Ne abbiamo lungamente parlato e sta facendo molto “rumore” nei canali di critica. Torna in scena Giangilberto Monti e lo fa completando un percorso (o forse arricchendolo di un nuovo obiettivo) dedicato al grandissimo Franco Califano. Già il libro uscito nel 2023 scritto a due mani con il giornalista Vito Vita dal titolo “Franco Califano. Vita, successi, canzoni ed eccessi del «Prévert di Trastevere»” edito da Gremese Editore. Eccolo oggi radunare 12 brani della sua preziosa discografia e inciderli su disco. Esce “Franco Califano, il Prévert di Trastevere” con Marco Mistrangelo al basso, Alessio Pacifico alla batteria e Marco Brioschi alla tromba, pubblicato dal tandem Fort Alamo/Warner Music. Oltre al CD, l’opera integra un innovativo QR-code che connette gli ascoltatori al radiodramma eponimo sull’applicazione PLAY RSI, offrendo una nuova prospettiva interattiva sul progetto… si perché tutto questo è passato anche sulla Radio Svizzera Italiana sotto forma di radiodramma che possiamo riascoltare cliccando qui. Personalità, puntualità ma soprattutto rispetto: Giangilberto Monti non fa finta di essere Califano, sa invece raccontarlo a modo suo senza stravolgere quel senso “romanaccio” che di certo non gli appartiene e che non imita… ma magicamente custodisce.
Inevitabile: perché tutto questo rimestare in varie forme la figura di Califano? Un libro, un disco, un radiodramma…
Rappresentano tre diversi modi di raccontare un personaggio e la sua storia artistica. Il libro è senz’altro esauriente, non solo per lunghezzama anche per la possibilità di consultazione a posteriori; il disco è un fatto puramente emozionale e si avvicina alla mia passione primaria; il radiodramma utilizza la tecnica della “fiction”, dove alcuni dialoghi non sono reali ma verosimili, oltre al fatto che il media associato è la radio. Questo richiede maggior concentrazione nell’ascolto e si allontana dai tempi che viviamo, dove tutto è consumato velocemente e spesso superficialmente. E’ una forma di “resistenza artistica”.
Un libro, un disco, un radiodramma… un film o qualcosa di simile?
Un film è stato già realizzato a suo tempo dalla RAI e quindi mi sembrava inutile avvicinarsi a questa forma di espressione.
Chi era per te Califano? Chi è ancora per te e per la tua musica?
Come detto più volte, per me il Califfo rimane un poeta dei sentimenti tradotti in forma canzone, e come tale andrebbe vissuto. Molti suoi valori, come l’importanza dell’amicizia tra persone anche molto diverse tra loro – e dunque del rispetto reciproco – sono tuttora i miei. La sua arte rimane quella di aver contaminato storie forti e di gran valore artistico con parole di tutti i giorni, in questo è stato un antesignano di molte ballate rap, senza però la volgarità o la pochezza di linguaggio che sottende la produzione attuale di molti di questi artisti.
Quanto il suo immaginario ha contaminato e scritto risvolti e abitudini nella canzone d’autore milanese?
A parte che lui ha creato parecchi suoi brani a Milano, in ogni caso in questa città ci è arrivato – come molti suoi colleghi – da realtà ben differenti, spinto soprattutto dal fatto che gran parte della discografia italiana era ed è concentrata qui. Va poi detto che le storie “di vita e malavita” esistono a Milano, come a Roma, Napoli o Palermo. Come a dire che la desolazione dei casermoni di periferia dell’hinterland milanese non è dissimile dal disastro edilizio di molte borgate capitoline. Cambia l’accento, il dialetto, il cibo e un paio di migliaia di altre cosucce, ma la disperazione di certe vite si assomiglia.
Domanda romantica: hai vissuto da vicino il mondo di Califano?
De André sosteneva che ci fossero artisti adatti a raccontare storie e altri abituati a viverle, io sono tra quelli che prima le osservano, poi s’incuriosiscono e alla fine le raccontano.
E da milanese: non ti sei sentito “distante” da certi modi di pensare alla vita e alla canzone?
Totalmente, ma ho prima intuito e poi capito che certe situazioni sono comuni a tutti noi. La poesia annulla spesso le differenze e alla fine, se di poesia si tratta, aiuta a comprenderci. Non a caso nel mio disco il brano “Semo gente de borgata” è cantata in italiano e nel radiodramma il personaggio di Califano non parla con l’accento romanesco. Non è solo una scelta registica, è il prendere atto che quella storia artistica può essere compresa da tutti, in Italia come in Svizzera. Se il Califfo fosse nato a New York, oggi ne avrebbero fatto un musical. Pensate solo ai suoi concerti a Rebibbia.. in fondo è il Johnny Cash italiano, lo diceva anche Luigi Manconi, che non si può certo assimilare al nostro attuale governo e che ammirava l’arte del Califfo alla pari di molti critici di oggi, che forse ieri lo confondevano troppo con la sua maschera pubblica, spesso spiazzante.