riesce a evocare fin dal titolo. Abbiamo parlato con Di Notte, duo nato a Bologna ma con lo sguardo rivolto oltre i confini italiani, per capire meglio la visione che li guida e le riflessioni che stanno dietro a una delle uscite più personali della scena post-punk indipendente.

Desert(o) è un titolo che suggerisce uno spazio vuoto, ma il brano è tutto tranne che spoglio. Qual è l’immaginario da cui siete partiti e cosa volevate evocare con questo pezzo?
Il Deserto suggerisce il vuoto attorno a noi. Emotivo, etico, generazionale. Mettiamo tutta l’energia possibile nei nostri pezzi, tuttavia a volte ci sentiamo spaesati dal vuoto e dal piattume attorno a noi. Un grido di ribellione deve fare da contraltare all’attuale tensione che si respira a livello internazionale, non solo dal punto di vista musicale. Il riff di chitarra ci ha poi evocato qualcosa dei Queens of the Stone Age. Ci è venuto in mente il deserto americano, il Rancho De La Luna a Joshua Tree in California. Un posto surreale dove – magari un giorno – sarebbe bello registrare una canzone.
Il brano richiama atmosfere che flirtano con il post-punk, ma senza abbandonare del tutto la melodia. Quanto contano per voi queste influenze e come si intrecciano con il vostro suono?
Il post-punk resta l’etichetta con la quale ci sentiamo più comodi e meglio vestiti. Ciò non toglie che ascoltiamo di tutto, dal cantautorato italiano alla musica elettronica. Mischiarsi e farsi contaminare pensiamo sia essenziale nella fase produttiva. Entrambi dedichiamo ore e ore a settimana ad ascoltare musica nuova. Non necessariamente iniziamo un pezzo da un riff o da un testo; spesso un ritmo ossessivo-compulsivo è il modo migliore per iniziare a comporre. Con riguardo al nuovo singolo, possiamo dire che, ad esempio, i Murder Capital siano stati di grande ispirazione.
Bologna è da sempre un crocevia musicale: quanto vi sentite parte della scena locale? E quanto invece cercate di restare indipendenti da certe dinamiche di territorio?
Bologna è sicuramente la capitale della scena underground italiana, non solo musicalmente. È una gran fortuna aver iniziato qui e aver suonato praticamente in ogni buco e in ogni palco, Covo e Locomotiv su tutti, palchi da noi orgogliosamente condivisi con Cucamaras e CUT rispettivamente. Non vogliamo certo restare la “band di Bologna”. In questo senso sono state importanti le nostre date a Torino (Imbarchino e Ziggy), a Genova (Ostello Bello x Rockit e Heineken), Palermo (Punkfunk) e Milano (Detune e Bachelite). In quest’ultima location abbiamo suonato per l’ultima data del tour davanti a Gigi Casiraghi, bomber del calcio anni 90 al quale abbiamo dedicato il nostro primo singolo assoluto. Obiettivo adesso sarà farci conoscere all’estero. Abbiamo qualche idea in testa…
Scrivete e suonate come collettivo: come funziona il vostro processo creativo? Chi porta le parole, chi i suoni, e come si trovano i punti di equilibrio?
Nel duo Luca è il musicista professionista attivo da 20 anni. Domenico è il diamante grezzo che non ha nulla da perdere ma tanto da gridare. La combinazione di questi due fattori porta al risultato finale. Tutto il processo creativo nasce da un puro impulso, che poi viene ovviamente limato e affinato con reciproci suggerimenti, finché non si crea l’amalgama finale. Abbiamo ancora tanta fame, quindi serviremo presto nuove ricette.
Desert(o) arriva in un momento in cui l’indie italiano sembra sempre più omologato. Cosa significa per voi oggi “stare nella scena” senza tradire una propria identità?
Purtroppo fare musica in Italia è come un urlo sott’acqua: soffocato e sotto pressione. Così come nel panorama cinematografico o grafico, esistono grandissimi giovani talenti ma pochissimi finanziamenti. L’autoproduzione è un impegno di risorse temporali, economiche e fisiche. La “scena” invece la può benissimo creare anche un busker, un artista di strada (vedi come hanno iniziato i Maneskin). Dobbiamo smettere di vivere i live come eventi da vetrina e ricominciare invece a vivere la musica in modo più viscerale, ancestrale, spontaneo. Magari come fanno in Inghilterra, dove in ogni bar o pub c’è qualche stronzo che te le canta e te le suona. L’arte è la rappresentazione che ognuno di noi può avere dalla percezione di bellezza della Vita. E se non ti accorgi della bellezza della Vita restano solo le ansie, le chiacchiere, le finzioni. Noi siamo per la verità. Noi siamo per la bellezza, in tutte le sue forme.







